di
LUCA PAUTASSO
ruxelles chiama Bamako. Pros-
sima fermata: il Mali. È lì in-
fatti che potrebbe approdare molto
presto una nuova missione interna-
zionale dell’Unione Europea. Obiet-
tivo: contribuire alla stabilizzazione
del Paese attraverso l’invio di per-
sonale militare con il compito di
addestrare le forze armate locali.
Una missione sul modello vin-
cente di Eutm Somalia (European
Union Training Mission), alla quale,
sempre in qualità di addestratori,
partecipa attualmente anche un’ali-
quota di militari dell’Esercito Ita-
liano. Istituita nel 2010, Eutm è ba-
sata tra il quartier generale di
Kampala e la base addestrativa di
Bihanga, in Uganda. Una location
dettata dal fatto che l’Uganda è il
paese che all’interno dell’Unione
Africana si è fatto capofila di Ami-
som, missione parallela a quella eu-
ropea. Eutm ha il duplice obiettivo
di addestrare i soldati della Natio-
nal Security Force, l’esercito rego-
lare somalo, e di individuare tra le
reclute più promettenti dei “trai-
ners” in grado di trasmettere ad al-
tri commilitoni le competenze ac-
quisite, una volta tornati in patria.
Alla scadenza del secondo mandato,
prevista per dicembre (fatta salva
una molto probabile proroga), i mi-
litari dell’Ue avranno addestrato
qualcosa come 3mila soldati somali,
B
circa il 30% dell’organico militare
complessivo di Mogadiscio, tra cui
120 “
trainers” specializzati.
Ma perché il Mali, dopo la So-
malia squassata da un ventennio di
anarchia e guerra civile? Anche sen-
za considerare il colpo di Stato del
marzo scorso del capitano Amadou
Sango che ha deposto l’ex presiden-
te Amadou Toumani Touré, è ormai
da tempo che le autorità di Bamako
hanno perso completamente il con-
trollo del Nord del paese, ora nelle
mani di guerriglieri indipendentisti
touareg e miliziani jihadisti. I pre-
supposti perché si concretizzi il ri-
schio che il Mali diventi il prossimo
porto franco del terrorismo islami-
co, destabilizzando la situazione dei
Paesi confinanti, ci sono tutti.
Che la nazione sia una polverie-
ra pronta a detonare se n’è resa
conto anche la comunità interna-
zionale. Già il 12 ottobre il Consi-
glio di Sicurezza delle Nazioni Unite
aveva approvato la proposta di in-
tervento militare, commissionando
al segretario generale Ban Ki Moon
di predisporre i piani necessari. I
primi a intervenire sul campo sa-
ranno circa 5.500 soldati messi a
disposizione dai paesi membri
dell’Ecowas, la Comunità econo-
mica degli Stati dell’Africa occiden-
tale: Nigeria, Niger e Burkina Faso
in primis, anche se non si esclude
l’intervento di Stati esterni come
Marocco e Ciad.
E l’Europa? L’Alto rappresen-
tante per gli affari esteri e la politica
di sicurezza dell’Ue, la baronessa
Catherine Ashton, sta lavorando da
diverso tempo ad una proposta
concreta di intervento europeo nel
teatro, anche a seguito dei pressanti
interessamenti di Francia e Germa-
nia. Il responso è atteso per la fine
del mese, ma nell’ambiente diplo-
matico più dell’invio di truppe com-
battenti si ritiene plausibile una “re-
plica” del modello Eutm, che in
Somalia è stato fondamentale per
consentire al governo locale di ri-
stabilire il controllo su Mogadiscio.
Squadra che vince non si cambia.
II
ESTERI
II
Grecia,pochi giorni
primadel default
L’Ue pensa al modello-Eutm
per sedare il focolaio delMali
Doha: una speranza per fermare la guerra in Siria
n Siria, la prosecuzione dei
massacri e l’uccisione per giu-
stizia sommaria, confermano
quanto Kofi Annan sin dal mese
di luglio scorso aveva denunciato.
La Siria è entrata nel pieno di una
guerra civile, con sempre meno
possibilità di un cessate il fuoco.
