Page 3 - Opinione del 20-10-2012

II
POLITICA
II
Gli Azzurri alla guerra:
stop alla rottamatrice
La corsa solitaria del Pdl
In Sicilia arriva il Cav?
iamo fatti. Se, fino a pochi gior-
ni fa, nel caos assoluto che re-
gna sovrano nella politica e nei
partiti italiani, le primarie del Pd
rappresentavano un barlume di
speranza, un appiglio psicologico,
un antidolorifico mentale anche
per gli elettori delusi del centrode-
stra, ora la realtà torna prepotente
a picchiare in piena faccia. Il con-
fronto tra Renzi e Bersani poteva
rappresentare qualcosa di determi-
nante nell’attuale fase politica. Non
solo una grande prova democratica
cui il partito meno incline – per ba-
gaglio storico e culturale – a questo
tipo di giudizio popolare aveva de-
ciso di sottoporsi, bruciando nei
tempi e nei modi il deserto di idee
e di uomini cui è ridotto il Pdl, ma
anche un esperimento concreto dal
quale partire per ripensare la legge
elettorale e l’architettura parlamen-
tare. Insomma, un regalo di cui
questo paese aveva veramente bi-
sogno. Una chimera inseguita fino
a quando abbiamo creduto, o ci
S
siamo voluti illudere, che le prima-
rie del Partito democratico, per la
prima volta, sarebbero state effet-
tivamente aperte, autentiche. E
d’altronde i presupposti per cre-
derci non mancavano. Quando
mai, nella sinistra italiana, si era
visto un “ragazzino”, un outsider,
sfidare la nomenklatura del partito
gente cresciuta alla scuola poli-
tica e umana del Pci – riempire le
sale parlando di rottamazione, di
ricambio generazionale, di mercato,
lavoro ed economia in termini li-
berali? E quando mai si era visto
il partito incassare con una certa
nonchalance, accettare la sfida e
dichiarare aperta la partita? Per un
attimo è sembrato persino che la
scommessa di Veltroni, quel padre
del partito democratico immedia-
tamente punito e messo da parte
per aver creduto in una definitiva
svolta socialdemocratica dei resti
del Pci - oltre che per essersi illuso
di poterla attuare con l’aiuto degli
integralisti cattolici della Marghe-
rita – potesse concretizzarsi proprio
quando il restante quadro politico
andava disintegrandosi.
Invece no. Una mattina i diri-
genti del Pd si sono svegliati e han-
no fatto due conti, accorgendosi
che Renzi, le maledette primarie,
poteva vincerle per davvero. Pani-
co. E’ scattato il delirio. Perché che
il sindaco di Firenze potesse minac-
ciare veramente la leadership di
Bersani - e non solo - non ci ave-
vano creduto nemmeno per un mi-
nuto. Era tutta una farsa. Le pri-
marie, secondo loro, dovevano
andare come le volte precedenti:
tutto chiaro pronto e stabilito, no-
me cognome e ruolo. Senza sorpre-
se e senza stress per le enormi
aspettative che la loro falsa bono-
mia aveva creato nell’intero corpo
elettorale italiano. Bisognava cor-
rere ai ripari, e poche mattine dopo
ci siamo svegliati noi con l’improv-
visa candidatura di Vendola e la
mega assemblea per stabilire le re-
gole delle primarie. Quelle nuove,
perché le vecchie, all’improvviso,
non andavano più bene. Lo si è fat-
to, è stato detto, per permettere a
Renzi di candidarsi (il che già do-
vrebbe far riflettere sulla liberalità
dello statuto del Pd), e sarà certa-
mente per questo che è stato pro-
posto e votato (pare) il doppio tur-
no e l’impossibilità per chi non si
è registrato al primo di votare al
secondo. E di sicuro non è stato
fatto per disincentivare la votazio-
ne dei potenziali elettori di altri
partiti, e men che meno per fare in
modo che Bersani e Vendola, al se-
condo turno, si uniscano per vin-
cere inesorabilmente. Con la stessa
ottica, non è per questa eventuale
alleanza che il segretario del Pd e
il leader di Sel hanno firmato una
carta d’intenti, per il futuro gover-
no, che è una dismissione oggettiva
dell’operato del governo Monti e
una presa di distanza totale dalla
visione renziana dei problemi del
paese. Ma poi, è davvero così? Per-
ché in realtà nessuno, finora, ha ca-
pito veramente con quali regole si
andrà a votare alle primarie. Nel
caos generale quello che era uno
spiraglio è diventato una nebulosa
dalla quale nemmeno i dirigenti del
partito stesso riescono ad uscire. Il
documento firmato all’assemblea
non è chiaro, è suscettibile di di-
verse interpretazioni e il risultato
è che i giorni passano in trattative
serrate quanto segrete. Sembra una
barzelletta invece è un fatto stori-
co.
