di
STEFANO MAGNI
n’azione militare nel Mali
del Nord sarà possibile
solo dal settembre 2013» diceva
Romano Prodi il 20 novembre
scorso, basandosi sul rapporto di
esperti”. I francesi, che non han-
no avuto la pazienza di attendere
fino al prossimo settembre, stanno
bombardando da sabato. L’inviato
speciale dell’Onu per il Sahel (ed
ex premier italiano) forse non ave-
va previsto che ad attaccare per
primi sarebbero stati i ribelli del-
l’Azawad, il nuovo Stato autopro-
clamatosi indipendente dal Mali.
Gli islamisti di Ansar Dine, legati
ad Al Qaeda, dopo aver sottomes-
so alle loro regole la popolazione
del Nord (provocando un’ondata
di mezzo milione di profughi), so-
no partiti alla conquista anche del
Sud, espugnando la città di Konna
iniziando a minacciare più da vi-
cino la stessa capitale Bamako.
Prodi riteneva la via diploma-
tica “preferibile” ad un intervento
internazionale. Così come il prin-
cipale interessato in Europa, il pre-
sidente francese François Hollan-
de.«Il tempo degli interventi diretti
è finito» aveva dichiarato pochi
giorni fa. Quel che Parigi stava
pianificando pubblicamente era,
semmai, un sostegno indiretto alle
forze locali. Il 20 dicembre scorso
era stato raggiunto un accordo per
«
U
il cessate-il-fuoco fra le due parti.
Ma la tregua non ha retto nem-
meno un mese. È stata rotta da
Ansar Dine, che temeva l’arrivo di
contingenti internazionali del-
l’Onu (quale forza di interposizio-
ne) e una graduale riconquista del
Nord da parte del governo di Ba-
mako.
La situazione è precipitata al
punto che al governo del Mali ad
interim, guidato dal premier Djan-
go Sissoko e dal presidente Dion-
counda Traoré, non è rimasto al-
tro che chiedere l’intervento
dell’ex potenza coloniale: la Fran-
cia. Che, a questo punto, non ci
ha pensato due volte prima di
mandare forze di intervento rapi-
do a protezione della capitale ma-
liana. Aerei ed elicotteri della re-
pubblica d’oltralpe hanno
bombardato Konna, sostenendo
le operazioni di terra per la sua ri-
conquista. Nello scontro hanno
perso la vita 11 soldati maliani,
un pilota francese (abbattuto con
il suo elicottero) e “decine” di mi-
liziani islamici. Gli aerei francesi
stanno anche colpendo le posta-
zioni di Ansar Dine nel Nord,
comprese quelle nella città di Gao.
L’intervento militare era stato
pianificato dallo scorso autunno,
dall’Ecowas (che comprende i Pae-
si dell’Africa occidentale) e della
Francia. Gli Usa e la Germania si
sono offerti per un sostegno indi-
retto. Ormai il dado è tratto: la
guerra è già in corso. Non solo vi
partecipano i francesi, ma stanno
arrivando truppe anche da Niger,
Burkina Faso e Senegal. Il governo
di Bamako stesso è una buona ba-
se di intervento? Come minimo è
instabile”. Il premier Sissoko, co-
sì come il presidente Traoré sono
letteralmente in ostaggio di una
giunta militare che ha preso il po-
tere lo scorso marzo. Sissoko è ar-
rivato al governo a dicembre dopo
un secondo golpe, che ha rovescia-
to il governo civile di Cheik Mo-
dibo Diarra. La giunta militare si
era sempre opposta a un interven-
to internazionale. E adesso?
II
ESTERI
II
Intervento francese nelMali
La guerra che nessuno voleva
Hollywood parla
ai conservatori
Parte dal Michigan la resistenza all’Obamacare
arte dal Michigan la riscossa
contro la riforma sanitaria di
Barack Obama, che obbliga i datori
di lavoro a fornire gratuitamente i
metodi per il controllo delle nascite
(
contraccezione, aborto, sterilizza-
zione) ai propri dipendenti sotto for-
ma di assicurazione sulla salute. E
tutto inizia con Thomas Monaghan,
miliardario e cattolico.
Classe 1937, nato ad Ann Arbor,
in Michigan, da ragazzino ha ini-
ziato come pizzaiolo a Ypsilanti,
comprandosi un localino con il fra-
tello James. Da lì nel 1960 è nata
la Domino’s Pizza, la catena mon-
diale con più di 10mila locali in 70
Paesi. Oggi Monaghan è un magna-
te in pensione, fondatore o perno
di numerose organizzazioni catto-
liche e pro life, finanziatore di nu-
merose altre. Nel 1987 è stato tra
i promotori di Legatus, un’associa-
zione di businessmen cattolici decisi
a portare la dottrina sociale della
Chiesa negli affari e nelle opere. Ma
il vero fiore all’occhiello del suo
impero” è l’Ave Maria University,
un ateneo cattolico che dal 2003 fa
della fedeltà al Magistero il proprio
blasone. Diventato in breve tempo
un marchio di sicura eccellenza,
l’università sorge nella cittadina,
creata ad hoc, di Ave Maria, a 27
chilometri da Naples, in Florida. La
sua prima sede si trovava in Michi-
gan, che Monaghan ha lasciato per
la soleggiata Florida a causa del di-
vieto, imposto dalle autorità locali,
al suo progetto di erigere nel cam-
pus universitario un crocifisso più
alto della Statua della Libertà.
