ontinua l’impegno delle Forze Armate
italiane per la protezione dei beni cul-
turali in caso di conflitto armato. Una sen-
sibilità nei confronti del patrimonio cultu-
rale che il mondo militare ha mostrato fina
dal 1941 con l’emanazione del codice pe-
nale militare di guerra che prevede precise
responsabilità a carico dei comandanti mi-
litari in materia di prevenzione e salvaguar-
dia dei beni stessi. Ma che ora viene rinno-
vata in sede Unesco in seno al Comitato
per la protezione dei beni culturali con una
direttiva che proprio le Forze Armate ita-
liane hanno diramato per meglio salva-
guardare il patrimonio culturale in caso di
scontro armato.
La materia è, in realtà, da tempo ogetto
di attenzione da parte delle diverse Con-
venzioni e dei Protocolli con cui la comu-
nità internazionale ha inteso riconoscere
l’universallità del danno recato al patrimo-
nio culturale mondiale in caso di distru-
zione di testimonianze di ogni singolo paese
ed introdurre la necessità della loro salva-
guardia e del loro rispetto.
Obiettivo non semplice anche perché le
misure appropriate al suo conseguimento
non sempre sono statae pienamente rispet-
tate dai paesi che vi hanno aderito. La re-
cente iniziativa delle Forze Armate di in-
trodurre con una direttiva nuove misure
sanzionatorie mira a colmare questa lacuna
e a puntualizzare quali siano gli elementi
salienti delle norme, delle convenzioni e
dei protocolli volti alla protezione dei beni
culturali sia in tempo di pace che di guerra.
Un iter non semplicissimo avviato nel se-
condo dopoguerra, dopo che, sulla scorta
C
delle immani devastazioni che il conflitto
mondiale aveva apportato, la Comunità in-
ternazionale iniziò i negoziati che portarono
ad adottare la Convenzione dell’Aja del
1954
come primo strumento di portata ge-
nerale esclusivamente dedicato al tema del-
la protezione del patrimonio culturale. E
in seguito ripreso al fine di renderlo più ef-
ficace nel 1999 con un Protocollo alla me-
desima convenzione, poi ratificato nel 2009
con l’introduzione nel nostro ordinamento
di nuove fattispecie penali che prevedono
severe misure sanzionatorie.
Nel merito della direttiva voluta dai ver-
tici del mondo militare italiano a benefi-
ciare del provvedimento saranno la totalità
degli elementi del patrimonio culturale, os-
sia beni mobili ed immobili, inclusi monu-
menti architettonici, artistici o storici, siti
archeologici, le opere d’arte, manoscritti,
libri, collezioni e l’adesione alla Conven-
zione implica l’adozione di misure preven-
tive volte ad assicurare la protezione di tali
beni non solo in caso di conflitto, ma anche
in tempo di pace. Rendere quindi più vin-
colanti regole e prescrizioni a difesa della
cultura attravrso un sunto dei principi ba-
silari che regolano la materia. E farlo av-
viando una azione informativa dai livelli
più bassi del personale militare.
È questo l’obiettivo che le nostre Forze
Armate hanno deciso di perseguire, anche
nel contesto delle missini militari all’estero,
anche in virtù del primato del nostro paese
che detiene la più alta percentuale di con-
centrazione di opere e bene culturali nel
mondo.
(
bar. al.)
II
SOCIETÀ
II
Beni culturali: l’impegno
delle nostre Forze armate
Stato-Mafia: la trattativa
che sacrificòMessineo
Sul fiscal cliff i Repubblicani giocano al“coniglio”
Il mondo, evidentemente, non è fi-
nito il 21 dicembre 2012. Ma gli
americani possono trovarsi una
brutta sorpresa all’inizio del 2013.
Sta arrivando il momento del “fi-
scal cliff”. Tradotto letteralmente
come “scoglio fiscale” (se ti poni
nella prospettiva di chi va a sbat-
terci contro) o come “abisso fisca-
le” (se sei sopra lo scoglio e stai
guardando verso il basso), il “fiscal
cliff” è tecnicamente la scadenza
dei tagli provvisori alle tasse pro-
mossi all’epoca dell’amministrazio-
ne Bush e rinnovati sotto quella
Obama. Non solo: segna anche la
scadenza delle norme che finora
hanno congelato sia il “tetto del de-
bito” (il limite posto all’aumento
del debito pubblico), sia i tagli alle
spese, che a questo punto dovreb-
bero essere effettuati. Tutti questi
vincoli scadranno con la fine del-
l’anno. Gli aumenti a quasi tutte le
aliquote fiscali riguarderebbero cir-
ca 9 americani su 10. Il combinato
disposto di tasse più alte e tagli alle
spese potrebbe provocare una nuo-
va recessione negli Stati Uniti.
