on è un buon momento per
i giornalisti. Sono 232 i re-
porter e fotoreporter di cui si co-
noscono nome e cognome finiti in
carcere nell’adempimento del loro
lavoro. Il rapporto presentato ne-
gli Usa dal direttore del Comitato
per la difesa della professione, Joel
Simon, non è completo ma mette
in evidenza che le manette sono
scattate 53 volte in più rispetto al
2011 e che le minacce superano il
migliaio di casi.
La lista nera è detenuta dalla
Turchia con 76 cronisti dietro le
sbarre con l’accusa di «terrorismo
e coinvolgimento contro il gover-
no». Un triste primato per il pre-
mier Recep Tayyip Erdogan che ha
celebrato ad Ankara i dieci anni al
potere del suo partito Akp e che
chiede di entrare in Europa. Sul po-
dio più basso (in negativo, ovvia-
mente) ci sono l’Iran con 45 arresti,
la Cina con 32 seguiti da Eritrea
(28 arresti) e Siria dove il regime
non fornisce informazioni né sul
luogo della detenzione né sui capi
d’imputazione.
È finito in galera in Grecia il
giornalista Costas Vaxevanis accu-
sato di violazione della privacy per
aver pubblicato sul suo periodico
Hot Doc
la lista di 2059 greci con
conto in Svizzera mai dichiarati al
fisco ellenico. La ormai famosa lista
“Lagarde” che assomiglia a quella
Falcioni di Lugano e di cui vorreb-
N
be avere conoscenza l’Italia per sco-
prire gli evasori.
In Italia oltre al caso del diret-
tore del
Giornale
, Alessandro Sal-
lusti, condannato a 14 mesi di car-
cere, poi agli arresti domiciliari,
processato per evasione da questi e
sospeso dall’Ordine della Lombar-
dia c’è la vicenda dei 21 giornalisti
della regione Sicilia licenziati perché
secondo il nuovo governatore sono
troppi e troppo pagati ma non ri-
spettando alcuna procedura e senza
confronto sindacale. Dall’inizio
dell’anno fino al 3 dicembre oltre
300 giornalisti italiani sono stati
minacciati dalla mafia per la loro
attività professionale. Altri 43 casi
di minacce sono state rivolte ad in-
tere redazioni.
Ci sono informazioni sgradite
anche dal mondo tecnologico. Ca-
pita così di aprire la posta elettro-
nica e apprendere di essere stati li-
cenziati. È accaduto ai 129
giornalisti del quotidiano progres-
sista spagnolo
El Pais
che nonostan-
te le 500mila copie vendute al gior-
no si trova in gravi difficoltà
economica e costretto a tagli parti-
colarmente dolorosi. La generazione
di giornalisti che ha guidato il quo-
tidiano negli anni del socialismo
spagnolo, del boom economico e
delle conquiste sociali è stata falci-
diata per email. La proprietà non a
dimenticare tutti i valori di cui la
“prensa” del gruppo Prisa si era fat-
ta portabandiera. Il piano tagli pre-
vede 128 licenziamenti, 21 prepen-
sionamenti a fronte di 446 unità in
organico e per chi resta taglio del
15% della busta paga.
L’ultimo pericolo arriva ai gior-
nalisti dalla tecnologia. Sono i “dro-
ni” utilizzati per un servizio sulla
siccità in Nebraska da parte del di-
partimento dell’Università. Il “qua-
dricottero” ha agito come una vera
e propria troupe televisiva, utiliz-
zando una telecamera sulla parte
anteriore che ha scattato immagini
definite “fantastiche”. È la concor-
renza del
“drone journalism”
.
SERGIO MENICUCCI
II
POLITICA
II
Le parole d’ordine del nuovo partito giustizialista
di
EUGENIO DEL VECCHIO
attesimo per il “Movimento
Arancione”, mercoledì scorso
al teatro Eliseo di Roma. Obiettivo
politico del medesimo, la creazione
di una lista in grado di riappro-
priarsi di una discreta fetta di elet-
torato di sinistra, ora appiattitasi
su posizioni bersanian-vendoliane,
e di raggiungere così il 4% dei
consensi. Ovvero, il quorum ne-
cessario per entrare in Parlamento.