P
Monaghan ha ceduto la Domi-
no’s Pizza nel 1998 e oggi ad Ann
Arbor mantiene un complesso di
palazzine e di uffici, che gli fa da
quartier generale, le Domino’s
Farms. Ebbene, le sue Domino’s
Farms hanno degli impiegati, e Mo-
naghan è il loro datore di lavoro.
Tenuto per legge ad assicurare loro
la mutua. L’anno scorso, come tutti
i datori di lavoro degli Stati Uniti,
Monaghan si è trovato improvvisa-
mente di fronte al vero volto di
quella riforma con cui la Casa Bian-
ca millanta di voler garantire la tu-
tela sanitaria a tutti con costi bassi
e che invece è solo una dispendio-
sissima (per tutti i contribuenti ame-
ricani) bugia, che vuole solo imporre
ai cittadini ciò che piace all’Ammi-
nistrazione Obama in tema di eco-
nomia, salute e morale.
Monaghan si è, cioè, trovato di
fronte a una imposizione - ovvero
fornire gratuitamente ai dipendenti
i sistemi di controllo delle nascite -
violare la quale lo rende perseguibile
a norma di legge, che di punto in
bianco gli nega il godimento del pri-
mo dei diritti costituzionali statuni-
tensi: la libertà religiosa. E così il
magnate delle pizze, come tutti i da-
tori di lavoro degli Stati Uniti, si è
scoperto obbligato a dover persino
pagare il costo di questa grave ri-
volta messa in atto dal governo di
Washington nei confronti della legge
fondamentale del Paese.
Tutti i datori di lavoro degli Stati
Uniti si sono visti conculcare la li-
bertà di coscienza da una ideologia
di Stato, che così facendo ha aperto
il più grave contenzioso etico, poli-
tico e giuridico della storia del Paese
americano, inimicandosi tutte le
Chiese e le comunità religiose degli
Stati Uniti. Le quali, a norma di leg-
ge, hanno immediatamente reagito
impugnando la Costituzione fede-
rale in una battaglia culturale e le-
gale che ha prodotto un ecumeni-
smo forte e inedito in cui si è
distinta, con un ruolo di leadership
universalmente riconosciuto, la
Chiesa Cattolica, capitanata dal pri-
mate Timothy O. Dolan, arcivesco-
vo di New York, istitutore di uno
speciale Osservatorio di monitorag-
gio delle violazione della libertà re-
ligiosa, un fatto clamoroso se si con-
sidera che la democrazia degli Usa
si fonda sulla libertà.
Monaghan, come moltissimi al-
tri datori di lavoro, si è rivolto ai
tribunali. La buona notizia ora è che
il giudice Lawrence Zatkoff della
Corte del Distretto Orientale del
Michigan gli ha dato ragione. Ai di-
pendenti delle sue Domino’s Farms
Monaghan continua infatti a garan-
tire buone polizze assicurative, che
ne tutelano bene la salute, ma che
non regalano il controllo delle na-
scite. Inoltre il giudice Zatkoff ha
stabilito che non solo Monaghan fa
bene a farlo in base al primo Emen-
damento alla Costituzione federale,
ma che in torto è piuttosto chi glielo
vieta, fosse anche, com’è, il governo
di Washington.
In gioco è il pilastro portante di
tutta l’architettura civile statuni-
tense. Se l’Amministrazione in ca-
rica dovesse alla lunga trionfare
con la propria riforma sanitaria, gli
Stati Uniti cambierebbero per sem-
pre volto. Per questo, come ragio-
nano moltissimi americani, a pre-
scindere dalle proprie convinzioni
etiche, occorre che tutti gli ameri-
cani combattano contro la grave
decisione presa dalla Casa Bianca.
Magari anche solo per poi mettersi
il giorno dopo a fare la medesima
identica cosa, ma in piena autono-
mia, libertà e coscienza. La legge
fondamentale americana garantisce
infatti tale libertà, che può pure ve-
nire usata male, ma essa è l’unica
che può anche permettere che il be-
ne venga fatto.
Numerosissime sono le denunce
analoghe a quella presentata da
Monaghan contro il governo Oba-
ma e la sua riforma sanitaria e lo
stesso Monaghan attende di capire
se si riuscirà a utilizzare la decisione
di quella Corte Distrettuale del Mi-
chigan, che riguarda le sue Domi-
no’s Farms, per ottenere analoga
giustizia per quanto riguarda la sua
Ave Maria University. Del resto ci
sono precedenti.