La Siria rappresenta lo snodo del-
le più infuocate questioni medio-
rientali, dalla sicurezza del Libano
e d’Israele al confronto religioso,
mai sopito, tra l’Iran e l’Arabia
Saudita. In Siria, le differenti parti
sociali che inizialmente si erano
manifestate come forze di oppo-
sizione democratica al regime di
Bashar al Assad, pacifiste e con-
trarie a qualsiasi forma di contra-
sto violento, sono state ridotte al
silenzio, mentre sono aumentate
di giorno in giorno i disumani in-
terventi sia dell’Esercito Libero
Siriano (Els, creatura del Consi-
glio Nazionale Siriano, Cns, di
base in Turchia), sia le tristi ope-
razioni militari dell’esercito rego-
lare siriano. La Conferenza di
Doha, apertasi sotto l’egida della
Lega Araba la settimana scorsa,
è stata indetta proprio per trovare
una leadership comune da far ac-
cettare sia dai siriani all’interno
del Paese sia dalla comunità in-
ternazionale. Usa, Gran Bretagna,
Francia, Germania e Turchia han-
no partecipato al dibattito, e ieri
è stato eletto un cristiano-comu-
nista, George Sabra, alla guida
degli islamisti del Consiglio Na-
zionale Siriano. La scelta smorza
l’egemonia dei movimenti radicali
I
islamisti, mostrando il pluralismo
del movimento di opposizione. Si
dovrebbe essere costituito dunque
un fronte unito di opposizione
politica al regime, in grado di
prendere decisioni rapide e gui-
dare il Paese in caso di una cadu-
ta del regime di Assad. Ma in Si-
ria continuano a operare, dal
dicembre 2011, in modo indipen-
dente dal Els diverse centinaia di
volontari salafiti libici e tunisini,
che attualmente operano tra
Homs, Idlib e Rastan. Il priorita-
rio improbo compito del presiden-
te Sabra sarà quello di ricondurre
anche queste fasce estremiste sotto
l’egida del Cns.
La Siria di oggi rappresenta la
chiave di volta dell’alleanza tra
gli Usa e l’Arabia Saudita, inne-
scata dal famoso discorso del pre-
sidente Obama nel giugno 2009
al Cairo che è anche la matrice
comune delle varie “rivoluzioni”
dei paesi arabi mediterranei. In
quell’occasione Obama parlò an-
che di nuove potenze regionali
(
Arabia Saudita) e della comune
lotta al terrorismo islamico e al-
l’Iran. Arabia Saudita e Qatar so-
no i veri finanziatori militari
dell’Esercito Libero Siriano. Sun-
niti ultra-ortodossi, vedono nella
Siria solo una pedina della loro
campagna contro gli scissionisti
sciiti dell’Iran degli Ayatollah. In
contrapposizione all’asse Usa-
Arabia Saudita, la Siria di Assad
ha potuto contare sull’appoggio
strategico della Russia e dell’Iran.
Le tensioni sullo Stretto di Hor-
muz e nel Golfo Persico sono solo
una parte di una pericolosa guer-
ra fredda tra Teheran e Washin-
gton. La conferma ci viene dal-
l’alleanza “energetica” tra l’Iran
e la Russia. Il greggio proveniente
dai paesi caspici viene, infatti, tra-
sportato verso le raffinerie del
Nord dell’Iran, per poi essere
esportato attraverso il Golfo Per-
sico e il Mediterraneo, attraverso
il terminale in Siria. Nella sostan-
za, tutto lascia pensare che dietro
le aperture politiche degli USA nei
confronti dell’Islam, esiste una
guerra sul controllo “energetico”
dell’area anche nei confronti del-
l’Iran. Dal punto di vista interna-
zionale la Siria di Assad si vede
però circondata: il Tribunale Pe-
nale Internazionale ha comunica-
to che è in possesso di ogni evi-
denza utile ad incriminare Assad
per crimini contro l’umanità. La
Turchia ha già dato ampi segnali
di possibilità d’intervento in guer-
ra contro le truppe lealiste, men-
tre è di ieri la notizia che i carri
armati israeliani hanno esploso
colpi diretti contro l’artiglieria
mobile siriana, come risposta al
colpo di mortaio caduto nel Go-
lan israeliano, con chiare indica-
zioni che “Israele non tollererà il
fuoco proveniente dalla Siria, al
quale risponderà severamente”.
Sul fronte interno siriano, però,
nonostante l’apparente unità d’in-
tenti, nell’opposizione si vanno
sempre più insinuando le diffe-
renze tra i vari pezzi del fronte
anti-Assad, mentre le file salafite
avvertono che Assad farà la stessa
fine di Muhammar Gheddafi. I
due schieramenti opposti guarda-
no solo a come vincere la guerra
civile mentre si aggrava l’emer-
genza umanitaria. I morti sono
più di 35mila, la stragrande mag-
gioranza civili, mentre ieri più di
10
mila profughi siriani hanno at-
traversato la frontiera con la Tur-
chia. Le Nazioni Unite stimano
che saranno oltre quattro milioni
i siriani che necessiteranno di aiu-
ti nel 2013, molti di questi sono
già nei campi profughi in Gior-
dania, Libano e Turchia. Il presi-
dente Obama post-elezioni, dovrà
concentrarsi nuovamente sul
fronte “Mediterraneo allargato”.
