Page 2 - Opinione del 19-9-2012

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POLITICA
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Galan: «Nel‘94 la rivoluzione fallì.Riproviamoci»
di
PIETRO SALVATORI
stituzioni, fisco, lavoro, autono-
mie e giustizia. Queste le cinque
grandi riforme sulle quali il diret-
tore de
l’Opinione
,
Arturo Diaco-
nale, chiederà un impegno ad An-
tonio Martino, Enrico Morando,
Guido Crosetto e Franco Debene-
detti. Sabato prossimo ad Assergi
provincia de L’Aquila – ci sarà
anche Giancarlo Galan, il barrica-
dero ex-governatore del Veneto che
appena un paio di mesi fa aveva in
animo di sfidare Angelino Alfano
alle primarie del Pdl. Non è un ca-
so che il suo sistema elettorale pre-
ferito sia quello che prevede collegi
uninominali: «Ho un sogno, quello
di realizzare in Italia un modello
che ricalchi quello anglosassone».
Lo sa che probabilmente resterà so-
lo un sogno?
Certo, ma in tutto questo chiac-
chierare di legge elettorale ci si deve
rendere conto che per una volta si
dovrebbe costruire qualcosa di utile
per il paese, e non all’interesse dei
singoli partiti. Mi sembra però che
la legge elettorale che stanno pre-
parando sia peggiore di quella at-
tualmente in vigore.
Perché il sistema all’inglese?
Si presta a meno porcherie di
quelli che abbiamo sperimentato
fino ad oggi in Italia. Anche se non
esiste una legge perfetta.
Dipende molto anche dall’architet-
tura dello stato?
Se quella elettorale è la riforma
più urgente, quella per cambiare
l’architettura istituzionale è la più
I
importante. Serve ridisegnare un
paese che consenta di governare a
chi vince le elezioni, perché oggi
non si riesce a farlo. Se vogliamo
ricercare un motivo storico, è che
la nostra Costituzione è stata ela-
borata dopo anni di dittatura, e ha
distribuito eccessivamente il potere
di decisione, volendo evitare che si
potesse ripetere l’avvento di un uo-
mo solo al comando.
Pensa ad un sistema presidenziale?
Mi sembra buono. E può avere
diverse sfumature. Basti pensare
che è adottato in forme diverse in
paesi con diversa storia e tradizione
politica. Sto pensando agli Stati
Uniti e alla Gran Bretagna, ma an-
che alla Germania.
Il progetto presentato dal Pdl al
Senato…
Sarebbe un progresso notevole.
Dopo l’approvazione in prima let-
tura, a suo avviso concluderà l’iter?
La vedo dura. Temo che non si
realizzerà mai.
Berlusconi e Alfano hanno molto
insistito su quel tema. Invece molti
gli rimproverano di aver fatto poco
contro l’inasprimento della pres-
sione fiscale.
Posso dire una cosa in contro-
tendenza con il mio partito?
Certamente.
Prima di protestare contro le
troppe tasse, bisognerebbe agire
sull’evasione e sull’erosione fiscale.
Nel tempo si è affastellato un enor-
me sistema di privilegi, che interes-
sa cooperative, onlus e anche la
Chiesa cattolica. Se dal totale delle
entrate sulle imposte che gravano
sulle persone fisiche escludi i lavo-
ratori dipendenti, si scopre che le
tasse non le paga nessuno. Lo stato
dovrebbe introdurre un’unica ali-
quota al 21%, e ne guadagnerem-
mo tutti. Detto questo, la pressione
fiscale ha raggiunto livelli ignobi-
li.
Ha ragione Susanna Camusso
quando dice che i lavoratori dipen-
denti sono tartassati?
Il problema è che l’Italia soffre
di un tasso di liberalismo bassissi-
mo. L’articolo 18, per esempio: ne
hanno fatto un feticcio, roba d’altri
tempi. La riforma del mercato del
lavoro è una cosa seria e da fare in
fretta, mentre la leader della Cgil
parla ancora di lotta di classe…
Qualcuno accusa gli Enti locali di
essere i responsabili dell’alta tassa-
zione.
Non pensa che fra municipi, co-
muni, province, città metropolitane,
regioni, stato nazionale ed Europa
ci sia qualcosa di troppo? Iniziamo
ad abolire le province, per iniziare.
Anche determinate regioni che in-
sistono su territori che vedono la
presenza di grandi agglomerati ur-
bani sono ridondanti. Poi si faccia
una legge che proibisca agli Enti
locali di detenere azioni di qualun-
que tipo di società. È ora di finirla
con gli scandali delle aziende mu-
nicipalizzate.
C’è chi, nel suo partito, propone
addirittura l’introduzione di ma-
cro-regioni.
Sono fregnacce. Perdiamo mi-
gliaia di posti di lavoro, figuriamoci
se possiamo permetterci di perdere
tempo con questioni come le ma-
cro-regioni. Sono battaglie inutili.
Forse avrebbe più senso insistere
sul Senato federale. È vero che se
ne parla da vent’anni, ma sarei di-
sposto a rimboccarmi di nuovo le
maniche.
Siete stati al governo per molti an-
ni. Perché non avete proceduto più
speditamente su questi temi?
Il problema è che in Italia i li-
berali sono stati sempre in un an-
golo, e per lo più divisi. Quando è
sembrato si potesse fare finalmente
una vera e propria rivoluzione, ab-
biamo perso clamorosamente l’oc-
casione. Questo ci rimarrà per sem-
pre addosso come una colpa.
segue dalla prima
Fini e Rutelli
(...)
come asse portante ed indispensabile
di qualsiasi nuova aggregazione centrista,
è apparsa come una chiara e definitiva scon-
fessione del percorso politico scelto da Fli
nella sua assemblea emiliana.
