i è chiuso il primo round refe-
rendario in Egitto per l’appro-
vazione della nuova Costituzione.
E già emergono alcune irregolarità
sulle modalità di voto. Secondo un
funzionario dei Fratelli Musulmani,
interpellato dall’agenzia stampa
Reuters, il 56,5% dei votanti ha so-
stenuto il testo costituzionale. In-
somma, il sì sarebbe in netto van-
taggio, almeno secondo il partito
guidato da Morsi. Al momento in
cui scriviamo, solo un terzo dei seg-
gi è stato scrutinato, e le stime for-
nite sono pertanto parziali. Ma non
si placa la guerra a suon di numeri.
Secondo l’emittente tv Egitto 25,
vicina ai Fratelli Musulmani, negli
uffici elettorali di Gharbia (nel Del-
ta), a Balbeiss, vicino ad Alessandria
e ad Assuan, ha prevalso il fronte
del si. Occorre ricordare che nella
prima tornata, solo dieci province
hanno espresso il loro voto; gli altri
25 milioni di egiziani dislocati nei
restanti 17 governatorati voteranno
il prossimo sabato. Eppure, dalle
prime proiezioni trasmesse invece
dalla tv di Stato egiziana, i conti
sembrano non tornare. Al Cairo e
ad Alessandria ha prevalso il fronte
del “no”, rispettivamente con il
68% e il 72% dei contrari; ma gli
islamisti non si arrendono e già as-
saporano la vittoria. All’indomani
del voto, l’Egitto si mostra profon-
damente spaccato. E anche l’af-
fluenza alle urne, secondo dati uf-
S
ficiosi, non sembra legittimare un
successo. Stime parziali parlano di
un risicato 32% di votanti, a fronte
dei 26 milioni di elettori attesi ai
seggi. Non stupisce se la chiamata
alle urne non abbia fatto registrare
picchi da capogiro, come fu invece
per le elezioni presidenziali del mag-
gio scorso; le prime “libere” dopo
la caduta di Mubarak. Il primo ci-
clo referendario si è svolto in un cli-
ma di forti tensioni. Non sono
mancati gli scontri e le vittime. E
per evitare possibili incidenti, il go-
verno egiziano ha piazzato sul cam-
po 120 mila militari e 600 tank al
fine di garantire la sicurezza sulle
strade. A rincarare la dose su pos-
sibili brogli e irregolarità Moham-
med El Baradei, capo del Fronte di
Salvezza Nazionale. Con lui altre
sette organizzazioni non governa-
tive per la difesa dei diritti umani
hanno denunciato alcune anomalie
nelle modalità di voto, tra cui la dif-
ficoltà di assicurare un giudice per
ogni seggio. Nella profonda frattura
tra islamisti e opposizione, s’insinua
il pericolo di una contraddizione
politica. Se la Costituzione venisse
rifiutata, Morsi sarebbe costretto a
convocare entro tre mesi l’elezione
di una nuova assemblea incaricata
di riscrivere la Costituzione (secon-
do le speranze dell’opposizione).
Poiché il referendum, indetto in due
turni, rappresenta di fatto l’ultima
tappa prima del voto del nuovo
Parlamento, una sua bocciatura
non solo non alleggerirebbe il carico
di tensioni sociali, ma lascerebbe
l’Egitto in balia dell’instabilità tanto
istituzionale quanto politica. Al con-
trario, il “si” confermerebbe lo stes-
so presidente Morsi alla guida del
Paese, conferendogli la solidità di
cui aveva bisogno per stabilizzare
l’Egitto e attuare, a suo dire, un
processo di “democratizzazione”.
È presto per tirare le somme, il
match più importante si disputerà
il 22 dicembre prossimo, quando
anche l’altra metà del Paese si re-
cherà alle urne.
PAMELA SCHIRRU
II
ESTERI
II
Il problema sono gli aggressori, non le loro armi
di
STEFANO MAGNI
opo il massacro nella scuola
elementare Sandy Hook, di
Newtown, Connecticut, il dibattito
politico negli Usa si è ancora una
volta concentrato sulla necessità di
riformare la legge sul porto d’armi.
Il presidente Barack Obama, dopo
la sua solenne promessa di preve-
nire altre stragi, ha riunito i vertici
del governo federale proprio per
discutere le riforme possibili: il vi-
cepresidente Joe Biden, il segretario
all’Educazione Arne Duncan, il
procuratore generale Eric Holder,
la segretaria alla Sanità Kathleen
Sebelius.
Il portavoce della Casa Bianca,
Jay Carney, ha dichiarato che leggi
più restrittive sul porto d’armi sia-
no “parte della soluzione”. Ma, in
ogni caso, il problema delle stragi
commesse da privati individui ar-
mati «…è complesso e richiederà
una soluzione complessa. Nessuna
singola norma risolverà pienamente
il problema». Lo dimostra anche
la gran varietà di membri del go-
verno interpellati (interno, istruzio-
ne, sanità, oltre alla vicepresidenza).