Il fatto che sia il Dipartimento
di Stato che la Cia siano state
decapitate (su richiesta dei sin-
goli) lascia intendere un più cau-
to intervento a favore delle forze
di opposizione siriane. Qualora
assieme al taglio armamenti sta-
tunitensi, dovessero subentrare
anche veti sauditi per i finanzia-
menti occulti ai salafiti, proba-
bilmente si potrà iniziare a par-
lare di “cessate il fuoco” e inizio
della fase di dialogo tra le diffe-
renti fazioni. In caso contrario,
il conflitto fratricida siriano è
destinato a portare ancora morte
e distruzione nella maniera più
violenta delle guerre: quella “ci-
vile”! Nei prossimi giorni dun-
que si capirà, anche, se la crisi
siriana è destinata ad allargarsi
al Golfo Persico o meno.
FABIO GHIA
Il vertice della Lega
Araba mira ad evitare
che il conflitto
dilaghi in tutta la regione
I primi scontri a fuoco
fra siriani e israeliani
sul Golan fanno temere
un’escalation improvvisa
K
Catherine ASHTON
lla Grecia sono stati concessi
altri due anni di tempo (fino
al 2016) per effettuare le riforme
più urgenti e ottenere altri aiuti
dalla troika (Ue, Bce e Fmi). È
questa la decisione presa ieri
dall’Eurogruppo, il vertice dei mi-
nistri delle Finanze dei Paesi del-
l’eurozona. Questa è la buona no-
tizia per Atene. Ma ce n’è anche
una cattiva: per la prossima tran-
che di aiuti, pari a 31,5 miliardi
di euro, occorrerà attendere un
prossimo vertice dell’Eurogruppo,
previsto per il 20 novembre pros-
simo. E si dovrà passare, prima,
dall’approvazione di alcuni par-
lamenti nazionali, fra cui quello
della Germania, sempre più scet-
tica sul futuro della Grecia. Inol-
tre, se è stato raggiunto un ac-
cordo per rimandare il piano di
breve termine per la riduzione
del deficit, non c’è ancora un
consenso unanime per un pro-
lungamento dei tempi del piano
di lungo termine per la riduzione
del debito pubblico. Gli accordi
che tuttora restano in vigore pre-
vedono un abbassamento del de-
bito al 120% sul Pil (percentuale
giudicata “sostenibile”) entro il
2020.
La proposta di alcuni mi-
nistri dell’eurozona di posticipa-
re il termine al 2022 è stata ac-
colta con grande scetticismo dal
Fmi di Christine Lagarde.
Il premier greco, il conservato-
A
re Antonis Samaras, potrebbe non
avere tutto questo tempo. Avverte
che, se non arriveranno gli aiuti,
i conti di Atene potrebbero fare
default nei prossimi giorni. Que-
sto vuol dire solo una cosa: lo Sta-
to greco, attualmente, è tenuto in
vita solo dall’ossigeno finanziario
internazionale. Altrimenti non
avrebbe più i soldi per pagare ser-
vizi, pensioni e stipendi pubblici.
La vendita dei buoni del tesoro a
breve termine, ieri, ha fruttato
4,06
miliardi di euro, necessari
per coprire il pagamento (entro
venerdì) dei vecchi buoni del te-
soro in scadenza, pari a 5 miliardi
di euro. Per fornire garanzie di se-
rietà e attrarre nuovi aiuti inter-
nazionali, la settimana scorsa, il
Parlamento greco, dopo una lunga
e dura battaglia in aula, ha appro-
vato la nuova finanziaria del
2013,
che include severe misure
di austerity. Fra queste troviamo:
aumento dell’età pensionabile dai
65
ai 67 anni, un taglio alle pen-
sioni dal 5% al 15%, riduzione
degli straordinari per giorni festivi,
taglio sulle liquidazioni del 35%,
taglio degli stipendi ai poliziotti,
soldati, vigili del fuoco, professori,
giudici, funzionari della magistra-
tura. Tutto ciò che assicura l’or-
dine pubblico sarà sottopagato,
con conseguenze che possiamo so-
lo immaginare.
STEFANO MAGNI
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 14 NOVEMBRE 2012
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