Page 4 - Opinione del 24-10-2012

II
POLITICA
II
Basta ipocrisie: gli F-35 sono un toccasana per noi
di
BARBARA ALESSANDRINI
ompletare o no l’acquisto dei
90
Super Caccia F-35 tanto
osteggiati da quei settori della po-
litica demagogicamente sempre
pronti a schierare i propri cavalli di
Frisia contro gli “sprechi” delle For-
ze Armate (un progetto a guida
americana di cui l’Italia è in realtà
partner e la cui sottostima di ritorno
economico per il nostro paese è di
13
miliardi e mezzo di dollari)? E
soprattutto le nostre Forze Armate
devono essere armate o disarmate?
Il quesito, a cui da alcuni decenni il
veto delle sinistra ipocritamente pa-
cifista e antimilitarista impedisce di
dar risposta, non ammette rinvii an-
che perché al momento il modo in
cui la politica deciderà di rispondere
si trova lungo la traiettoria che col-
lega l’ultimo quarantennio di storia
militare italiana al tentativo di ri-
sanare il disastrato bilancio italiano
figlio di decenni di elefantiaca spesa
pubblica. La Difesa, così come gli
altri comparti della Pubblica Am-
ministrazione, non può sottrarsi ai
tagli imposti dalla Spending Review
che anche nel caso delle Forze Ar-
mate potrebbero contenerne esuberi
e ottimizzarne l’efficienza. Questa
sembra la direzione che il ministro
della Difesa Giampaolo Di Paola,
con un Ddl presentato lo scorso
aprile e da pochi giorni liquidato
dalla quarta commissione perma-
nente Difesa di Palazzo Madama,
ha intrapreso per avviare un pro-
cesso di ristrutturazione del mondo
militare che ne riqualifichi compiti
e ruoli e contribuisca alla riduzione
della spesa pubblica. Obiettivo
tutt’altro che semplice considerati
gli ultimi cinquant’anni di storia
delle Forze Armate italiane. Fino al-
la fine degli anni Ottanta la Difesa
è stata, di fatto, garantita dalla Nato
e dagli Usa che, soltanto dopo gli
anni ‘60, quando al nostro Paese ve-
niva sostanzialmente lasciato il
compito di presidiare i confini sul
versante orientale, hanno smesso di
aiutare la sicurezza nazionale ita-
liana con commesse off-shore e de-
naro per importi pari a quelli stan-
ziati dal nostro Paese. Il progressivo
C
dere agli impegni internazionali in
un momento in cui le esigenze tec-
nologiche facevano lievitare i costi
sia della fornitura sia dell’esercizio
degli armamenti, in un momento
tra l’altro di pesante inflazione. Pro-
prio quando, ad esempio, l’ammo-
dernamento dei velivoli forniti dagli
Usa 25 anni prima avrebbe richiesto
il doppio del bilancio assegnatogli
dall’Italia. Successivamente la poli-
tica della Difesa ha seguitato a pre-
sentare una mancanza di una vi-
sione organica sia nelle scelte sia
negli obiettivi da perseguire. Lo te-
stimonia il carattere frammentato,
disorganico e modulato sulle speci-
fiche esigenze delle singole Forze
Armate, dei finanziamenti stabiliti
dalle cosiddette ‘Leggi promoziona-
li’ che, fino agli anni Ottanta, asse-
gnarono risorse aggiuntive sia alla
Marina che all’Aeronautica. La
creazione di una guida unitaria della
Difesa conseguente alla riorganiz-
zazione dei vertici militari nel 1997
e la successiva riclassificazione del
bilancio dello Stato nel 2008 avreb-
bero potuto aprire la stagione di
una politica più razionale ed effi-
ciente. Ma, complici anche decenni
di propaganda antimilitarista e di
ideologia ipocritamente pacifista, in
cui l’unico incremento di spesa
tollerato” è stato quello destinato
al personale (le spese per questa
funzione sono lievitate dal 2001 al
2008
da 5.820 milioni di euro a
9.110
milioni mentre quelle per l’in-
vestimento da 3.250 a 3.640 milio-
ni), si è persa nuovamente l’occa-
sione per uno scatto verso un reale
rinnovamento delle Forze Armate,
adeguato ai nuovi scenari geopoli-
tici in cui l’Italia è chiamata ad in-
tervenire. Soprattutto sul piano degli
investimenti e di conseguenza della
sicurezza e delle capacità operative
del personale e dei mezzi impiegati.
Il mondo militare ha così confer-
mato il suo duplice volto: quello di
un’elefantiaca fabbrica di stipendi
destinata a far lievitare la spesa pub-
blica e ad alimentare il sistema bu-
rocratico, ma anche quella di un set-
tore che negli ultimi vent’anni,
nonostante l’esiguità delle risorse
disponibili, ha consentito al nostro
paese di rendersi partner affidabile
in tutte le iniziative all’estero decise
a livello parlamentare e governativo.
