di
STEFANO MAGNI
uella del Mali, ormai, è una
guerra francese a tutti gli ef-
fetti. Dopo l’intervento aereo, avan-
zano le truppe di terra. L’obiettivo
dichiarato è quello di sconfiggere il
terrorismo di Ansar Dine (affiliata
ad Al Qaeda) che ha posto le sue
basi nel Nord del Paese e ripristi-
nare l’integrità territoriale maliana.
Il Nord, autoproclamatosi indipen-
dente, con il nome di Repubblica
di Azawad, è ormai da un anno un
santuario” del terrorismo islamico,
un pericolo per il suo stesso popolo
(
oltre mezzo milione di profughi,
in fuga dal terrore delle milizie di
Ansar Dine) e per tutta la regione
del Sahel. Il contingente francese di
750
unità sarà ben presto portato
a 2500. Per ora, oltre all’aviazione
(
cacciabombardieri Mirage e Rafa-
le, elicotteri Gazelle e Tiger) sono
in azione anche gli uomini del 1°
Reggimento di Cavalleria della Le-
gione Straniera, specializzato nel
combattimento in terreni desertici.
Questa improvvisa escalation è
motivata dall’inaspettata resistenza
opposta dai miliziani di Ansar Dine,
armati di tutto punto. Grazie ai de-
positi di armamenti lasciati dalla
guerra di Libia. Sia i tuareg locali
che gli jihadisti hanno maturato
una lunga esperienza di guerra pro-
prio nel lungo conflitto civile libico.
Quando gli elicotteri francesi sono
Q
entrati in azione a Mopti, il primo
giorno di guerra, uno è stato abbat-
tuto e il suo pilota è morto in se-
guito alle ferite riportate. L’assalto
dell’esercito regolare del Mali a
Konna, pur sostenuto, dall’aria, dai
francesi, non è riuscito a scacciare
gli irregolari islamici. E questi ulti-
mi, lunedì, sono riusciti anche a
conquistare una seconda città del
Sud, Diabaly. Visto che le forze lo-
cali regolari non riescono a conte-
nere l’offensiva jihadista, neppure
con l’aiuto dell’aviazione dell’Esa-
gono, i francesi devono accorrere
in prima linea per tappare la falla.
Inizialmente Parigi, entrata a ma-
lincuore nel conflitto africano (pro-
prio dopo che il presidente sociali-
sta François Hollande aveva dichia-
rato “finito” il tempo degli inter-
venti militari diretti), aveva
concepito un intervento minore, a
sostegno delle truppe maliane e de-
gli alleati africani dell’Ecowas. I 750
uomini accorsi nei primi giorni
avrebbero dovuto solo proteggere
la capitale Bamako, dove risiedono
ancora molti dei 6000 cittadini
francesi che vivono nel Mali. E in-
vece eccoci qui: il rischio è quello
di un “pantano”, una possibile
guerra prolungata e lontana da ca-
sa, con un numero di perdite im-
prevedibile. Quello commesso dal
comando francese è stato sicura-
mente un errore di sottovalutazio-
ne: obiettivi sproporzionati ai mezzi
a disposizione. Non è la prima volta
che Parigi ci casca. Anche in Libia,
la previsione era quella di un con-
flitto breve. In quel caso non c’è sta-
to bisogno di mandare truppe di
terra, ma i bombardamenti sono
durati 8 mesi. Nella primavera del
2011
le scorte di missili e bombe
stavano già esaurendosi, sia nel Re-
gno Unito che in Francia. Alla fine
è stato solo per le forniture militari
degli Usa che la guerra è stata so-
stenuta fino alla fine. Non si tratta
solo di dettagli. Se la Francia ha in-
tenzione (come sta mostrando) di
mantenere l’ordine nella sua ex area
coloniale, dovrà fare i conti con i
costi di un ruolo così ambizioso.