Il condizione è ancora d’obbli-
go, perché ci sono ancora pochi
giorni di tempo per raggiungere un
accordo. Ma ieri questa possibilità
è stata rimessa in discussione dai
Repubblicani. John Boehner, il pre-
sidente della Camera (a maggioran-
za di destra), non è riuscito a con-
vincere il gruppo parlamentare
repubblicano sulla necessità di ap-
provare un “piano B” con cui an-
dare a negoziare con Barack Oba-
ma.
Un compromesso, in sé, è diffi-
cile, perché Democratici e Repub-
blicani partono da premesse oppo-
ste. I primi sono favorevoli
all’aumento delle tasse per chiun-
que abbia redditi superiori ai
250
mila dollari annui e sono di-
sposti a tagliare spese militari, ma
non sociali. I secondi sono ferma-
mente convinti che si debbano ta-
gliare tutte le spese tranne quelle
militari e, al contrario, si debbano
rinnovare tutti i tagli fiscali.
Il Piano B di Boehner avrebbe
dovuto essere approvato ieri sera,
ma la votazione, dopo intense trat-
tative interne al Gop, alla fine non
è stata fatta. Tutto rimandato a do-
po Natale.
Nel dare l’annuncio del falli-
mento del “Piano B”, il volto stesso
di Boehner tradiva una profonda
frustrazione. La maggior parte dei
Repubblicani intervistati a botta
calda si dicono, come minimo, ram-
maricati. Chi ha fatto saltare il
compromesso? Non Grover Nor-
quist, presidente della lobby anti-
tasse Americans for Tax Reform,
considerato la mente dei conserva-
tori più anti-statalisti. Il giorno pri-
ma del voto, infatti, Norquist aveva
dato luce verde al “piano B” di Bo-
ehner, che includeva, fra gli altri
punti, l’aumento delle tasse per i
cittadini con un reddito annuo su-
periore al milione di dollari. Con
un argomento apparentemente in-
coerente con la sua pluri-decennale
battaglia, aveva dichiarato che l’ap-
provazione della proposta del pre-
sidente della Camera non avrebbe
violato il patto anti-tasse, finora fir-
mato e rispettato dalla maggioran-
za dei deputati e senatori conser-
vatori attualmente al Congresso. Se
persino Norquist stava dando il suo
ok, sono stati per caso i libertari a
buttarsi a terra? Chi è stato più rea-
lista del re? Il deputato Justin
Amash, del Michigan, libertario,
dichiara alla National Review che:
«
Molti qui ritengono che questo
sia un aumento delle tasse. Ma non
credo che sia questo il senso della
proposta di Boehner». Si tratta, in-
fatti, di un mancato rinnovo di tagli
fiscali provvisori, non di un vero e
proprio aumento nel senso letterale
del termine. Ma l’effetto è identico.
Anche Amash, comunque, si dice
dispiaciuto per l’esito della serata
di giovedì. Potrebbe essere stato
Paul Ryan, ex candidato alla vice-
presidenza e noto alla stampa come
ultra-liberista”? Nemmeno lui.
Perché, pochi giorni fa, dichiarava,
a sostengo del Piano B: «Per quan-
to riguarda le tasse, bene: quel che
stiamo cercando di fare qui è una
riduzione del danno ai contribuenti.
Non c’è un solo aumento delle tas-
se, nessuno. Quel che stiamo dicen-
do è: evitare, il più possibile, che il
fisco possa colpire chiunque».
Insomma, chi parla si guarda
bene dal dire che ha (o avrebbe) vo-
tato contro, ma resta da capire chi
siano i “molti” che lo hanno fatto.
Ma se avessero ragione loro?
Leggere la Heritage Foundation
può essere utile per sentire anche
l’altra campana: «Permettere che
le tasse aumentino per una parte
della popolazione americana e per
le piccole aziende non è una solu-
zione. È un artificio politico». In
un’analisi pre-voto, la Heritage, una
delle più ascoltate istituzioni cultu-
rali conservatrici, aveva messo se-
riamente in dubbio la lealtà politica
di Obama. Nell’ultimo incontro fra
l’inquilino della Casa Bianca e Bo-
ehner, con una trattativa da merca-
to arabo, il secondo avrebbe voluto
aumentare le tasse solo per i redditi
superiori al milione di dollari annui,
il primo ha concesso, al massimo,
400
mila dollari. Tutti coloro che
guadagnano di più (anche aziende
medio-piccole, che tengono in vita
l’economia americana), per Obama,
dovrebbero subire la mannaia del
fisco. In compenso, in cambio di
questa concessione (da 250mila a
400
mila dollari), Obama aveva
chiesto di innalzare il tetto sul de-
bito ed era stato estremamente va-
go sui tagli alla spesa. Probabilmen-
te, per ottenere un consenso
bipartisan, i Repubblicani avreb-
bero, in ogni caso, dovuto accettare
la linea di Obama, dando carta
bianca all’aumento del debito e del-
la spesa, e facendo pagare un caro
prezzo alle piccole e medie aziende.