Perché vedere in un servizio te-
levisivo un signore che spiega al
giornalista, senza alcuna reticenza,
che tutti i settori sindacali della
Cgil voteranno in blocco per Ber-
sani, significa che la militarizzazio-
ne partitica e sindacale dei tempi
del Pci resiste al tempo e agli uo-
mini. E che gli uomini non hanno
alcuna intenzione, al di là delle ap-
parenze e dei cambi di nome e sim-
bolo, di intaccarlo. Anzi. Sono im-
pazziti proprio quando hanno
capito che la struttura rischiava di
essere minata sul serio da un “paz-
zo” che si è messo a dire che devo-
no andare tutti a casa, e hanno fat-
to quadrato. Una volta certi eccessi
di zelo venivano puniti con metodi
draconiani, oggi bastano Vendola
e le regole delle primarie, ma la so-
stanza non è cambiata, e il nodo
della questione è tutto qua.
Resta il fatto che Renzi ha rotto
il recinto e i buoi, impazziti, sono
usciti. Veltroni, che ha saputo
aspettare con calma e sangue fred-
do per quattro anni, si è preso la
sua rivincita annunciando di non
ricandidarsi, uscendo così a testa
alta dal Parlamento e bruciando
sul tempo e lo stile tutti i suoi col-
leghi; tanto di cappello. Mentre
d’Alema, il cinico, affettato e sprez-
zante d’Alema, ha perso la testa e
ha dichiarato guerra a Renzi per-
ché non accetta che questo ragaz-
zino impudente possa davvero ob-
bligare la classe dirigente del Pd,
quella che a suo tempo ha saputo
aspettare il proprio turno con due
piedi in una scarpa, ad andare a
casa in massa, e gli altri, sostan-
zialmente, non sanno che pesci
prendere. Uno scompiglio totale. Il
destino del Pd, ma anche, per molti
aspetti, dell’Italia intera, ora, è nelle
mani degli elettori democratici che
voteranno alle primarie. Sapremo
così, una volta per tutte, se per la
prima volta nella storia italiana
l’elettorato di sinistra sarà più mo-
derno e riformista della sua classe
dirigente, oppure se dal caos attua-
le passeremo direttamente al disa-
stro annunciato delle prossime ele-
zioni.
VALENTINA MELIADÒ
Il destino del Pd,
ma, per molti aspetti,
dell’Italia intera,
è nelle mani degli elettori
democratici che
voteranno alle primarie.
La sfida del sindaco
di Firenze cambia tutto
di
RUGGIERO CAPONE
l Pdl non è di estrema destra, non è il
partito di Le Pen, non è contro l’euro
e per l’uscita dall’Ue. Detto questo non ho
alcun problema personale con Santanché»,
ribatte con queste laconiche parole il segre-
tario del Pdl, Angelino Alfano. Ma il polve-
rone sollevato da Daniela Santanché, che ha
chiesto le dimissioni della classe dirigente
del partito, trae spunto anche dall’immobi-
lismo che sta contraddistinguendo il grande
partito di centro-destra. È evidente che ormai
il Pdl sia un partito in cui è difficile entrare,
ancor più arduo proporre qualsiasi progetto
politico, e perché le segreterie hanno ordini
tassativi di gambizzare qualsiasi proposta,
specie se proviene da corpi estranei e lontani
alla dirigenza storica. «Daniela Santanché
lancia bombe per rottamare Alfano e, con
lui, sciogliere il Pdl. Trovo queste polemiche
suicide e omicide innescate ad hoc, nefaste
per il centrodestra italiano», dice la deputata
Pdl Beatrice Lorenzin, notoriamente solidale
con la nomenclatura (la casta per intenderci).
«
Non mi sembra la sorella di Renzi - aggiun-
ge la Lorenzin - non mi pare abbia le carte
in regola per potere proporre la rottamazio-
ne di un soggetto politico che ha un blocco
sociale di riferimento ben definito». È evi-
dente che il blocco sociale a cui si riferisce
la Lorenzin siano solo e soltanto gli eletti.
Ma in cosa si sostanziano le accuse lan-
ciate dalla Santanché? «Oggi il Pdl è peggio
della peggiore Democrazia cristiana: con lac-
ci, briglie, organigrammi, statuti, congressi,
coordinatori e vicecoordinatori - ha affer-
mato Daniela Santanché (esponente Pdl) ai
«
I
microfoni di
radio Città futura
-.
È lo stesso
Berlusconi a dire da tempo che il Pdl non
esiste più e che si deve cambiare ha conti-
nuato la Santanché e ha aggiunto bisogne-
rebbe abituarsi ad essere meno omertosi e a
dire veramente e in maniera trasparente quel-
lo che succede nel nostro partito: io non ho
difficoltà a dire che sarebbe opportuno scio-
gliere il Pdl e ripartire con una cosa nuova.
