Page 4 - Opinione del 22-9-2012

e sorti della Rai sono in mano
a Corrado Passera, il ministro
di Sviluppo e trasporti che siede
a via Veneto nell’ufficio ad angolo
che è stato di Giulio Tremonti e
Romano Prodi. Quello che pre-
occupa di più non sono tanto i
200
milioni di rosso di fine anno.
È il discorso economico-finanzia-
rio-produttivo nel suo complesso
dell’azienda radiotelevisiva pub-
blica che non torna. L’azienda
pubblica è in profondo stato di
crisi, è vecchia, tecnologicamente
arretrata da museo di archeologia
televisiva rispetto ai concorrenti
anche piccoli, è infarcita di gene-
rali soprattutto a livello giorna-
listico e dirigenziale. E dipende
ancora eccessivamente dai partiti
e dalla politica.
Nonostante 11.589 dipenden-
ti, più altri 1.660 lavoratori con
contratto a tempo determinato
(
ma i sindacati nella fase del rin-
novo del contratto dei lavoratori
non giornalistici parlano di 15mi-
la unità), di cui circa 2mila gior-
nalisti gli attuali vertici di viale
Mazzini (nuova presidente Anna
Maria Tarantola, nuovo direttore
genere Luigi Gubitosi e nuovo
consiglio di amministrazione)
hanno avuto il coraggio nell’ulti-
mo cda di nominare due esterni
a posti di responsabilità con trat-
tamenti che superano i 294mila
euro lordi annui fissato dalla leg-
L
ge per i manager pubblici. Si trat-
ta del nuovo direttore finanziario
Camillo Rossetto che viene da
Fiat Industrial e del direttore delle
relazioni esterne Costanza Escla-
pon che arriva da Alitalia per
prendere il posto di Guido Paglia
che va in pensione. L’unico com-
mento critico è stato quello del
consigliere Antonio Verro, che
ha rilevato la contraddizione tra
la necessità di effettuare risparmi
e la voglia di avere accanto per-
sone di fiducia.
Sul perché la Rai presenti bi-
lanci in rosso il discorso è lungo.
Solo nel 2011 il bilancio venne
presentato in pareggio (anzi + 4
milioni) dall’allora direttore ge-
nerale Lorenza Lei (passata ora
alla Sipra) e approvato anche dal
presidente Paolo Galimberti con
le sole riserve del consigliere Nino
Rizzo Nervo. Si veniva da 5 anni
di rosso. Ora la colpa viene data
alla diminuzione del flusso pub-
blicitario (fenomeno generale alle
tv e alla carta stampata) e ai di-
ritti televisivi acquistati dalla Rai
per gli Europei di calcio e le
Olimpiadi di Londra (105 milio-
ni). Non è proprio così. Chi ha
seguito l’esclusiva Rai sul calcio
europeo (le partite degli azzurri
giunti in finale hanno attirato mi-
lioni di ascoltatori) sa che erano
infarciti di spot pubblicitari, an-
che eccessivi, e che dell’eccessiva
pletora in trasferta (hotel, cola-
zione, pranzo e cena) di commen-
tatori e consulenti esterni se ne
poteva fare a meno. Il costo delle
Olimpiadi è stato parzialmente
recuperato con la cessione a Sky
di parte dei diritti dei mondiali in
Brasile 2014. Anche nei palinsesti
della nuova stagione si ritrovano
tanti personaggi, consulenze e fi-
gure inutili o superflue. Manca
un piano industriale che sappia
individuare dove e come raziona-
lizzare i costi. È riduttiva l’ipotesi
del dg di mandare una sola tele-
camera Rai per riprendere le im-
magini per tutti i telegiornali (una
piccola telecamera digitale può
sostituire una troupe, ha detto
Gubitosi senza porsi il problema
delle sedi regionali, delle distanze
da Saxa Rubra alle sedi istituzio-
nali, dei 194 giornalisti della ra-
dio). Come mai il costo degli ap-
palti esterni è aumentato? Quali
sono le cause che hanno fatto au-
mentare il costo del lavoro di 2,5
milioni senza il rinnovo del con-
tratto dei dipendenti non giorna-
listici e senza premio di risultato?
Il ragionamento di risanamento
va portato allora sul contratto di
servizio in scadenza a fine anno,
sull’evasione del canone e sul per-
ché la Sipra ha incassato solo
740
mila euro del milione e mezzo
preventivato.
SERGIO MENICUCCI
II
POLITICA
II
L’Imu, l’America e lemezze verità di Luigi Zingales
di
CRISTINA MISSIROLI
iovedì sera, La7, Piazza Pu-
lita. In collegamento l’eco-
nomista liberista Lugi Zingales.
Il conduttore lo chiama in causa
per una domanda secca, subito
dopo aver ascoltato la viva voce
di Silvio Berlusconi che promette
di eliminare l’odiata Imu. Il con-
duttore chiede: «Si può davvero
eliminare l’Imu?». Zingales ri-
sponde, in sintesi: «Io vivo in
America e pago tasse altissime
sulla proprietà della casa. Lo ri-
tengo giusto perché fruisco dei
servizi della città. L’Italia paga
una tassa inferiore a quella che
pago io. Non si può tornare in-
dietro».
