Direttore ARTURO DIACONALE
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Domenica 20 Gennaio 2013
delle Libertà
Che fine ha fatto l’Europa che scavalcò il Muro?
ono trascorsi ventitré anni dalla
caduta del Muro di Berlino. Era
il 9 novembre 1989, io avevo quin-
dici anni e tante cose su quella sto-
ria, sul comunismo e sulla seconda
guerra mondiale ancora non le sa-
pevo, ma le sensazioni, la gioia, la
bellezza di quel giorno le ricordo be-
nissimo. Un’epoca si chiudeva per
sempre e tutto sembrava possibile.
L’Occidente, i suoi valori, il suo mo-
dello filosofico, giuridico e compor-
tamentale aveva vinto e si sarebbe
diffuso senza incontrare ulteriori
ostacoli. Avevamo vissuto per de-
cenni sapendo quale fosse il bene e
il male, chi fossero gli amici e i ne-
mici, ciò in cui credevamo e ciò che
s
dovevamo combattere. Avevamo
delle certezze, delle convinzioni ra-
dicate, una certa consapevolezza di
noi stessi, ed era paradossalmente
tutto più semplice. Era bello sapere
da che parte stare potendola anche
criticare e contestare; era bella L’Eu-
ropa che si poteva solo immaginare,
era bello avere un sogno da realiz-
zare. Ora tutto questo è finito. Gli
ultimi venti anni di storia mondiale
si sono portati via molto più dell’ot-
timismo - forse superficiale - di chi
ha creduto che bastasse sconfiggere
il comunismo sovietico per spianare
la strada alle conquiste economiche
e sociali dell’Occidente. Ora sappia-
mo che il mercato, da solo, non pro-
duce automaticamente democrazia,
progresso, diritti, ed abbiamo anzi
dovuto imparare che ci si può tra-
sformare in una superpotenza eco-
nomica quanto politicamente e so-
cialmente arcaica grazie al
capitalismo di stato ed ai suoi schia-
vi. Ora sappiamo che la finanza può
benissimo non essere un portato del
libero mercato, una proiezione del-
l’economia reale, ma un mondo
astratto con una vita propria e pro-
prie esclusive regole, in grado tutta-
via di determinare la bancarotta di
interi paesi. Ora sappiamo che una
moneta comune non fa di un grup-
po di paesi una unione politica, e
sappiamo anche che i comunisti era-
no i migliori nemici che potessimo
avere, i più razionali e ragionevoli,
gente che governava col terrore ma
non avrebbe mai fatto del terrori-
smo un’arma di distruzione di mas-
sa. Ma soprattutto, ora sappiamo
che a fare la differenza non è mai
l’entità della forza della minaccia
che incombe su di noi, quanto la no-
stra intrinseca debolezza, la mani-
festa incapacità politica e culturale
in cui da tempo è piombato il Vec-
chio Continente. Perché? Perché non
abbiamo saputo portare a compi-
mento un progetto che è stato pen-
sato quando davvero sembrava im-
possibile, quando le macerie...
Continua a pagina
2
Il crollo della pubblicità porta in rosso l’editoria
a crisi economica abbatte la
pubblicità. Il crollo della pub-
blicità porta in rosso i ricavi
dell’editoria. Sono stati resi noti
i dati dell’accertamento diffusione
stampa (Ads) da parte della Fe-
derazione editori dai quali risulta
che i dieci giornali più venduti in
Italia non raggiungono i due mi-
lioni e trecento mila copie al gior-
no.
Se ci mettiamo le vendite degli
altri 60-70 quotidiani regionali e
locali si supera appena i due mi-
lioni e mezzo di copie. Una mise-
ria.
Da tempo sono analizzate le
cause della scarsa diffusione dei
L
giornali in Italia: una cattiva di-
stribuzione (la resa è molto alta),
scarsi abbonamenti anche a causa
dei ritardi con i quali arriva a ca-
sa la posta, propensione quasi
nulla dei giovani ad acquistare un
quotidiano preferendo i siti web,
non tirare fuori dalla tasche un
euro al giorno, mancanza o quasi
di quotidiani popolari come in
Inghilterra e Usa che usano un
linguaggio più facile di lettura,
basso livello di leggibilità e com-
prensione da parte del lettore che
si trova davanti paginate e pagi-
nate di politica e incomprensibili
articoli sull’economia. Ridimen-
sionati anche i quattro quotidiani
sportivi che messi insieme supe-
rano appena le 619mila copie
vendute al giorno, che crescono
il lunedì.
Dalle analisi mensili dell’Ads
emerge la necessità che i quoti-
diani del post Internet devono ri-
posizionarsi e superare il ritardo
negli investimenti in tecnologie e
digitale. I bilanci in qualche mo-
do reggono solo grazie ai ricavi
supplementari generati dai mezzi
collaterali (web, inserti, libri). Per
avere un quadro completo della
situazione occorre tener conto
delle vendite in edicola, di quelle
realizzate con altri canali e degli
abbonamenti (in verità pochi per
tutti). Il metodo utilizzato da Re-
pubblica per accreditarsi come
primo giornale non è esatto.
Il Corriere della sera, diretto
da Ferruccio de Bortoli, resta il
quotidiano più venduto con
396.069
copie. La Repubblica di
Ezio Mauro risale a 357.811 co-
pie.
Niente sorpasso,quindi, sul ri-
vale. La forbice tra i due princi-
pali quotidiani italiani resta a
vantaggio di Milano.
di
SERGIO MENICUCCI
Calo degli investimenti,
cattiva distribuzione,
scarsi abbonamenti
anche a causa dei ritardi
con i quali arriva a casa
la posta, propensione
quasi nulla dei giovani
ad acquistare quotidiani:
l’editoria tradizionale
è in crisi irreversibile?
di
VALENTINA MELIADÒ
Gli ultimi venti anni
di storia mondiale
si sono portati via
molto più dell’ottimismo
-
forse superficiale -
di chi ha creduto
che bastasse sconfiggere
il comunismo sovietico
per spianare la strada
all’Occidente
Bankitalia: un 2013 di recessione
K
Vede nero il governatore della
Banca d’Italia, Ignazio Visco. Che in una
lectio magistralis all’università di Fi-
renze parla di un’economia italiana «an-
cora in recessione», poco prima che il
suo intervento venisse interrotto dall’ir-
ruzione di studenti dell’estrema sinistra.
«
Nel quadro macroeconomico presen-
tato nel Bollettino economico della
Banca d’Italia di oggi - spiega Visco - il
Pil dell’Italia sarebbe sceso di poco più
del 2% nel 2012. Nell’estate del 2011,
prima che la crisi dei debiti sovrani si
estendesse al nostro Paese, si preve-
deva una crescita di circa un punto».
«
La recessione potrebbe avere fine nella
seconda parte del 2013», dice Visco. «Al
di là della congiuntura sfavorevole, il no-
stro paese deve saper trovare le motiva-
zioni e gli incentivi per affrontare con
decisione il problema della crescita». E
la conferma alle sue parole arriva nelle
previsioni contenute nel «Bollettino eco-
nomico» diramato venerdì. Peggiorano
le stime sul Pil, mentre l’occupazione si
ridurrà anch’essa di quasi l’1% nel 2013
e ristagnerà nel 2014, quando tasso di
disoccupazione arriverà al 12%.