Page 4 - Opinione del 23-9-2012

II
POLITICA
II
Cina: l’economia dopata che sbaraglia l’Europa
di
LUCA PAUTASSO
an che abbaia non morde. Un
adagio che vale anche nei rap-
porti diplomatici, tanto più quando
questi sono a sfondo commerciale,
e coinvolgono il passaggio di tanto,
tantissimo denaro. Si spiega così co-
me l’Europa, sempre pronta a bac-
chettare le pratiche commerciali
scorrette della Cina, rappresenti nel-
la realtà dei fatti una minaccia risi-
bile. Anzi, chi più critica apertamen-
te la concorrenza sleale del fu
Celeste Impero, risulta poi essere tra
i principali clienti di quel mercato
che tanto depreca. E gli esempi in
questo senso hanno davvero del pa-
radossale.
Un po’ come il caso sollevato
dall’onorevole Claudio Morganti,
eurodeputato della Lega Nord, che
al ritorno dalla pausa estiva si è reso
conto del fatto che i nuovi telefoni
dati in dotazione agli uffici sono tut-
ti di fabbricazione cinese. Marchiati
con il logo dell’azienda americana
Cisco, ma realizzati in Cina. Così
come gli schermi di molti personal
computer, anch’essi marchiati da
un’azienda americana (la Dell, sta-
volta) ma recanti la dicitura Made
in China. Idem per le stampanti,
prodotti dalla sudcoreana Samsung
ma, indovinate un po’?, costruite in
Cina. Morganti ha interpellato l’Itec,
la direzione generale che si occupa
di fornire assistenza tecnologica al-
l’Europarlamento, dalla quale gli è
arrivata la rassicurazione circa il
preciso impegno della direzione af-
finché «nel proseguire il rinnova-
mento della telefonia del P, si riapra,
nel rispetto delle regole, la concor-
renza fra i diversi produttori». «Mi
è stato detto, inoltre, - dicee l’euro-
deputato del Carroccio - che c’erano
degli obblighi di “carattere tecnico
assolutamente ineludibili”, a cui do-
ver rispondere, e che “le regole sono
state rispettate”».
Tutto normale? Mica tanto. La
diffidenza verso la produzione cinese
non è affatto immotivata. Perché la
Cina non è un partner commerciale
come gli altri. Il sistematico sfrutta-
mento di manodopera sottopagata,
priva della benché minima tutela
sindacale, nonché la totale mancan-
za di normative circa la sicurezza
sul lavoro, ne fanno in prima istanza
un concorrente sleale. Specie per i
produttoti europei, sottoposti al
contrario a normative rigidissime su
tutti questi fronti. Ma al sistema
economico e produttvo cinese ven-
gono imputate anche contraffazione,
delocalizzazione, barriere commer-
ciali e dumping, sia commerciale che
monetario.
Il caso dei telefoni “cinesi” al-
l’europarlamento è soltanto la punta
dell’iceberg. Ben più eclatante, ad
esempio, il fascicolo aperto qualche
settimana fa dalla Commissione eu-
ropea nei confronti dell’industria ci-
nese del solare e del fotovoltaico.
L’accusa, mossa da EuProSun, l’as-
sociazione dell’industria solare-fo-
tovoltaica europea, è proprio quella
di dumping, pratica in aperta vio-
lazione delle norme stabilite dall’Or-
ganizzazione Mondiale del Com-
mercio:
grazie
all’utilizzo
indiscriminato di fondi pubblici sta-
tali, la Cina starebbe tentando di in-
vadere il mercato europeo con pro-
dotti sottocosto, allo scopo di
sbaragliare slealmente la concorren-
za locale e conquistare una posizio-
C
ne dominante. E per la Commissio-
ne, si tratta di un’accusa sufficien-
temente credibile per disporre un’in-
chiesta ufficiale in merito.
Ma contro gli squilibri nei rap-
porti commerciali tra Cina e Unione
Europea (il primo partner economi-
co cinese a livello mondiale) si era
espresso in maggio anche l’Europar-
lamento, votando a larga maggio-
ranza la risoluzione proposta da
Marielle de Sarnez, deputata fran-
cese dell’Alleanza dei Democratici
e dei Liberali per l’Europa. Tra le ri-
chieste avanzate all’Unione in quella
sede, anche la creazione di un orga-
nismo preposto al controllo degli
investimenti cinesi nelle imprese eu-
ropee e degli acquisti di debito so-
vrano europeo, sul modello di quel-
lo già esistente negli Stati Uniti.