II
ESTERI
II
Mali, quell’errore francese
di sottovalutare il nemico
Corea del Nord
l’orrore dei gulag
LaCina è ormai coinvoltanella guerra inBirmania
ontinuano gli scontri armati in
Myanmar nello Stato Kachin,
regione settentrionale al confine con
la Cina, tra l’esercito governativo e
il Kachin Indipendent Army (Kia),
le forze armate della minoranza et-
nica dei Kachin. Nel corso dell’ul-
timo mese gli scontri si sono inten-
sificati in maniera preoccupante e
sono arrivati a coinvolgere il gigante
asiatico: la crisi ha infatti spinto il
governo di Pechino a prendere delle
misure precauzionali e ad inviare le
proprie truppe nello stato meridio-
nale dello Yunnan, al confine con il
Myanmar. La situazione di emer-
genza si è intensificata nella notte
del 9 gennaio quando l’esercito go-
vernativo ha organizzato attacchi
via terra e bombardamenti aerei su
Laiza, città dove risiede l’intelligence
del Kia. Di conseguenza, alcuni
membri della minoranza etnica se-
paratista di origine cinese sono scap-
pati oltreconfine cercando rifugio
nello Yunnan dove vivono altri
membri della medesima etnia.
Gli scontri tra governo e milizie
dell’Esercito Indipendentista Kachin
non sono tuttavia notizia recente.
Infatti, i Kachin chiedono da oltre
60
anni il riconoscimento del pro-
prio diritto all’autodeterminazione
e all’indipendenza, che non sono pe-
rò mai state concesse dal governo
centrale per motivi di unità nazio-
nale e di natura economica. Tra gli
Anni Novanta e i Duemila il Kia ha
firmato un cessate-il-fuoco col go-
verno della giunta militare che ha
messo fine agli scontri per 17 anni.
Tuttavia, il problema dell’indipen-
C
gime militare. Nel caso in cui il con-
flitto continuasse, il processo di de-
mocratizzazione verrebbe screditato
dato che il Governo di Naypyidaw
dimostrerebbe di non riuscire a ri-
solvere pacificamente la situazione.
Questo, a livello internazionale, sa-
rebbe un passo rischioso, anzi, ri-
schiosissimo, in un momento storico
così delicato per la piccola repub-
blica del Sudest asiatico.
ENRICA HOFER
Onu “si accorge” della mas-
siccia violazione dei diritti
umani in Corea del Nord. Dal
1948,
quel pezzo settentrionale
della penisola coreana resta sotto-
messo a un regime creato per vo-
lontà di Stalin. Se, nel corso dei de-
cenni, l’Unione Sovietica stessa ha
iniziato ad ammorbidirsi, la Corea
del Nord ha mantenuto intatto il
sistema staliniano. Compreso l’ar-
cipelago dei Gulag, i campi di con-
centramento e lavoro forzato in
cui i prigionieri politici devono la-
vorare come schiavi. Della Corea
del Nord, all’Onu, si parla tanto.
Ma su altri argomenti: le continue
provocazioni militari contro la Co-
rea del Sud, i lanci di missili a lun-
go raggio, i test nucleari. Il gulag
coreano, sinora, non è mai stato
oggetto di particolari scandali, né
di sanzioni mirate. Solo questo lu-
nedì, Navi Pillay, a capo del Con-
siglio dei Diritti Umani dell’Onu,
ha chiesto un’indagine internazio-
nale. È molto difficile che degli
ispettori possano accedere al “re-
gno eremita”, dove non possono
neppure entrare gli operatori uma-
nitari che portano cibo a una po-
polazione affamata. In ogni caso
il riflettore si è acceso su una realtà
che pochi, finora, avevano notato.
Nonostante il fenomeno dei gulag
nordcoreani sia macroscopico: si
stima che vi siano internati circa
200
mila prigionieri. La Pillay ha
L’
potuto raccogliere personalmente
la testimonianza di due fuggitivi.
«
La pena di morte pare sia appli-
cata spesso anche per violazioni
minori del regolamento e dopo
processi totalmente inadeguati, o
senza alcun processo – ha dichia-
rato l’alta commissaria dei Diritti
Umani – I prigionieri che tentano
la fuga, ma sono catturati o riman-
dati indietro, devono affrontare
terribili rappresaglie, compresa
l’esecuzione capitale, la tortura e
l’internamento, spesso esteso a tut-
ta la loro famiglia». Le punizioni,
individuali e collettive, sono solo
un aspetto del gulag nordcoreano.
