Page 1 - Opinione del 18-9-2012

Direttore ARTURO DIACONALE
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Martedì 18 Settembre 2012
delle Libertà
Pdl Lazio: e adesso tutti a casa!
Il presidente della Regione, Renata Polverini, chiede scusa ai cittadini e mette all’angolo
la sua maggioranza. Ma il vero problema è la pulizia sul territorio di un partito ormai allo sbando
Il destino del Cav. e la democrazia dell’alternanza
Le idee di Renzi e il deserto politico del Pdl
IDemocratici riscrivono la storia a uso diObama
l destino del Cavaliere è quello di
polarizzare la vita pubblica ita-
liana. Silvio Berlusconi ancora non
ha ancora deciso se tornare a can-
didarsi alla guida del paese ma già
le sue parole, pronunciate nel corso
della crociera de
Il Giornale
,
rico-
minciano a dividere a metà la scena
politica nazionale.
Chi dava per tramontato il lea-
der del Pdl e assicurava che il suo
declino era ormai irreversibile sco-
pre oggi che quei giudizi erano privi
di fondamento. Può essere benissi-
mo che se il Cavaliere tornerà a ga-
loppare alla testa del Pdl gli elettori
non lo premieranno come in pas-
sato. Ma è assolutamente certo che
I
la campagna elettorale con lui in
campo si svolgerà con il vecchio
schema bipolare del passato.
Può apparire paradossale che
nel momento in cui i partiti stanno
trattando sul ritorno al sistema pro-
porzionale destinato ad archiviare
il bipolarismo bastardo della Se-
conda Repubblica, lo schema bipo-
lare riprenda a scattare come se
nulla fosse successo negli ultimi due
anni. Ma tant’è. Chi pensava che
fosse ormai arrivato il tempo di su-
perare l’alternativa tra destra e si-
nistra con il ritorno all’egemonia
della sinistra nascosta sotto lo sche-
ma della consociazione da anni ‘70
tra moderati post-democristiani e
progressisti post-comunisti, deve
ammettere di aver sbagliato. I fatti
parlano chiaro: il Cavaliere esterna
e l’intera politica italiana non può
fare a meno di rapportarsi in qual-
che modo, negativo o positivo che
sia, alle sue parole.
Fino all’altro ieri la politica na-
zionale sembrava una questione
esclusiva del Partito Democratico.
I temi dominanti erano la sfida di
Matteo Renzi al segretario Pierluigi
Bersani e le alleanze che il vincitore
di questa sfida avrebbe dovuto o
potuto realizzare prima e dopo le
elezioni. Il voto di primavera, co-
munque, sembravano una semplice
formalità diretta a consegnare im-
mancabilmente il paese agli eredi
del vecchio Pci affiancati dagli eredi
di una parte della vecchia Dc. La
stessa discussione sulla riforma elet-
torale sembrava una sorta di corol-
lario fastidiosamente necessario del-
la ineluttabilità del ritorno
dell’egemonia politica e culturale
della sinistra in Italia.
La riapparizione del Cavaliere
ha mandato all’aria il monopolio
su cui il segretario del Pd Bersani
poggiava la sua assoluta certezza
di essere comunque destinato a gui-
dare il paese con il concorso inin-
fluente del cespuglietto casiniano e
nell’assenza di una opposizione...
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2
e Matteo Renzi ha le stesse
idee di Silvio Berlusconi allora
è indifferente votare per l’uno o
per l’altro. A voler decifrare in
maniera corretta l’endorsement
del Cavaliere a favore del sindaco
di Firenze, francamente non mi
viene in mente altra conclusione.
Il leader del Pdl, nel corso della
sua traversata adriatica, infatti, ha
detto proprio così: «Renzi? È bra-
vo. Porta avanti le nostre idee sot-
to le insegne del Pd. Auguri». Il
centrodestra lo adotti, verrebbe si
potrebbe aggiungere. E Berlusconi
sarebbe pure d’accordo, sempre
che l’interessato fosse disponibile
ad accettare l’offerta.
S
Ormai la confusione politica è
alle stelle. Si scambiano lucciole
per lanterne. Ed il Cavaliere, non
sapendo che pesci pigliare, si at-
tacca perfino ad un temibilissimo
avversario (certo molto più ag-
guerrito e pericoloso di Bersani in
un confronto elettorale con lui)
del quale, con tutta evidenza, ap-
prezza il progetto di svecchiamen-
to del Pd, ma non conosce il pro-
gramma posto che non lo ha
ancora reso noto se non in mini-
ma e perfino trascurabile parte.
Renzi, con tutto il rispetto e
l’ammirazione che si può avere
per lui, è e resta un uomo della si-
nistra. Di una sinistra moderata e
dialogante, forse perfino un po’
troppo democristiano, ma comun-
que non inquadrabile, neppure al-
la lontana in un centrodestra ca-
ratterizzati da altri valori politici
e da differenti riferimenti cultura-
li.