La determinazione del ministro Di
Paola di avviare una revisione ed
una ripartizione razionale profonda
dei costi tra Personale, Esercizio e
Investimento ha della sfida funam-
bolica, anche se sembra ora andare
nelle giusta direzione. Un’occhiata
alle cifre dell’ultimo triennio con-
ferma l’ottusità politica nei confron-
ti dell’ammodernamento delle do-
tazioni militari e indica quanto
potrà essere ostica e per molti set-
tori indigesta l’operazione voluta
dal ministro: dal 2007 al 2012, il
costo del Personale della Difesa è
cresciuto di circa 800 milioni di eu-
ro, mentre le voci Esercizio ed In-
vestimento sono scese di 800 milio-
ni ciascuna. La classificazione del
bilancio delle FA contenuta nella
Nota aggiuntiva allo stato di pre-
visione per la Difesa” riferisce anche
che per la sicurezza del territorio
(
l’Arma dei Carabinieri, al cui in-
terno prevale nettamente l’Esercizio
sull’Investimento) è lievitata di 550
milioni mentre le voci Esterne (ri-
fornimento idrico, trasporto civile
di Stato e soccorso ammalati) e Au-
siliaria (pensioni) sono cresciute di
40
milioni di euro. Tradotto in per-
centuale la Difesa dal 2007 al 2012
registra un accrescimento delle spese
per il personale dal 61 al 70,6% a
fronte di un crollo di quelle per
l’Esercizio dal 16,3% all’11,2% e
di quelle per l’Investimento dal
22,6%
al 18,2%. Non c’è da stu-
pirsi, poi, se in occasione dell’inter-
vento internazionale in Libia (ope-
razione Unified Protector),
nonostante riassegnazioni finanzia-
rie, ancora una volta, a colmare le
carenze emerse sia negli aerei cister-
na sia nei cosiddetti C4ISR, i sistemi
di raccolta, gestione e distribuzione
delle informazioni, sono stati chia-
mati gli Stati Uniti. Siamo in sostan-
za un paese che, a causa di un esi-
guo 0,84% di spesa destinato alla
Difesa ed in particolare alla perenne
penalizzazione nel bilancio della vo-
ce Investimento, è in netta disparità
rispetto all’1,61% degli altri Paesi
europei, soprattutto Gran Bretagna,
Francia e Germania. Seguitare ad
aggirare la necessità di investire nel-
le Forze Armate significa rinunciare
a porre l’Italia in una condizione di
omogeneità tecnologica che favori-
sca l’integrazione europea e ridi-
mensioni i rischi di un progressivo
tutoraggio estero e di una perdita
di competitività che significa man-
cata assegnazione di ruoli guida in
tutti quei programmi internazionali
per i quali, invece, sia le scelte che
le capacità tecniche italiane dei pas-
sati decenni si sono rivelate positive,
sebbene finanziate con risorse limi-
tate. Il cacciabombardiere Tornado,
ad esempio, entrato in servizio nel
1979,
grazie all’aggiornamento tec-
nologico di cui si è avvalso, rimarrà
in servizio fino al 2025 e il missile
AIM-9 Sidewinder, cui si iniziò a la-
vorare nel 1946, rimarrà “in servi-
zio” fino al 2055. E ancora l’intro-
duzione di aerei a pilotaggio
remoto, e i sistemi di osservazione
satellitare come il Cosmo-SkyMed
scelte vincenti.
I programmi multinazionali pa-
iono dunque un’opzione obbligata
e l’adesione del nostro Paese al pro-
getto dei Super c-F35 rappresenta
un passo importante che ci consen-
tirà di partecipare ad un dividendo
molto elevato dalle ovvie positive
ricadute sia economico- finanziarie
che in termini di aggiornamento tec-
nologico e di posti di lavoro. A di-
mostrazione del fatto che la linea
della Difesa si rivela più lungimi-
rante di quella miope se non scelle-
rata tenuta a priori da alcune forze
politiche e che tutto può essere tran-
ne che un lasciapassare per guidare
il paese, assicurargli la conquista del
mercato ed una posizione contrat-
tuale paritaria rispetto ai suoi inter-
locutori esteri. Obiettivo senz’altro
ambizioso che soltanto una maggior
pianificazione può garantire. Attra-
verso una chiara e coraggiosa defi-
nizione delle priorità e degli indirizzi
della politica militare e di come uti-
lizzarne le risorse.
(1/
continua)
L’acquisto dei nuovi
caccia multiruolo F-35
da parte del governo è
una scelta lungimirante.
E proprio per questo
contestata da
un’opinione pubblica
infarcita di pacifismo
ipocrita. Da quando la
politica di difesa italiana
ha smesso di essere
finanziata di peso dagli
Stati Uniti, sono cresciute
quasi solo le spese per il
personale. E le forze
armate italiane hanno
perso in competitività.
Il nuovo aereo può
contribuire a invertire
questa tendenza
spostamento dalla cosiddetta soglia
di Gorizia alla partecipazione a mis-
sioni su teatri internazionali dalla
Somalia al Libano, fino agli ultimi
interventi, dall’Afghanistan alla
guerra in Libia, ha imposto alle
Forze Armate un progressivo ag-
giornamento di ruolo, un mutamen-
to organizzativo e culturale, una ca-
pacità di fronteggiare gli impegni
nei teatri operativi spesso circoscrit-
ti, con modalità più flessibili e co-
munque in situazioni di interforze
ed internazionali che ha però finito
con l’essere annichilito dalla totale
fissità della politica militare del no-
stro Paese. A dispetto di una sostan-
ziale correttezza delle scelte tecniche
da parte della Difesa negli ultimi 20
anni, in Italia regna però da troppo
tempo l’assenza di una vera e pro-
pria politica ragionata di distribu-
zione delle risorse economiche al-
l’interno delle Forze Armate. Dopo
la graduale contrazione degli aiuti
statunitensi, il nostro Paese si è tro-
vato, negli anni ‘70, a dover rispon-
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 24 OTTOBRE 2012
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