Ma in ogni caso il dibattito pub-
blico si concentra sul solo possesso
delle armi. E in particolar modo
delle “armi d’assalto”, semiauto-
matiche, il cui acquisto è legale nel-
la maggioranza degli stati.
La “complessità” del problema,
in ogni caso, si riferisce anche alla
forte opposizione che verrà incon-
trata. La libertà di possedere armi
da fuoco è infatti prevista, da tre se-
D
coli, nel Secondo Emendamento del-
la Costituzione.
In Europa siamo soliti stupirci o
indignarci per quello che percepia-
mo come un “attaccamento alle ar-
mi” degli americani. E non capiamo
perché sia così difficile fare una ri-
forma per limitare la loro circola-
zione. Quello che non vogliamo ca-
pire, prima di tutto, è la filosofia di
fondo della società statunitense, nata
da una lotta di liberazione contro
un potere imperiale. La libertà di
portare armi, prima di tutto, è una
difesa contro l’arbitrio del potere. I
costituzionalisti americani non
escludevano che il governo degli
Stati Uniti, un giorno, potesse di-
ventare tirannico tanto quanto quel-
lo degli ex dominatori britannici. Il
libero possesso di armi è una riserva
permanente contro la dittatura, do-
mestica o straniera che sia. Questo
vale per spiegare l’istinto di fondo
dell’americano medio.
Ma esistono anche molti argo-
menti più pragmatici per difendere
il possesso di armi. In effetti, fa no-
tizia la strage in una scuola, ma non
si parla mai delle numerose stragi
sventate. Nel 1997, a Pearl, nel Mis-
sissippi, una sparatoria in una scuo-
la è stata fermata dal vicepreside
dell’istituto, armato di rivoltella. Un
anno dopo, una sparatoria in una
scuola media è stata fermata da un
vicino armato di shotgun. Nel 2002,
a Grundy, in Virginia, una sparato-
ria in un istituto di giurisprudenza
è stato fermato dagli studenti stessi,
alcuni dei quali erano armati. Nel
2007, in un supermercato di Ogden,
nello Utah, l’aggressore è stato fer-
mato in tempo da un poliziotto fuo-
ri servizio, ma armato. Ancora:
2009, Houston, Texas, un uomo che
voleva compiere un massacro nel
suo posto di lavoro è stato fermato
da due colleghi, anch’essi armati.
Nel 2012, sempre ad Aurora, Co-
lorado (il luogo della “strage di Bat-
man”), una sparatoria in una chiesa
è stata prevenuta da un fedele ar-
mato. Poco fa, in un supermercato
di Portland, nell’Oregon, un man-
cato stragista si è suicidato veden-
dosi minacciato da un negoziante
armato. Insomma: le armi servono.
E questo gli americani lo capiscono
d’istinto. Difendersi da sé è più si-
curo che attendere l’arrivo della po-
lizia. Non è un caso che gli ultimi
peggiori massacri (Virginia Tech, ci-
nema di Aurora e Sandy Hook) so-
no avvenuti proprio dove le armi
erano tassativamente vietate.
Le statistiche non sono affatto
di aiuto a chi vorrebbe proibire o
limitare fortemente il possesso di fu-
cili e pistole. In Europa, il peggior
atto di follia omicida degli ultimi
anni, è avvenuto in Norvegia: un
unico uomo, Anders Behring Brei-
vik, è riuscito ad assassinare 77 per-
sone disarmate in un Paese in cui il
porto d’armi è strettamente control-
lato. In Svizzera e Canada, al con-
trario, le armi sono più diffuse che
negli Usa, ma il tasso di omicidi (e
il numero di stragi) non è nemmeno
paragonabile. L’economista ed edi-
torialista liberale Thomas Sowell,
nel suo articolo di ieri sulla National
Review, cita altri dati che potrebbe-
ro confondere la mente a qualsiasi
proibizionista europeo: i luoghi e i
periodi in cui i divieti sulle armi da
fuoco sono più rigidi, coincidono
con quelli in cui i tassi di omicidio
sono più alti. AWashington DC, ad
esempio, la criminalità è fra le peg-
giori degli Usa, a dispetto di una le-
gislazione sul porto d’armi fra le più
proibizioniste d’America. Nel Con-
necticut stesso, l’acquisto e il pos-
sesso di armi da fuoco è fra i più ri-
gidi. Eppure è proprio quello lo
stato in cui è avvenuta l’ultima
strage di Sandy Hook. In genere,
le armi sono più diffuse nelle aree
rurali, dove il tasso di omicidi è
più basso. Nella cittadina di Ken-
nesaw, in Georgia, il possesso di
armi in casa propria è addirittura
obbligatorio. E il tasso di crimina-
lità si è dimezzato da quando quel-
la legge locale è stata introdotta
nel 1982. In tutti gli Stati Uniti,
poi, il numero di omicidi (in rap-
porto alla popolazione) è diminui-
to negli ultimi venti anni… mentre
il numero di pistole e fucili in cir-
colazione è raddoppiato.