I dissidenti, opponendosi a qualsiasi
accordo, hanno scelto di fare il gio-
co più pericoloso, quello del “co-
niglio”: andare addosso, con la
propria auto, a un’altra auto in cor-
sa nella direzione opposta. Perde
chi, per primo, va fuori strada per
schivare l’altro. I Repubblicani che
giocano più duro sperano che sia
Obama a fare il coniglio: anche al
presidente non conviene mettere la
propria faccia su un aumento di
tasse e su una possibile recessione
nel corso del proprio mandato. Ma
se dovesse avvenire lo schianto con-
tro il “fiscal cliff”, saranno gli ame-
ricani a subirne gli effetti.
Il Gop non trova
l’accordo sul “Piano B”
di compromesso
proposto da Boehner
Obama voleva
comunque far pagare
il conto alle piccole
imprese e alzare le spese
di
RUGGIERO CAPONE
Italia tutta ha ancora un vivido ricordo
delle critiche (pardon risposte) che il
procuratore capo della Procura palermitana
(
Francesco Messineo) spediva in Guatemala
all’ex pmAntonio Ingroia. Quest’ultimo ave-
va (non tanto velatamente) criticato la sen-
tenza della Corte Costituzionale sulla vicenda
delle intercettazioni fra Quirinale e Csm: que-
ste ultime destinate alla distruzione dopo che
la Consulta ha accolto il ricorso del Colle.
«
Le opinioni del dottor Ingroia sono opinioni
del dottor Ingroia, io non qualifico le sen-
tenze, sono atti di giustizia e come tali vanno
accolte - aveva detto Messineo - rispettate
ed eseguite, ovviamente nel momento in cui
se ne conosce per intero il contenuto. Ritengo
che le decisioni giurisdizionali non si debbano
commentare, tanto più quando ancora non
ne sono note le motivazioni come in questo
caso. Vanno rispettate ed è ciò che faremo
non appena ne avremo cognizione completa,
cioè, eseguiremo le prescrizioni e le statuizioni
della Corte Costituzionale... La Consulta non
doveva, e non si è occupata - diceva Messi-
neo - della fondatezza dell’indagine ma sol-
tanto delle quattro intercettazioni in cui è
stata ascoltata la voce del Presidente della
Repubblica e al loro trattamento processuale.
Sulle motivazioni bisognerà riflettere, in par-
ticolare quelle che riguardano la distruzione
delle intercettazioni...». Ingroia lavora ormai
in Guatemala, il presidente Napolitano con-
sidera la questione superata e si concentra
su eventuali Monti bis, la mafia tutta forse
considera la questione chiusa e sepolta... ma
a qualcuno sorge il dubbio che qualcun altro
L’
voglia comunque punire uno spettatore (o
ascoltatore) involontario. Così, a pochi giorni
dalla sentenza della Consulta, s’apprende che
il capo dei pm (Messineo) è stato «indiret-
tamente intercettato il 12 giugno scorso», e
dai suoi stessi sostituti che indagavano su un
presunto caso di usura bancaria: Messineo
parlava al telefono con l’ex direttore generale
di Banca Nuova (Francesco Maiolini).
Quest’ultimo non sapeva di essere sotto con-
trollo (un’indagine di riciclaggio aggravato
condotta dalla dda), quindi avrebbe chiesto
a Messineo «spiegazioni su un avviso di iden-
tificazione ricevuto e relativo all’indagine
sull’usura». È chiaro che a qualcuno farebbe
comodo addossare ogni colpa a Messineo,
trasformando il capo dei pm di Palermo nel
parafulmine su cui scaricare tutte le eventuali
colpe” del sistema. Sull’intera vicenda cerca
di far luce la procura di Caltanissetta (dove
Messineo ha per anni lavorato). A Caltani-
setta il fascicolo è stato girato a settembre
scorso dall’aggiunto Antonio Ingroia, che ne
coordinava le indagini prima di volare in
Guatemala. Un quadro pesantissimo, che sta-
rebbe costringendo il capo dei pm del capo-
luogo siciliano a difendersi sul fronte penale
e disciplinare. Il diligente Ingroia, prima di
partire per il Guatemala su incarico all’Onu,
ha mandato le carte su Maiolini (e su Mes-
sineo) a Caltanisetta. «Mai commesso ille-
citi», ha ripetuto Messineo nelle 5 ore d’in-
terrogatorio: intanto il capo dei pm ha
revocato la domanda per l’incarico di pro-
curatore generale. Pare a qualcuno non basti,
in certi ambienti forse si pretende che un
Dreyfus venga aggiunto alle tante storie di
pupi e pupari.
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 22 DICEMBRE 2012
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