di
GIUSEPPE MELE
aradossalmente la voce grossa
fatta dal presidente Napoliti-
cano a difesa dei marò sequestrati
in India, nel giorno solenne che
ricorda la più importante delle
scarse vittorie militari dell’Italia
moderna non poteva apparire più
debole e chioccia. Nessuno, tran-
ne quel gianburrasca del grillo
parlante, ci ha troverà da ridere.
Analogamente se la sarebbe do-
vuto cavare il ministro della Di-
fesa De Paola, allo start dei giorni
ottobrini celebrativi nel 70° della
battaglia di El Alamein sul fronte
africano dove morirono in 4mila
paracadutisti e 35mila caddero
prigionieri.
De Paola ha usato le stesse pa-
role di Napolitano ma contro di
lui si sono scatenati, senza rite-
gno, gli animi esasperati e divisi
dell’Italia attuale. Cori, fischi e
insulti di militari, ex militari, mi-
litanti, amici e parenti dei soldati,
degli uccisi e dei traditi, in 30 an-
ni di missioni di pace e guerra,
hanno zittito il ministro da de-
stra, fin al suo ritiro negli spo-
gliatoi allo stadio di Pisa, stretto
tra base Nato e caserma della bri-
gata Folgore. Quasi un arbitro in
fuga davanti a spalti inferociti.
Fuori per le strade pisane
sgombrate dai cassonetti, per ti-
more che venissero incendiati, lo
attendeva, da sinistra, l’imman-
cabile corteo anarchico e pacifista
a contestare la celebrazione di un
evento militare, a prescindere, e
P
poi nello specifico, il ricordo di
un evento militare della guerra
fascista. Il corteo è potuto arri-
vare trionfante all’Università pi-
sana, che reca allegra nei muri
antistanti un allegro “Berlusconi
muori” e dove per contestare i fe-
steggiamenti era stata occupata
la facoltà di Scienze Politiche.
El Alamein, in effetti, è indi-
cativa della mentalità italiana. La
battaglia decise le sorti dell’occu-
pazione o meno, da parte dell’As-
se italotedesca, dell’Egitto inglese
e quindi del Medio Oriente, e del
sogno nazista di portare il con-
flitto nell’Asia sovietica e britan-
nica. L’orgoglio, italiano, mal e
mai confessato tra le righe, sta in
questa prospettiva di ruolo pro-
concretizzò con la sconfitta.
Malgrado i marmi ed il rispet-
to dovuto, anch’essi in realtà con-
tano poco davanti alla condanna
ideologica: le
skill
militari dei ser-
bi o dei pasdaran non valgono ad
affievolire la condanna universale
nei loro confronti. La questione
svela molto della coda di paglia
italica nelle questioni belliche.
Russi, tedeschi ed angloamericani,
come un tempo, i piemontesi, si
giudicano da sé, senza esigenza
di complimenti altrui.
L’insicurezza nazionale, in
guerra ed in diplomazia, fortissi-
ma anche oggi, come evidenzia la
stessa vicenda dei marò, evidenzia
una distanza tra istituzioni ed una
società capace di produrre una
forte industria bellica ed un im-
ponente sforzo logistico e finan-
ziario nelle tante missioni ingrate
fatte al servizio altrui. In genere,
in un contesto come la Pisa rossa
nell’ancor più rossa Toscana, bu-
ropolitica e cortei pacifisti viag-
giano insieme, in genere sui pul-
lman messi a disposizione dalle
prefetture per poter berciare con
comodo contro l’indifferente
campo Nato di Tirrenia. In questi
casi il sindaco deve momentanea-
mente divorziare dagli studenti.
Il ministro non a caso ha rin-
graziato per il sostegno il sindaco
Filippeschi che da parte sua ha
voluto apprezzare il senso civile
e civico dei “nostri militari”, i
quali insomma, non importa
quanto siano bravi a fare la guer-
ra, sistanzialmente sono ottimi a
II
CULTURA
II
La vergognosa condanna ideologica degli eroi che di
Il riferimento al valore
e al coraggio militare
resta, come il sacrario
costruito in Egitto,
un monumento
sostanziale,
lucente nella memoria
storica in paragone
al tracollo istituzionale,
sociale, psicologico
e morale
che si concretizzò
con la sconfitta militare
attivo e mondiale, che nei fatti al-
l’epoca della battaglia era già
molto ridimensionato, dipenden-
do l’italo fronte dall’arrivo e
dall’avanzata dei panzer tedeschi
nel deserto.
Questo pensiero, molto nasco-
sto negli strati profondi del sub-
conscio, confessa anche che molto
antifascismo e tutta una serie di
accuse antiregime, dal razzismo
al liberticidio, dalle mistiche alla
repressione e persecuzione dei ri-
vali politici, si riducevano spesso
ad una sola e insindacabile con-
danna, identificabile nella scon-
fitta, con tutte le conseguenze dei
disastri dei bombardamenti, della
fame, delle occupazioni e della
guerra civile.
Per l’Italia moderata e nazio-
nalista, El Alamein, ultima luce
di una possibile vittoria, prese nel
dopoguerra un valore positivo, di
esemplare eroismo della Pavia,
Folgore e delle altre divisioni im-
molatesi in Africa. A pensarci be-
ne, il peso romantico delle ipotesi
di ruolo e vittoria prevalsero an-
che sull’antinazismo, facendo
scordare che i germanici di El
Alamein non erano meno nazisti
di quelli della successiva occupa-
zione d’Italia. Il riferimento al va-
lore e coraggio militari resta, co-
me il sacrario costruito in Egitto,
un monumento sostanziale, lucen-
te nella memoria storica in para-
gone al tracollo istituzionale, so-
ciale, psicologico e morale che si
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012
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