Fini, infatti, non è stato presentato e non
ha parlato come il rappresentante di una
forza politica affine ma autonoma che de-
cide di partecipare ad un progetto comune
con un partito maggiore.
È stato presentato ed ha parlato come per-
sonaggio singolo: come Beppe Pisanu, Em-
ma Marcegaglia, Corrado Passera. Cioè co-
me un esterno di prestigio che aderisce
singolarmente e personalmente ad un par-
tito che con Casini rivendica con forza ed
in polemica aperta con altri soggetti (Mon-
tezemolo) il ruolo di forza egemone del-
l’area di centro. Fli, di fatto, è dunque sciol-
ta. Ed i suoi aderenti e sostenitori non
hanno alcun progetto politico da seguire
ma solo il destino personale da sistemare
sull’esempio dato dal proprio leader Gian-
franco Fini. Non è un caso che qualcuno
stia cercando di avere la promessa di una
candidatura da parte di Casini, qualche al-
tro si stia indirizzando verso Montezemolo
ed altri ancora brancolino nel buio nella
difficoltà di trovare una qualche colloca-
zione affidabile.
La logica vorrebbe che l’esempio di Rutelli
a sinistra venisse seguito anche sul versante
opposto. E che gli orfani del Terzo Polo ri-
tornino nei rassemblement di origine. Ma
Rutelli ha seguito una logica politica a cui
agganciare quella personale, Fini ha fatto
il contrario. Ed i suoi amici, abbandonati
al proprio destino, o tornano alla logica
politica o sono destinati a scomparire.
ARTURO DIACONALE
lioni di persone in assenza della prova, in
mancanza del corpo del reato, cioè delle
immagini.
A questo ha condotto la cosiddetta civiltà
dell’immagine. Alla guerra. Di civiltà.
PAOLO PILLITTERI
Solo il silenzio
(...)
Il colpo finale, per ora, arriva dall’Egit-
to. Mentre sono domate le fiamme esteriori
ma non quelle interiori del salafismo ormai
dilagante e feroce che coglie ogni scusa per
attaccare, il suo presidente Morsi incontra
un ricercato dal Tribunale Penale Interna-
zionale dell’Aja: ovvero quel Bashir accu-
sato di crimini contro l’umanità in Darfur,
che se ne sta bello incravattato e impoma-
tato al Cairo, a colloquio con colui che
mentre l’ambasciata Usa egiziana veniva
messa a ferro e fuoco era in Italia a strin-
gere mani e a siglare accordi.
Vergogna, solo questo mi sento di dire alle
pseudo-organizzazioni per i diritti umani
che da sempre boicottano la libertà dei po-
poli perché essa contrasterebbe con la loro
esistenza. Vergogna per chi non va a pren-
dere Bashir come vorrebbe fare per Assad
o come voleva fare, prima che lo uccides-
sero, per Gheddafi. Il bottino che si stanno
contendendo coloro che gestiscono i destini
del mondo lo possiamo solo intuire, ma
non quantificare né descrivere appieno; la
sola cosa certa è che l’Occidente è all’an-
golo e continua ad indietreggiare, colpo do-
po colpo.
I salafiti sono solo l’immagine delle nostre
paure e delle nostre debolezze proiettata su
uno specchio, di modo che li possiamo
guardare ed avere sempre più paura. Ma
ancor più paura, mi permetto di dire, do-
vremmo averla di coloro che scientemente
ci hanno messo dinnanzi al nemico armato
di tutto punto, girandosi dall’altra parte,
sentenziando
politically correct
e costruen-
do una società più simile ad una gabbia che
ad una scuola per le nostre libertà. Ci è ri-
masto solo il silenzio.
SOUAD SBAI
Guerra di civiltà
(...)
Il fomite vero di quelle insurrezioni a
Bengasi, a Derna e a Tripoli fu la televisione
Al jazeera del potentissimo sceicco del Qua-
tar, ai cui persuasori più o meno occulti si
devono le immagini delle fosse comuni li-
biche assolutamente inventate (erano fosse
di cimiteri normali) e relative notizie del
tutto non verificate sulla fuga di questo o
quel figlio del dittatore, di questa o quella
strage di innocenti degna di una fiction.
L’ironia della sorte vuole oggi che, in quella
stessa Libia liberata - grazie soprattutto ad
una tv “democratica” araba - da un ditta-
tore peraltro già addomesticato, il fonda-
mentalismo islamico faccia irruzione usan-
do analoghi strumenti mediatici, con la
differenza che le immagini non sono nep-
pure manipolate ma addirittura immagina-
rie. C’è un salto per dir così qualitativo ri-
spetto ad altre immagini che hanno giocato
un ruolo di fondo in guerra. Per rimanere
nel mondo assiduamente terremotato e ter-
remotabile dell’Islam, basti pensare al cor-
morano del Golfo Persico ai tempi della
guera di Bush senior contro il diabolico
Saddam, accusato di aver fatto esplodere
artatamente le condotte di petrolio con con-
seguente inquinamento di flora e fauna col
povero cormorano impiastricciato, che in
realtà era una vecchia foto d’archivio del
Washington Post. E che dire delle scovol-
genti immagini della rumena Timisoara, di
corpi umani fatti a pezzi indicativi del re-
gime del terrore di Ceausescu - di lì a poco
fucilato senza processo insieme alla moglie
-
che invece erano riprese televisive di ca-
daveri a disposizione di ricerche scientifiche.
Il salto compiuto con il film/trailer è deci-
samente un balzo vertiginoso, una danza
macabra sul precipizio che coinvolge mi-
CHIUSO IN REDAZIONE CENTRALE ALLE ORE 19,20
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MERCOLEDÌ 19 SETTEMBRE 2012
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