Perché la Tigre Asiatica è una loco-
motiva economica che avanza sbuf-
fando sui binari di un mercato truc-
cato.
A cominciare dalle barriere com-
Lo sfruttamento
di manodopera
sottopagata, e la totale
mancanza di normative
circa la sicurezza
sul lavoro, fanno
del fu Celeste Impero
un concorrente sleale.
Specie per i produttoti
europei, sottoposti
al contrario a normative
rigidissime.
Ma al sistema cinese
vengono imputate
anche contraffazione,
delocalizzazione, barriere
commerciali e dumping,
sia commerciale
che monetario.
Contro i quali
si è espresso
recentemente
l’Europarlamento.
Tra le richieste avanzate
all’Ue in quella sede,
un organismo preposto
al controllo
degli investimenti cinesi
nelle imprese europee
e degli acquisti di debito
sovrano europeo,
sul modello di quello
già esistente
negli Stati Uniti.
Perché la Tigre Asiatica
è una locomotiva
economica
che avanza sbuffando
sui binari
di un mercato truccato
merciali. Secondo l’ultimo rapporto
della Camera di Commercio euro-
pea in Cina, il 43% dei manager
delle imprese europee stabilite in Ci-
na si considera discriminato dalle
misure restrittive adottate nei con-
fronti degli industriali stranieri. Nel
2010,
sempre secondo la Camera di
Commercio europea, a sentirsi di-
scriminato era il 33% degli impren-
ditori.
Ma nel novero delle barriere
commerciali vanno considerate an-
che le sovvenzioni e crediti all’espor-
tazione concessi dallo stato alle
aziende cinesi, i requisiti di certifi-
cazione nazionali spesso negati agli
stranieri, e una normativa troppo
fumosa per le esigenze di un merca-
to davvero aperto. Anche nel settore
degli appalti pubblici le leggi non
conformi alle norme internazionali,
assiame alla mancanza di trasparen-
za e concorrenza, agiscono come
fattori di esclusione.
Altro problema grave sono i tra-
sferimenti di tecnologia e la prote-
zione dei diritti di proprietà intel-
lettuale. La maggior parte delle
imprese che vogliono investire in Ci-
na, infatti, operano nel settore high-
tech. Ciononostante il governo ci-
nese ostacola gli accordi di
joint-venture con gli investitori stra-
nieri, allo scopo di impedire che pos-
sano diventare azionisti di maggio-
ranza nei settori chiave. Inoltre, il
fatto che la proprietà intellettuale
sia scarsamente tutelata, è sempre
più un fattore di dissuasione per gli
investitori europei.
Poi un paradosso pericolosissi-
mo: la crescita delle esportazioni ci-
nesi verso l’Europa va di pari passo
con il miglioramento della qualità
dei prodotti contraffatti. Fra tutte
le merci fabbricate in violazione dei
diritti di proprietà intellettuale se-
questrate dalle dogane europee nel
2010,
l’85% proveniva dalla Cina.
Altro enorme ostacolo: la poli-
tica protezionistica cinese sulle ma-
terie prime, in particolare sulle co-
siddette terre rare, ovvero un gruppo
di 17 minerali largamente impiegati
per la realizzazione di prodotti al-
tamente tecnologici. La Cina, che
da sola ricopre il 97% della produ-
zione mondiale, ha recentemente li-
mitato le sue esportazioni di terre
rare, giustificando la decisione con
il fatto divoler dare priorità alla do-
manda interna. Ma le pratiche scor-
rette dei cinesi sulla gestione delle
materie prime sono già state oggetto
di impugnazione davanti all’organo
di risoluzione delle controversie
dell’Omc, che nel luglio dello scorso
anno avevano portato ad una con-
danna di Pechino.
Infine, il dumping monetario, il
vero grande “doping” dell’economia
cinese. La sottovalutazione forzata
e la non convertibilità dello yuan,
la moneta nazionale cinese, solleva
una questione gravissima e senza
precedenti. Proprio perché lo yuan
è stato sottovalutato, la Cina è stata
in grado non solo di accumulare
l’equivalente di quasi 3.200 miliardi
di euro in riserve di valuta estera ed
espandere i propri investimenti in
Europa, al fine di acquisire tecnolo-
gie avanzate, ma anche di acquisire
una parte consistente del debito so-
vrano dei paesi europei. Impossibile
sapere in quale percentuale, dal mo-
mento che non vi è alcuno strumen-
to per misurare la presenza cinese
nel nostro debito.
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 23 SETTEMBRE 2012
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