Ecco, il discorso di Zingales
non fa una piega. Anzi, è di asso-
luto buonsenso. Ma è una rispo-
sta a metà e come tutte le mezze
verità rischia di trasmettere un
messaggio sbagliato e di trasfor-
marsi facilmente in menzogna.
Perché il problema per il sin-
golo cittadino (ma anche per il si-
stema paese) non è quanto si pa-
ga sulla casa, o sulla rendita o sul
lavoro. Il problema è la pressione
fiscale generale alla quale il me-
schino è sottoposto. E di certo
Zingales, pur avendo scelto uno
degli stati americani con il livello
di tassazione più alto, non può
reggere il confronto con un col-
lega che vive in Italia.
Ma andiamo con ordine. Può
essere vero che in Italia si paghi-
no meno tasse sulla casa di quan-
G
te se ne pagano a Chicago, dove
probabilmente Zingales risiede,
visto che là insegna. L’aliquota
nella contea di Cook arriva al
1.25%
del valore catastale della
casa. E siccome il catasto funzio-
na e noi immaginiamo abbia una
bella casa, la cifra pagata sarà di
certo piuttosto alta. Ci fidiamo.
Ma come dicevamo prima,
ammesso anche che le tasse sulla
casa siano in Italia particolarmen-
te basse, non è questo il punto del
problema. Perché la tassazione
generale, invece, è altissima.
Torniamo perciò all’esempio
Zingales. Se il professore paga le
sue tasse in Illinois, il suo reddito
è sottoposto ad un’imposizione
che per il 2011 ha raggiunto il
suo record storico con un’aliquo-
ta del 31,9%. Meno di un terzo
delle sue entrate, dunque, se ne
va in tasse.
Se lavorasse in Italia, il suo
bottino a fine anno, sarebbe in-
vece decisamente più magro. Se-
condo un recente studio di Con-
fcommercio, infatti, in Italia, chi
è fedele al fisco sopporta una
pressione fiscale effettiva pari al
55%.
Secondo l’analisi di Confcom-
mercio, infatti, le condizioni delle
finanze pubbliche italiane hanno
costretto a ritoccare al rialzo l’im-
posizione fiscale, portandola dal
43%
del 2007 al 45,2%. Tanto
che oggi il nostro paese si posi-
ziona al quinto posto su scala eu-
ropea per pressione fiscale appa-
rente (davanti a noi rimangono
la Danimarca con 47,4%, la
Francia 46,3%, la Svezia 45,8%
e il Belgio 45,8%). La situazione
però peggiora notevolmente se si
esclude dal calcolo del Pil la quo-
ta di sommerso e si procede dun-
que a calcolare la pressione fisca-
le effettiva (ossia quella che deve
sopportare chi realmente paga le
tasse, senza prendere in conside-
razione gli evasori). Ebbene, in
Italia, chi non evade sopporta
una pressione fiscale pari al 55%,
un dato senza eguali tanto in Eu-
ropa, quanto nel resto del mondo.
Dietro lo stivale, ma ben distan-
ziati, si piazzano il Belgio (48%)
e la Svezia (46-47%).
Basta scorrere questi numeri
per capire quanto la mezza verità
di Zingales («In America si paga
di più sulla casa») sia fuorviante
quasi quanto una bugia. Fa sem-
brare Berlusconi un imbecille e fa
sentire noi quasi in colpa. Invece
no. Gli italiani non sono in grado
di sopportare questo livello di
tassazione. Si può discutere della
ricetta da attuare: eliminare l’Imu
o tagliare tutte le altre tasse. Ma
dire che va bene così non è da
Zingales, né da liberista. E nep-
pure da firmatario del manifesto
Fermare il declino”. O forse sì?
Perché pur di dare addosso a Ber-
lusconi, tutto vale. Anche le mez-
ze bugie.
Quanto a bugie e mezze verità,
anche sull’Imu e sulle tasse sulla
casa in Italia sono spesso state
raccontate cose inesatte. Almeno
secondo i calcoli fatti da più di
un esperto. Su
il Giornale
dell’11
maggio, Francesco Forte, in rife-
rimento a dichiarazioni rese alla
Camera il 9 maggio dal Vicemi-
nistro Grilli, ha scritto: «Non è
vero che l’Italia prima del passag-
gio dall’Ici all’Imu in versione
Monti-Pd, avesse una tassazione
patrimoniale degli immobili
troppo bassa” rispetto alla me-
dia dei Paesi industriali: nel 2010
la pressione era al 2,4% del Pil
contro la media Ocse dell’1,9%.
Grilli dice che il 2010 è falsato
da imposte straordinarie. Ma an-
che nel 2009 la tassazione patri-
moniale era al 2,7% del Pil e ne-
gli anni precedenti al 2% (Ocse
1,9%).