Chi non vede questa realtà - prosegue - e
non vuole aprire il dibattito, chi dice si taccia
ci vogliono più contenuti e meno plastica,
la plastica ce l’ha nel cervello. Il Pdl deve ri-
spettare le idee di tutti, azzerare e ripartire:
la presunzione e l’arroganza di condannare
le mie parole con l’insulto e con la delegit-
timazione sono cose brutte, perché invece è
bello e necessario discutere e confrontarsi
auspicando la nascita di un progetto più
grande: perché ritengo che il centro destra
sia ancora la maggioranza di questo paese
e, se Berlusconi non dovesse scendere in cam-
po, non credo sia un’offesa invocare le pri-
marie».
«
Io la penso esattamente all’opposto della
Santanché - ribatte Fabrizio Cicchitto (Pdl,
quasi un novizio della politica) -. Con questa
campagna non si lavora per il centro destra,
ma per disintegrarlo». È ormai evidente che
l’elettorato di centro-destra chieda un rin-
novo d’idee e classe dirigente, mentre eletti
e coordinatori locali stanno optando per una
linea morbida, per un immobilismo tattico
che include anche il non coinvolgere i sim-
patizzanti nel dibattito per il rinnovamento.
Il Pdl s’è ammalato di stalinismo? È questo
il succo delle accuse lanciate dalla Santan-
ché.
itengo misteriose le ragioni che han-
no spinto l’Udc a sostenere un can-
didato della sinistra. Ciò che sappiamo è
che ora vorremmo che il nucleo del centro-
destra fosse composto dal Pdl, Pid e dalla
lista di Musumeci e che sulla base di queste
alleanze si sviluppi in Italia una coalizione
altrettanto credibile». Parola di Angelino
Alfano, segretario nazionale del Pdl che ieri
a Palermo, insieme al leader del Pid e al co-
ordinatore della lista Musumeci, Saverio
Romano e Adolfo Urso, hanno presentato
un pacchetto di riforme per la Sicilia sul
welfare e sulla famiglia. Un’iniziativa poli-
tica a otto giorni dal voto per le regionali
nell’Isola con la quale si ribadisce l’atten-
zione verso questi temi e sui quali, afferma
Alfano «la coalizione guidata da Crocetta
credo abbia difficoltà a realizzarli». Un ri-
ferimento al partito di Casini con il quale,
dice Alfano «c’è un dialogo intermittente,
meno intenso di quanto si crede». «L’espe-
rienza siciliana - continua il segretario - di-
mostra che non è facile creare unità sui con-
tenuti, sui quali sarebbe stata naturale
un’alleanza con l’Udc». Ma non solo un an-
nuncio di tre disegni di legge da presentare
all’Ars che, assicura il segretario del Pdl,
«
entro i primi cento giorni saranno tramu-
tati in legge da Musumeci e dalla maggio-
ranza che lo sosterrà». Per Alfano, che non
ha escluso la disponibilità di Silvio Berlu-
sconi a venire in Sicilia prima della chiusura
della campagna elettorale, è stata anche l’oc-
casione per annunciare pulizia all’interno
del partito, dopo i recenti scandali e i casi
di corruzione: «Noi - ha assicurato - l’ex
Guardasigilli – cacceremo ladri, gaglioffi e
«
R
malfattori. Non vogliamo persone nel Pdl
che sporchino la nostra bandiera e ci rite-
niamo parte lesa». Alfano, che ha sottoli-
neato l’onestà di Musumeci perché ha sa-
puto amministrare bene e mantenere le mani
pulite, sulle future alleanze del post voto ha
affermato: «Nessuno ci dice che se noi vin-
ciamo non lo facciamo anche un’ampia
maggioranza. Se ciò non dovesse accadere
-
continua il segretario - la cercheremo in
Parlamento sui singoli provvedimenti e con-
tenuti e non nascerà da un negoziato di po-
teri, magari sugli assessorati». Certo, la bat-
taglia in Sicilia è molta dura e il Pdl deve
riscattare il risultato per nulla soddisfacente
delle scorse amministrative. Alfano ammette
anche di essere personalmente impegnato
nella ricostruzione del centrodestra italiano
che deve partire proprio dal nucleo che oggi
si presenta in Sicilia. E al contrario di molti
altri esponenti politici ritiene che «le ele-
zioni regionali non siano un test nazionale,
ma comunque una buona prova per noi,
perché in Sicilia le coalizioni sono scomposte
rispetto alle dinamiche del paese». E sulle
dichiarazioni di Daniela Santanché, che chie-
de l’azzeramento del Pdl, è stato molto chia-
ro: «Il Pdl non è il partito di Le Pen, non è
contro l’euro e per l’uscita dall’Ue. Se il ten-
tativo di qualcuno è di spostare all’estrema
destra il partito dandoci un’impronta an-
tieuropeista e di esprimere un giudizio pes-
simo sul governo Monti, non è questa la li-
nea del partito. Meglio dirlo prima per
essere chiari dopo. Detto questo - conclude
Alfano - non ho alcun problema personale
con la Santanchè».
ROSAMARIA GUNNELLA
Perché i gazebo Democratici cambieranno tutto
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 20 OTTOBRE 2012
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