La vita quotidiana è fatta di lavoro
pesante fino alla sfinimento, abusi
di tutti i tipi, “rieducazione politi-
ca” (dove i prigionieri sono spinti
a denunciare i loro compagni di
sventura), niente abiti per proteg-
gersi dal freddo, razioni di cibo mi-
nime. E resta ancora oscuro il ca-
pitolo peggiore, riportato da
numerose testimonianze: quello
degli esperimenti sugli internati,
usati come cavie umane. Far luce
su questo orrore, però, difficilmen-
te provocherà qualche conseguen-
za politica. L’Onu stessa, nel suo
Consiglio di Sicurezza, include la
Repubblica Popolare Cinese, che
mantiene in funzione un arcipelago
di gulag (i Laogai) con, non
200
mila, ma milioni di internati.
(
ste. ma.)
denza non è mai stato risolto e nel
2008
con la caduta dei militari lo
stop alle armi ha smesso di avere ef-
fetto. Con la creazione della nuova
Repubblica di Myanmar gli scontri
sono ricominciati e le vittime civili
hanno iniziato nuovamente a mol-
tiplicarsi. Solo durante il bombar-
damento del 9 gennaio, secondo le
fonti ribelli, sono morte 3 persone,
notizia però smentita dal governo
del Myanmar. Inoltre, il conflitto è
aggravato dal fatto che manca un
processo di dialogo costruttivo tra
le parti e quindi la risoluzione del
conflitto sembra ancora lontana.
Questo conflitto interno rischia
ora di avviarsi verso una seria ed
imprevista escalation come dimo-
strato dagli ultimi eventi che hanno
preoccupato il Governo di Pechino.
La Cina aveva già rafforzato in pas-
sato la sorveglianza del proprio spa-
zio aereo nel momento in cui il Go-
verno del Myanmar e il Kia
avevano riesumato gli scontri. Le
paure di Pechino sono state confer-
mate nei primi giorni del nuovo an-
no quando tre bombe sganciate dal-
la forza aerea del Myanmar hanno
raggiunto il territorio cinese; Pechi-
no ha subito ammonito Naypyidaw
affinché simili incidenti non si ripe-
tessero in futuro. Tuttavia, dopo gli
ultimi avvenimenti, la Cina ha de-
ciso di intervenire e il conflitto ha
preso una piega inaspettata nel mo-
mento in cui Pechino ha mosso le
proprie truppe.
Questa situazione potrebbe
mettere in difficoltà le relazioni tra
il Myanmar e la Cina i quali sono
stati per lungo tempo fedeli alleati
ed importanti partner commerciali.
Infatti, il Governo di Pechino non
ama la messa a repentaglio dei
propri confini dato che ciò potreb-
be essere un rischio per la sua sta-
bilità interna. Quindi, il Presidente
del Myanmar Thein Sein dovrà
usare tutta la sua diplomazia per
gestire il conflitto tra lo Stato e i
Kachin per non alterare le relazioni
con la Cina. Infatti, per il Myan-
mar si profila la possibilità di per-
dere l’appoggio del proprio prin-
cipale alleato.
Il governo di Naypyidaw neces-
sita di risolvere al più presto la si-
tuazione in questa regione, anche al
fine di salvare la propria faccia a li-
vello internazionale. Infatti, la Re-
pubblica dell’Unione di Myanmar
si è recentemente avviata verso un
ambizioso processo di democratiz-
zazione e sta acquistando lentamen-
te credibilità a livello internazionale,
persa durante gli anni di rigido re-
Tre bombe oltre
il confine e la Cina
schiera le truppe
nelloYunnan. Il regime
del Myanmar,
con la sua guerra contro
la minoranza Kachin,
si mette in guai seri
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 17 GENNAIO 2013
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