La piattaforma politica del mo-
vimento è presto detta. Basta ascol-
tare le parole dei due principali
animatori: Antonio Ingroia e Luigi
De Magistris. Il primo, in collega-
mento telefonico dal Guatemala –
in loco a capo di un’unità di inve-
stigazione per la lotta al narcotraf-
fico su incarico delle Nazioni Uni-
te,
ndr
– ha tenuto a ribadire
quanto ci sia bisogno, per il futuro
più immediato, «di un atto di co-
raggio e di responsabilità verso il
paese». E ancora: «La parte sana
deve salvarlo – il paese – e io sarò
con voi».
Da De Magistris, invece, chia-
rissimi segnali del plot della cam-
pagna elettorale all’arancione. Me-
glio, degli avversari da combattere.
Due nomi su tutti: il fondatore de
La Repubblica
Eugenio Scalfari e
il presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano. Tema dello
scontro, il conflitto d’attribuzione
tra poteri dello Stato ex art. 134
della Costituzione, in merito alla
vicenda delle telefonate intercettate
dalla procura di Palermo tra il pre-
B
sidente della Repubblica, Giorgio
Napolitano, e l’ex ministro degli
Interni, Nicola Mancino, a propo-
sito della presunta trattativa sta-
to-mafia dei primi anni Novanta.
Diatriba istituzionale conclusasi,
qualche giorno or sono, con la vit-
toria della linea del Colle e la con-
seguente immediata distruzione di
quei nastri disposti dalla Corte.
Scalfari, nel corso dei mesi, s’è
caratterizzato per la difesa a spada
tratta delle ragioni del Quirinale.
Non da ultimo, con l’editoriale del
5 dicembre scorso, dal titolo “Le
ragioni del diritto”. Sul punto, il
sindaco di Napoli è categorico: «Se
Scalfari definisce eversivo uno co-
me Ingroia, allora io sono eversivo,
scelgo di stare con lui e con i ma-
gistrati palermitani come Vittorio
Teresi e Nino Di Matteo e non con
chi ha fatto ricorso alla Corte Co-
stituzionale per evitare che si faccia
luce sulla trattativa tra Stato e ma-
fia». Perché quei magistrati, è sem-
pre De Magistris a parlare, «sono
entrati in una stanza buia del po-
tere, hanno cominciato ad accen-
dere qualche lampadina. Ma chi
doveva aiutarli, intendo chi doveva
dire “ti do una mano, perché sono
delle istituzioni”, ha invece stac-
cato la spina».
Peccato la
quaestio
, sul piano
giuridico, sia un po’ più complessa
rispetto alla semplificazione adot-
tata da De Magistris. Perché Na-
politano, con il suo ricorso alla
Consulta, non ha in alcun modo
voluto oscurare le indagini della
procura di Palermo sulla presunta
trattativa stato-mafia, bensì ha
semplicemente posto all’attenzione
della Corte un quesito di assoluta
rilevanza: quale lo status giuridico
delle intercettazioni telefoniche, sia
pure indirettamente, acquisite da
una procura della Repubblica che
coinvolgano il presidente della Re-
pubblica? La Corte ha deciso. De-
libera opinabile, certo. Ma affatto
volta a ostacolare il lavoro dei pm
palermitani.
Tant’è, però. Napolitano è un
avversario. Anzi, l’avversario. Per
informazioni, chiedere a Sonia Al-
fano, parlamentare europea del-
l’Idv: «Mi auguro presto sarà elet-
to un capo dello Stato degno del
suo nome», l’inequivocabile
j’ac-
cuse
nei confronti del settennato
di Napolitano. Avversario, dunque.
Assieme al centrosinistra del post-
primarie.
