te fenomenodellabeatificazionedi unkiller
stante le proteste, il negozio ha te-
nuto duro. Il suo proprietario ha
detto al Sun-Sentinel della Florida:
«[
La tutina] è uno dei nostri articoli
più venduti. In questo momento
l’immagine del Che è semplicemen-
te trendy... Non credo che la ma-
glietta venga comprata per la poli-
tica attuata da Guevara. Ho un
negozio per bambini e ai miei occhi
si tratta solo di una maglietta».
Proprio qui sono racchiuse al-
cune delle questioni chiave. Sembra
ovvio che alcune persone sappiano
cosa stanno esaltando e altre no.
Essendo cresciuto ad Ann Arbor nel
Michigan, ho visto molto spesso la
faccia del Che e, nella stragrande
maggioranza dei casi, quelle perso-
ne sapevano cosa stavano facendo:
apprezzavano le posizioni di Gue-
vara. Altre sono totalmente incon-
sapevoli. Altre ancora sono forse
semi-inconsapevoli e vogliono espri-
mere semplicemente sdegno o pro-
vocazione o palesare il proprio an-
ticonformismo. (In realtà ad Ann
Arbor indossare il Che significava
conformarsi). L’attrice Margaret
Cho si è fatta ritrarre in posa alla
Guevara per il suo “Cho Revolu-
tion” tour. Il pugile Mike Tyson si
è fatto tatuare Guevara sul torso,
quando si è sentito vittima di torti.
E l’estate scorsa, si poteva trovare
il Che alla fiera dello Stato del Min-
nesota: era ritratto con i semi. (Co-
me, non avete mai sentito parlare
di arte dei semi?)
Una delle più nauseabonde re-
centi celebrazioni di Guevara ha
avuto la forma di un film,
The Mo-
torcycle Diaries
,
il cui produttore
esecutivo era Robert Redford (uno
dei più devoti apologeti di Castro
che esistono a Hollywood, non so
se mi spiego). Al Sundance Festival
il film è stato accolto da una stan-
ding ovation. Per commentare que-
sta disgustosa agiografia e distor-
sione, mi limiterò a citare Tony
Daniels: «È come se qualcuno fa-
cesse un film su Adolf Hitler descri-
vendolo come un vegetariano che
amava gli animali e voleva combat-
tere la disoccupazione. Sarebbe tut-
to vero, ma piuttosto poco perti-
nente». Sta per uscire un altro film
su Guevara, diretto da Steven So-
derbergh. Possiamo immaginarne
il contenuto dal materiale pubbli-
citario: «Combattè per il popolo».
Ma certo. Di recente un importante
cubano-americano ha pranzato con
un attore famoso e potente per di-
scutere la possibilità di fare un film,
che raccontasse la verità su Gueva-
ra. L’attore era completamente d’ac-
cordo, ma diceva che semplicemen-
te non si poteva fare: Hollywood
non lo avrebbe permesso.
A parte le proteste o i boicottag-
gi occasionali, c’è un po’ di reazione
alla moda Guevara: in forma di
magliette o contro-magliette, se pre-
ferite. (Sì, in un certo senso l’anti-
comunismo è contro-culturale). Su
una maglietta c’è l’immagine di
Guevara barrata da una linea dia-
gonale e le parole «I comunisti non
sono cool». Su un’altra c’è Guevara
in un mirino (violento, troppo nello
stile del Che). Su un’altra ancora,
sotto l’immagine, c’è la scritta:
«
Non ho idea di chi sia questo!».
Il
Centre for a Free Cuba
di
Washington D. C. produce una ma-
glietta molto più seria. Davanti c’è
Guevara con la scritta Cuba libre
nei capelli; dietro sono elencati i
prigionieri politici cubani, compre-
se le loro condanne. In Francia lo
straordinario gruppo Reporter sen-
za Frontiere ha preso un’immagine
molto nota in quel paese: un poli-
ziotto che brandisce un manganello
e uno scudo. Ma, al posto della
faccia del poliziotto, c’è quella di
Guevara con sotto la scritta: «Ben-
venuti a Cuba, la più grande pri-
gione per giornalisti del mondo».
Una donna, Diane Díaz Lopez, si
è opposta: è la figlia di “Korda”, il
defunto fotografo cubano che scat-
tò “l’immagine iconica” del Che.
Pare che sia una marxista a oltran-
za. Ha portato in tribunale Repor-
ter senza Frontiere e ha vinto. Così
hanno dovuto abbandonare quella
particolare tattica.
Alcune persone conserveranno
sempre un sentimento romantico
per Guevara e per la rivoluzione
cubana. Per loro Guevara era un
vero uomo, non una pappamolla
liberal, uno intransigente: con una
volontà così pura da fare quello
che era necessario. Un anti-comu-
nista che conosco ha chiesto a una
sua amica perché ammirava Gue-
vara. Gli ha risposto: «Non si è mai
venduto». Frank Calzón, direttore
esecutivo del Center for a free Cu-
ba, dice: «Sì, Guevara era “corag-
gioso” e “impegnato”. Anche molti
rapinatori di banche lo sono». Pri-
ma della guerra in Iraq, ho chiesto
a Bernard Kouchner, il grande fi-
lantropo e politico francese, come
mai molti dei suoi compatrioti sem-
bravano entusiasti di Saddam Hus-
sein. Mi ha risposto che il loro en-
tusiasmo per Saddam era simile al
loro attaccamento al Che: un modo
per esprimere anti-americanismo
(
in breve), a prescindere dai fatti su
questi due uomini. Ma per i cuba-
ni-americani, i fatti non sono una
cosa trascurabile. Immaginate di
essere uno di loro e di vedere tut-
t’intorno a voi immagini che esal-
tano Guevara. Immaginate – peg-
gio – di essere figlio di qualcuno
che Guevara ha giustiziato perso-
nalmente. Negli Stati Uniti ci sono
queste persone. O immaginate –
ancora peggio – di essere un pri-
gioniero politico cubano e di sapere
che, in paesi liberi, un sacco di per-
sone portano il Che sul petto.
Senza dubbio, parte del culto di
Guevara è dovuto alla bellezza fi-
sica. Più di un anti-comunista si è
lamentato del fatto che gli zigomi
del Che hanno fatto battere milioni
di cuori e crollare milioni di co-
scienze. Tony Daniels cita un inti-
morito giornalista britannico che
incontrò Guevara all’ambasciata
sovietica dell’Havana nel 1963:
«
Era incredibilmente bello». Povero
Stalin, così tarchiato e butterato.
Avrebbe potuto diventare una star.
*
Jay Nordlinger, caporedattore
di National Review
tratto da Ideazione, marzo-aprile
2005 -
traduzione dall’inglese
di Barbara Mennitti
II
CULTURA
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DOMENICA 23 DICEMBRE 2012
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