II
CULTURA
II
Il tramontodell’Occidente, secondoNiall Ferguson
di
ENNIO EMANUELE PIANO
e un mercante straniero, prove-
niente dalla Cina, dall’Impero
arabo degli Abbasidi o dall’India,
avesse visitato la piccola appendice
occidentale dell’immenso continente
eurasiatico durante il tredicesimo
secolo d.C. avrebbe giustamente
pensato di trovarsi davanti ad una
miscellanea di popoli economica-
mente, culturalmente e scientifica-
mente arretrati. Solo qualche secolo
dopo, i regni (e le poche repubbli-
che) emersi nella stessa area erano
invece diventati i ricchissimi e pro-
grediti padroni del mondo (letteral-
mente). Il perché di questo incredi-
bile processo storico è oggetto di
riflessione da secoli. Adam Smith
ne fu tra i pionieri con la sua
Ric-
chezza delle Nazioni
,
ma dell’argo-
mento si sono occupati tra gli altri
anche Weber, Hobson, Lenin e più
recentemente (con un’opera monu-
mentale che anche nel nome si ri-
chiama al capolavoro smithiano) lo
storico economico David Landes.
L’ardua impresa è stata ultima-
mente tentata da un altro storico,
il britannico Niall Ferguson. Celebre
per la conduzione di documentari
come
The Ascent of Money
e
The
War of World
,
il professore di Har-
vard è anche tra i più rinomati com-
mentatori politici contemporanei
(
attualmente è editorialista per il
magazine
Newsweek
)
ed ha servito
come consulente per gli ultimi due
candidati repubblicani alla presi-
denza degli Stati Uniti. Uscito ad
inizio 2012,
Civilization. The West
and the Rest
(
in Italia nelle librerie
dallo scorso novembre per i tipi
Mondadori col titolo
Occidente,
Ascesa e Crisi di una Civiltà
, 425
pp. per 22 euro) è stato tra i libri
più discussi dell’anno.
Con un linguaggio che richiama
volutamente quello delle moderne
tecnologie, Ferguson indica le ra-
gioni del successo occidentale in sei
killer apps
.
La competizione tra pic-
coli regni, principati e repubbliche,
tra porti commerciali e mercati sta-
gionali, eperfino tra chiese diverse
diede all’Europa del tardo medioe-
vo lo slancio necessario per l’età
S
delle scoperte e la successiva colo-
nizzazione delle Americhe prima,
dell’Asia e dell’Oceania poi, ed in-
fine dell’Africa. Nello stesso perio-
do, al contrario, l’impero Cinese,
che all’alba del XVI secolo poteva
contare sulla flotta più numerosa e
tecnologicamente avanzata del pia-
neta, guidata dall’ammiraglio ca-
strato Zheng He, decise di chiudersi
al mondo, di rafforzare la propria
integrità a scapito delle influenze
economiche (e dunque culturali)
straniere, distruggendo la suddetta
flotta e bandendo qualsiasi viaggio
oceanico, pena la morte.
Dopo la ritirata cinese, l’unico
ostacolo all’ascesa dell’Occidente
era incarnato da un altro immenso
impero, quello Ottomano. Fermato
alle porte di vienna nel settembre
del 1683, il Califfato di Istanbul vi-
de rapidamente crollare il proprio
controllo sull’Europa centro-orien-
tale. Gli europei, già sconfitti infinite
volte in Spagna, nei Balcani, nel
Caucaso e nel Mediterraneo, ave-
vano ottenuto qualcosa che permet-
teva loro non solo di tenere testa
agli eserciti della luna crescente, ma
di umiliarli in battaglia e ricacciarli
nel Vicino Oriente: l’artiglieria di
precisione. Essa non è altro che il
risultato dell’applicazione della ba-
listica, una branca della fisica, alla
scienza delle armi”. La Rivoluzio-
ne scientifica, che Ferguson polemi-
camente classifica come “interamen-
te eurocentrica”, dei Copernico, dei
Galileo e dei Newton, sarebbe stata
del tutto impossibile nei domini ot-
tomani a causa del fallimento turco
di “conciliare l’Islam ed il progresso
scientifico”. Imparata la lezione, Ke-
mal Ataturk, il padre della moderna
Turchia, decise che l’unica via per
portare il Paese nell’alveo delle na-
zioni moderne fosse l’occidentaliz-
zazione forzata dei costumi dei suoi
concittadini.
L’“occidente” non è però un uni-
co, compatto monolite: come spie-
gare dunque il successo di una parte
dell’occidente rispetto alle altre?
Perché, ad esempio, gli imperi por-
toghese e spagnolo, pur immensa-
mente ricchi di terre e tesori, sono
presto declinati mentre contempo-
raneamente il mondo vedeva l’asce-
sa delle potenze commerciali di
Olanda e Regno Unito? Cosa sa-
rebbe successo, si chiede Ferguson,
se i conquistadores spagnoli - e non
i padri pellegrini - avessero coloniz-
zato il Nord America? «[F]u un’idea
a fare la differenza cruciale tra
l’America Britannica e quella Ispa-
nica - un’idea sul modo in cui i po-
poli dovrebbero autogovernarsi. Al-
cuni fanno l’errore di chiamare
questa idea “democrazia” [...]. In
realtà, la democrazia fu la chiave di
volta di un edificio fondato sulla
ru-
le of law
-
per essere precisi la sa-
cralità della libertà individuale e la
difesa della proprietà privata, rin-
forzata da un governo rappresen-
tativo e costituzionale». Mentre la
cultura politica delle colonie britan-
niche faceva riferimento a John
Locke, quella sudamericana oscil-
lava tra «l’anarchia dello stato di
natura di Hobbes e la cruda cari-
catura della sua sovranità autorita-
ria».