Vietare un certo tipo di arma,
quella “d’assalto” potrebbe non ser-
vire a nulla. Erano parzialmente
proibite fino al 2004, adesso Oba-
ma intende reintrodurre la loro mes-
sa al bando. Ma la strage della Co-
lumbine High School è avvenuta
mentre quella norma era ancora in
vigore. Anche a Sandy Hook, il plu-
ri-omicida Adam Lanza, era armato
con due pistole, oltre che di fucile
d’assalto. Quelle pistole sarebbero
legali anche secondo la nuova legge.
In generale, il 69% dei crimini è
commesso con armi legali anche se-
condo la prossima riforma.
Quel che si deduce, dalle stati-
stiche, dunque, è che il problema è
nelle persone, non nelle armi. I pro-
gressisti sono convinti che modifi-
cando l’ambiente circostante, dun-
que vietando le armi e magari anche
censurando film e videogiochi vio-
lenti, si possa cambiare la mentalità
dei cittadini. I conservatori, al con-
trario, credono nel libero arbitrio:
sono gli individui che fanno la so-
cietà. Individui che scelgono il male
possono rendere violenta la società.
Solo prevenendo e punendo gli ag-
gressori (anche con le armi) si può
vivere più sicuri. In tutta Europa ab-
biamo optato per la prima soluzio-
ne, quella progressista. Ma viviamo
più sicuri?
Egitto: a referendum in corso
gli islamici già festeggiano
“Guerra Santa”
contro l’antipolio
La maggior diffusione
di armi non coincide
con un tasso
di criminalità più alto
I conservatori credono
nel libero arbitrio:
è l’individuo violento che
rende insicura la società
n una drammatica escalation di
minacce e attentati, i volontari
medici che cercano di sradicare la
poliomelite dal Pakistan sono uccisi
dai terroristi islamici. Cinque donne
e un uomo sono stati assassinati ie-
ri. Stando a quanto riferito dalla
polizia, a Karachi quattro donne e
un uomo sono stati raggiunti da
colpi di arma da fuoco in diverse
zone della città; un’altra donna è
stata uccisa a Mathra, quartiere di
Peshawar. Gli omicidi sono stati
messi a segno nel secondo giorno
della campagna di vaccinazione
contro la polio, endemica in Paki-
stan. «Queste vittime sono tutti di-
pendenti del ministero della Sanità
della provincia di Sind - ha detto
un portavoce della polizia - i reli-
giosi hanno già emesso fatwe con-
tro la campagna di vaccinazione».
A fronte degli omicidi, il ministro
della Sanità della provincia di Sind,
di cui Karachi è capitale, ha ordi-
nato la sospensione delle operazio-
ni. Gli attentati sono stati preceduti
da una lunga serie di minacce che
avevano indotto il governo di Isla-
mabad a rallentare, rinviare, o so-
spendere la campagna anti-polio
nelle regioni tribali autonome (al
confine con l’Afghanistan). Colpen-
do anche in due grandi città, Ka-
rachi e Peshawar, i terroristi hanno
voluto far capire al governo paki-
stano che nessun luogo è sicuro.
Perché la vaccinazione anti-polio è
I
nel mirino dei terroristi? Un imam
integralista pakistano, Maulvi Ibra-
him Chisti, l’estate scorsa, spiegava
che la campagna anti-polio fosse
“anti-islamica” e che una guerra
santa dovesse essere condotta con-
tro di essa. Ma perché, appunto?
Secondo l’imam radicale, dietro al
vaccino contro la poliomelite si na-
sconderebbero veleni in grado di
sterilizzare i vaccinati. Chisti ha cer-
cato di convincere i suoi fedeli che
la campagna di vaccinazione fosse
“una cospirazione occidentale” per
rendere la popolazione impotente.
Questo, però, è solo uno dei tanti
imam che predicano il rifiuto dei
vaccini e la violenza contro chi
cerca di somministrarli. I talebani
hanno vietato le vaccinazioni nel
Nordovest, sostenendo che la cam-
pagna fungerebbe da copertura
per attività di spionaggio dopo che
è emerso che un dottore pachista-
no aiutò la Cia a individuare Osa-
ma bin Laden attraverso un pro-
gramma di vaccinazione contro
l’epatite. Nelle aree tribali del Pa-
kistan, sono più 240mila i bambi-
ni che non si è potuto vaccinare,
proprio per la resistenza opposta
dalle milizie talebane locali. Il Pa-
kistan, assieme all’Afghanistan e
alla Nigeria, altre due nazioni in
cui il radicalismo è diffuso e ar-
mato, è in genera uno dei Paesi in
cui la poliomelite è più diffusa.
MARIA FORNAROLI
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 19 DICEMBRE 2012
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