A metà dicembre la Corte di ap-
pello della città di Washington ha
dato ragione al Belmont Abbey
College e al Wheaton College, due
altri prestigiosi istituti cristiani ame-
ricani di istruzione superiore che
avevano presentato denuncia. Il Bel-
mont Abbey College, nell’omonima
cittadina del North Carolina, cat-
tolico, gestito dai monaci benedet-
tini, è stata la prima istituzione del
genere a presentare mesi fa denun-
cia contro il governo Obama. Men-
tre il Wheaton College, nell’omo-
nima cittadina dell’Illinois,
calvinista, è tra l’altro la sede della
collezione di tutti i manoscritti ori-
ginali di C.S. Lewis. Questa senten-
za della Corte di appello di Washin-
gton stabilisce peraltro che Obama
ha tempo fino al 31 marzo per mo-
dificare la legge in ottemperanza al-
la Costituzione federale.
La vittoria nel “caso Mona-
ghan” è ancora più importante, in
quanto riguarda un’istituzione laica
e cioè neutra, commerciale, non
confessionale, e sancisce che pro-
prio per un’istituzione di questo ge-
nere la libertà religiosa conta. Esat-
tamente come afferma da sempre
l’architettura giuridico-istituzionale
statunitense: la libertà religiosa è
un bene pubblico.
MARCO RESPINTI
Se nell’assicurazione
obbligatoria c’è anche
il controllo delle nascite
si viola la libertà di culto
Thomas Monaghan,
fondatore di Domino’s
Pizza, guida la battaglia
legale contro la riforma
ollywood è di sinistra, ma,
per sfondare, un film deve
parlare al cuore e alle menti dei
conservatori. È questa la lezione
che si può trarre dall’assegnazione
dei Golden Globe, dove i protago-
nisti politici sono i film “Argo” di
Ben Affleck, “Lincoln” di Steven
Spielberg e “Zero Dark Thirty” di
Kathryn Bigelow.
In tutti e tre i casi, il confine fra
destra e sinistra è ambiguo. Il più
ambiguo di tutti è proprio il pro-
tagonista assoluto di questa edi-
zione del Golden Globe, “Argo”,
che si è portato a casa il premio
per miglior film drammatico e mi-
glior regista (a Ben Affleck). “Ar-
go” è la storia dell’operazione se-
greta della Cia del 1980 che riuscì
a riportare in America sei ostaggi
dell’ambasciata statunitense a Te-
heran. Carter, allora, le sbagliò tut-
te: si lasciò sfuggire di mano la si-
tuazione in Iran, scaricò lo scià di
Persia Reza Palhevi e poi lo ospitò
negli Usa (attirandosi così le ire del
nuovo regime), non riuscì a libe-
rare gli ostaggi in seguito al cla-
moroso fallimento dell’Operazione
Eagle Claw. “Ma qualcosa di buo-
no lo fece” suggerisce Ben Affleck
nel suo film: Carter autorizzò
l’esfiltrazione di almeno sei ostaggi
e, da eroe senza macchia, tenne se-
greta tutta l’operazione, senza as-
sumersene gli onori, per non met-
tere a rischio la vita di chi era
H
ancora nelle mani dei pasdaran
islamici. Nel cappello introduttivo,
voluto da Ben Affleck, una voce
fuori campo spiega come la stessa
rivoluzione islamica in Iran sia, tut-
to sommato, colpa dell’Occidente:
il golpe contro Mossadeq del 1953
(
organizzato dai servizi segreti bri-
tannici e americani), il sostegno in-
condizionato al brutale regime di
Reza Palhevi, sono indicate come
le principali della rivoluzione di
Khomeini. “Se ci odiano ci sarà un
perché” suggerisce Affleck. Ma chi,
normalmente, guarda questo film,
vede solo un’eroica operazione del-
la Cia per salvare degli americani
dalle sgrinfie di un regime totali-
tario. Roba da conservatori insom-
ma. E che dire di “Lincoln”, allo-
ra? Lo storico presidente fu il
fondatore del moderno Partito Re-
pubblicano. È tuttora un padre no-
bile del partito conservatore. Ma
viene presentato da Spielberg come
protagonista della lotta contro la
schiavitù: dunque un’icona liberal.
Zero Dark Thirty” è la storia del-
l’operazione che portò all’uccisione
di Bin Laden. Il merito va al pre-
sidente Obama. Ma la storia piace
soprattutto alla destra: l’uccisione
del nemico numero uno, per pro-
teggere le vite degli americani, è
espressione della potenza degli Sta-
ti Uniti e della moralità dell’uso
della forza militare.
(
ste. ma.)
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 15 GENNAIO 2013
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