Il fatto che Renzi intenda in-
novare il suo partito e, dunque,
rottamare i mandarini che lo gui-
dano, non deve indurre in errore
proprio chi rifiuta, con il suo at-
teggiamento, di assecondare il ri-
cambio nel centrodestra contrad-
dicendo la dichiarazione di stima
per il competitor di Bersani alla
primarie. Renzi un merito certa-
mente ce l’ha, ma Berlusconi pro-
babilmente lo ignora: ha movi-
mentato una forza politica addor-
mentata restituendo entusiasmo
ai militanti ed ai simpatizzanti, in-
ducendo la classe dirigente del Pd
a prendere atto che la stagnazione
la sta consumando, che le lotte di
potere al suo interno le stanno fa-
cendo perdere l’anima. Ma non è
proprio ciò che accade anche nel
Pdl di Berlusconi? E perché, se co-
sì è, il leader maximo non lo de-
nuncia, non si fa promotore lui
stesso dell’azzeramento e della ri-
costruzione del suo partito posto
che un Renzi nel centrodestra non
mi sembra che s’intraveda?
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2
attacco di Bengasi ha fatto ir-
rompere la politica estera nel
dibattito per le presidenziali ame-
ricane. La debolezza della dottrina
Obama, le difficoltà della strategia
statunitense in Medio Oriente, le
tensioni con Israele e la sempre più
probabile evoluzione drammatica
della crisi con l’Iran, spingono re-
pubblicani e liberal ad affilare le la-
me della polemica anche su questo
tema. La trasformazione della Pri-
mavera Araba nel lungo inverno
dell’integralismo islamico incredi-
bilmente sottovalutato (ma forse
non a caso) dall’attuale ammini-
strazione, sta spingendo Obama ad
utilizzare tutti i mezzi per dimostra-
L
re d’essere più credibile dei suoi av-
versari nel garantire la sicurezza na-
zionale e la protezione dalle minac-
ce terroristiche. E il modo migliore
per farlo è dimostrare che gli altri
non sanno farlo. Il rischio è di bru-
ciare il grande merito acquisito sul
campo di essere stato il Presidente
che ha eliminato dalla faccia della
terra Bin Laden.
E così, in occasione dell’anni-
versario dell’11 Settembre, il New
York Times, in prima fila nella cam-
pagna pro-Obama, ha pensato bene
di affidare al suo editorialista Kurt
Eichenwald un succoso articolo per
dimostrare che l’attentato islamista
che nel 2001 causò la morte di
6
mila persone, colpì al cuore la più
grande democrazia del pianeta e
cambiò la storia del mondo, è stata
colpa di George Bush.
L’articolo, emblematico già nel
titolo “La sordità prima della tem-
pesta”, è un atto di accusa netto
contro la precedente amministra-
zione repubblicana. Eichenwald
svela il contenuto di alcuni report
non ancora resi pubblici dalla
Commissione d’inchiesta sull’11
settembre, che dimostrerebbero co-
me Bush fosse a conoscenza del pe-
ricolo già nella primavera, cioè pri-
ma di quel 6 agosto 2001, data a
cui risale l’unico documento pub-
blico della Cia che anticipa l’atten-
tanto di Bin Laden: il primo maggio
la Cia comunicò alla Casa Bianca
la presenza di una cellula terrori-
stica attiva negli Stati Uniti pronta
a colpire, ed il 22 giugno un nuovo
brief annunciò come “imminente”
un attentato.
Non solo, ma Eichenwald rac-
coglie testimonianze di funzionari
dei servizi e mette insieme elementi
nuovi accaduti in quelle settimane,
secondo lui sottovalutati dai neo-
con alla Casa Bianca che li inter-
pretarono come depistaggi per di-
stogliere l’attenzione americana dal
vero pericolo: l’Iraq di Saddam
Hussein.
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2
di
ARTURO DIACONALE
Chi dava per tramontato
Berlusconi scopre oggi
che quei giudizi erano
privi di fondamento.
Può essere che gli elettori
non lo premieranno
come prima, ma è certo
che la campagna con lui
in campo si svolgerà
con lo schema bipolare
di
GENNARO MALGIERI
Ormai la confusione
politica è alle stelle.
Si scambiano lucciole
per lanterne. E il Cav.,
non sapendo che pesci
pigliare, si attacca
perfino ad un temibile
avversario di cui però
non conosce nemmeno
il programma elettorale
di
GIAMPAOLO ROSSI
Alan Dowd, su Front
Page, ha sottolineato
che se Bush ha avuto
sette mesi per prevedere
il pericolo Bin Laden,
Clinton ha avuto oltre
sette anni: a partire
dal ‘93, quando il primo
attentato alWtc causò
6
morti e oltre mille feriti
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