La Germania ha una pres-
sione patrimoniale solo dello 0,8-
0,9%
e non tassa il reddito pre-
sunto della prima e seconda (o
terza) casa. Francia e Usa alzano
la media Ocse, con una pressione
maggiore al 3% perché colpisco-
no anche i patrimoni non immo-
biliari con un tributo generale
sulle proprietà».
Dopo l’articolo di Forte, sono
stati diffusi nuovi dati sulla tas-
sazione degli immobili, questa
volta da parte di Eurostat, l’Uffi-
cio statistico dell’Unione europea
(
dati che il Diparti-mento delle
finanze ha pubblicato sul proprio
sito Internet). Sul sito di Confe-
dilizia si legge: «Nel rapporto
2012
sulla tassa-zione nell’Unio-
ne europea (“Taxation trends in
European Union”) viene riportata
una specifica tabella sulla tassa-
zione immobiliare “ricorrente”
(
che esclude, quindi, i tributi sui
trasferimenti), espressa in percen-
tuale del Pil: “Recurrent taxes on
immovable property” (tributi ri-
correnti sulla proprietà immobi-
liare). In questa tabella (che va
dal 1995 al 2010), nel 2010 l’Ita-
lia ha un dato dello 0,6% mentre
la media dei Paesi Ue è dello
0,7%
e la media dei Paesi dell’eu-
ro è dello 0,6%».
«
Secondo Eurostat – spiega il
presidente di Confedilizia Corra-
do Sforza Fogliani – quindi il no-
stro Paese aveva – prima dell’in-
sediamento del governo Monti –
un livello di tassazione sugli im-
mobili in linea con gli altri Paesi
europei. Insomma, l’esatto oppo-
sto di quel che s’è detto, e che la
classe politica crede».
Conti Rai in profondo rosso
E il piano industriale dov’è?
Format ipervalutati
nella tivù dei Prof
a Corte dei Conti sembra abbia
azzannato il vero ramo marcio
della Rai, la supervalutazione dei
format acquistati per favorire certe
pressioni politiche. Ce ne sarebbe
per tutti i gusti e schieramenti. E
l’inchiesta promette d’aprire ben
presto un suo doppione a Piazzale
Clodio, alla procura penale. Infatti
nella acquisizione dei format Rai
potrebbe esserci odore di mazzette,
e a dirlo è la magistratura contabile.
Numerosi prodotti acquisiti (anche
recentemente) da Viale Mazzini sa-
rebbero ora al vaglio degli inqui-
renti contabili, ed alcuni esperti sa-
rebbero già pronti a dimostrare che
ciò che è stato acquistato a dieci in
verità non varrebbe nemmeno uno.
Il retroscena penale è evidente: in-
competenza o corruttele? Tra le so-
cietà che hanno venduto questi pro-
dotti figurerebbero aziende legate
ai bei nomi del salotto romano, an-
che ad affascinanti dame già al cen-
tro di chiacchiere a sfondo piccante.
Una vicenda che potrebbe final-
mente concretizzare la Caporetto
del Rai. In molti lo sperano, e per-
ché la chiusura della tv di stato fa-
rebbe risparmiare non pochi soldi
al contribuente. Ma che Viale Maz-
zini non avesse i conti in ordine è
noto anche all’uomo di strada. Il
Canone evaso supera i 550 milioni
di euro, i conti sono in profondo
rosso, e la flessione della pubblicità
è ormai “irreversibile”. La Rai è sul
L
viale del tramonto, e lo dice chia-
ramente la relazione della Corte dei
Conti, che ha analizzato il rapporto
tra costi e ricavi del servizio pub-
blico. Si aggiunge che la raccolta
pubblicitaria è in costante diminu-
zione. Alla crisi s’abbina la poca ef-
ficienza della Sipra: la concessiona-
ria per la pubblicità della Rai, che
raccoglie ogni anno in spot circa
200
milioni di euro in meno del
precedente. Un trend negativo che
porterà alla chiusura di tutto l’in-
trattenimento generalista. La Corte
da anni sollecita una drastica rifor-
ma della Tivù di stato. Per comin-
ciare servirebbe ridurre urgente-
mente i costi, sfoltire le numerose
e onerose consulenze esterne e ri-
vedere il Contratto di servizio.
Poi ci sono i maxi stipendi, e
sembra che nemmeno questo corso
tecnico di Viale Mazzini riuscirà a
legare il guadagno dei manager al-
l’effettiva produzione. Ridurre gli
stipendi dei manager Rai sembre-
rebbe impossibile, infatti il neo di-
rettore generale (Gubitosi) riceve
per contratto 650mila euro all’an-
no. A luglio la Corte dei Conti ave-
va invitato ad una riflessione, ma
ancor oggi Gubitosi mantiene lo
stipendio “come da contratto”: non
può autoridurselo, al pari di come
non riesce a mettere alla porta le
matrone dell’intrattenimento gene-
ralista.
RUGGIERO CAPONE
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 22 SETTEMBRE 2012
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