Il periodo in cui la divergenza
tra
Westerners”
e
Resterners”
è
andata aumentando in maniera più
rapida e radicale fu, nell’interpre-
tazione dello storico di Harvard,
quello a cavallo tra Diciottesimo e
Diciannovesimo secolo. Questo “de-
collo” (per citare lo storico marxista
della rivoluzione industriale Arnold
Toynbee) dell’occidente, guidato
dalla Gran Bretagna, fu dovuto alla
società dei consumi e soprattutto
alla medicina moderna, «la più ec-
cezionale delle killer application».
La rivoluzione scientifica e quella
industriale, combinate con il con-
trollo europeo di gran parte di Afri-
ca e Asia che servirono da «gigan-
teschi laboratori» per la ricerca
scientifica nella lotta a morbi ed epi-
demia come la malaria ed il colera.
La società dei consumi fu invece la
molla fondamentale per l’esplosione
della rivoluzione industriale, in prin-
cipio una rivoluzione quasi esclusi-
vamente concentrata nella produ-
zione e nel mercato dei tessuti e che
spiega il perché fu proprio la Gran
Bretagna - caratterizzata da una
«
pressocché infinitamente elastica
domanda per abiti a basso costo»
e da una classe imprenditoriale
«
molto più motivata [rispetto a
quella continentale] a perseguire
l’innovazione tecnologica» - a spe-
rimentarla per prima.
Last but non least,
Niall Fergu-
son - cresciuto per sua stessa am-
missione in una famiglia orgoglio-
samente atea - indica nella religione,
o meglio nella weberiana “etica pro-
testante”, una caratteristica fonda-
mentale del successo occidentale.
L’autore, pur profondamente con-
vinto che «il dinamismo economico
[
dell’Europa occidentale e del Nord
America] fu una conseguenza ina-
spettata della riforma protestante»,
riconosce che la tesi di Weber ha i
suoi punti deboli, e che il sociologo
tedesco «era nel giusto, ma per la
ragione sbagliata»: non fu l’asceti-
smo puritano, né il dogma dell’ele-
zione incondizionata a determinare
l’esplosione delle economie dei paesi
protestanti nel Diciasettesimo e Di-
ciottesimo secolo, ma l’educazione.
Il punto (già individuato da Mon-
tanelli, nelle lunghe digressioni sulla
storia europea che caratterizzano
la sua
Storia d’Italia
)
è il seguente:
l’enfasi protestante per la lettura in-
dividuale delle Scritture portò ad
una rivoluzione culturale profonda,
con fette sempre più ampie di po-
polazione alfabetizzata che, oltre al-
la Bibbia, poteva ora dedicare il
proprio tempo a letture altre - an-
che quelle più scabrose e parados-
salmente irreligiose. Con l’alfabe-
tizzazione venne l’eplosione del
capitale umano, la curiosità intel-
lettuale e la libera circolazione delle
idee tolsero ai regnanti il monopolio
sulla produzione culturale conse-
gnandola imprevedibili passioni del
mercato” dei lettori.
Per cinque secoli, dunque, la sto-
ria globale è stata la storia di una
rapida ed inarrestabile “divergenza”
tra un occidente dinamico ed il re-
sto del mondo che, assopito, ne ve-
niva fagocitato. Questo almeno fino
al 1900. All’indomani della Seconda
Guerra Mondiale, difatti, il processo
più importante non è affatto stato
un ulteriore balzo avanti dei
we-
sterners”
guidati ora dagli Stati Uni-
ti, ma l’ascesa delle cosiddette “tigri
asiatiche”, ovvero quei paesi che -
sfuggiti alla trappola del comuni-
smo e del socialismo reale - hanno
adottato gran parte delle
killer
apps”
,
riuscendo nell’impresa di
modernizzarsi, raggiungere prima
e superare poi (nel caso di Corea
del Sud, Giappone, e, negli ultimi
due decenni, Cina) le maggiori po-
tenze economiche europee. «Il Se-
colo Asiatico», garantisce Ferguson,
«
è già iniziato». Noi occidentali, ag-
giunge, non dobbiamo però inciam-
pare nella fallacia di credere che «il
maggior pericolo per la civiltà oc-
cidentale provenga dalle altre civil-
tà». Al contrario, noi siamo il no-
stro stesso nemico: l’abbandono
della
rule of law
e della responsa-
bilità fiscale, l’espansione incontrol-
lata del ruolo dello stato e dei debiti
pubblici, oltre che gli imprevedibili
danni ambientali che potrebbero se-
guire un radicale cambiamento cli-
matico, e soprattutto l’incapacità di
tener testa all’ascesa (politica e mi-
litare, come dimotrano gli eventi
degli ultimi anni, ma anche cultu-
rale) dell’Islam radicale. Tutti frutti
della snostra stessa pusillanimità -
e della ignoranza della storia che la
alimenta».
«
Il SecoloAsiatico
è già iniziato», scrive
lo storico inglese
Neill Ferguson nel suo
Civilization.TheWest
and the Rest”(in Italia
nelle librerie dallo scorso
novembre per i tipi
Mondadori col titolo
Occidente,Ascesa
e Crisi di una Civiltà”)
Noi occidentali,
aggiunge, non dobbiamo
però inciampare
nella fallacia di credere
che «il maggior pericolo
per la civiltà occidentale
provenga dalle altre
civiltà».Al contrario,
noi siamo il nostro
stesso nemico:
l’abbandono
della“rule of law”
e della responsabilità
fiscale, l’espansione
incontrollata del ruolo
dello stato e soprattutto
l’incapacità di tener
testa all’ascesa
dell’Islam radicale.
«
Tutti frutti della nostra
stessa pusillanimità.
E dell’ignoranza
della storia
che la alimenta»
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 16 DICEMBRE 2012
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