Insomma, chiaro è il tentativo
di Ingroia e De Magistris di scar-
dinare la
weltanschauung
bersa-
niana. Di scardinare quel progetto
politico di alleanza elettorale con
la sinistra di Vendola e di apertura
al centro di Casini (e di Monti?)
dopo il voto. Sperano in ogni mo-
do di sottrargli voti, a Bersani. E
di parlare a quello zoccolo duro
giustizialista – e di sinistra? – or-
fano dell’ormai astro decadente di-
pietrista, ma troppo politico per
fiondarsi verso lidi grillini. Riusci-
ranno, i nostri “eroi”? A oggi sem-
bra assai arduo. Superare lo sbar-
ramento appare impresa proibitiva.
Però chissà, magari quell’elettorato
si ricompatta, di fronte a dette pa-
role d’ordine. Alle europee del
2009, ad esempio, Di Pietro prese
l’8%. Staremo a vedere.
Lavori pubblici,
solo il 2%in regola
Prigione emorte: il 2012anno
dadimenticare per i giornalisti
I due principali avversari
del movimento fondato
da De Magistris sono
Scalfari e Napolitano
Parlano a quello zoccolo
duro giustizialista orfano
di Di Pietro, ma troppo
“politico”per i grillini
n Italia non c’è il 2% delle
opere pubbliche che chiude
i lavori nel tempo prestabilito al-
l’atto della commissione e non va
al di sopra del prezzo pattuito». A
dirlo non è un’analista imparziale,
ma chi opera da anni nel mondo
delle imprese del settore. Andrea
Tomasi, architetto, è presidente
della fondazione Inarcassa, che
raccoglie oltre 160mila tra archi-
tetti e ingegneri del nostro paese.
Il problema, secondo Tomasi, è lo
squilibrio che si viene a determi-
nare da l’eccesso di offerta di im-
prese e liberi professionisti e la
scarsità di domanda da parte degli
enti pubblici. «Una situazione che
ha determinato nel corso degli an-
ni ribassi sulla base d’asta spesso
ingiustificati», spiega Tomasi. Ge-
nerando il meccanismo del «recu-
pero successivo». In pratica fun-
ziona così: le aziende appaltatrici
ribassano spregiudicatamente l’of-
ferta, aggiudicandosi i bandi sulla
base di un costo che verrà sicura-
mente sforato. In corso d’opera,
per recuperare le eccedenze, pon-
gono all’appaltante una serie di
questioni e osservazioni sullo stato
dei lavori, «sapendo – spiega To-
masi – che tanto otterranno co-
munque qualcosa». Così i tempi
vengono dilazionati, e il costo fi-
nale per l’erario è sempre superiore
a quanto previsto. «In parte la col-
pa è di Antonio Di Pietro». Tomasi
«I
spiega che, quando ricoprì l’inca-
rico di ministro dei Lavori pubbli-
ci, istituì il cosiddetto “accordo bo-
nario”. «Prima tutti i contenziosi
finivano in tribunale. L’ex pm, si-
curamente in buona fede, elaborò
questo istituto che prevede una ri-
soluzione amichevole in corso
d’opera. Ne è conseguito un pe-
renne stop-and-go nell’esecuzione
dei lavori, determinato dalle tante
richieste di integrazione economica
poste dalle aziende».
Ma c’è anche un problema ge-
nerale, determinato dallo squilibrio
del mercato: «Il nostro paese
avrebbe bisogno di crescita e di
sviluppo – è l’analisi del presidente
– invece Monti ha fatto l’errore di
eliminare le tariffe minime. Ma co-
me si fa in questo modo a offrire
una valutazione per un lavoro di
progettazione, che è meramente in-
tellettuale? Non stabilire un com-
penso legato alla professionalità,
legato all’enorme offerta rispetto
alla domanda, ha portato una cor-
sa al ribasso sulle basi d’asta i cui
effetti si fanno sentire, anche sui
conti pubblici. Le tariffe, al con-
trario, davano contezza del valore
delle singole prestazioni».
Un mercato poco bilanciato
anche per la poca lungimiranza
del nostro sistema universitario.
Ma questo è un altro, laborioso,
discorso.
PIETRO SALVATORI
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 15 DICEMBRE 2012
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