II
POLITICA
II
Samorì: «È tempo di rivoluzione meritocratica»
di
MAURIZIO BONANNI
elle schede che l’elettore trove-
rà ai seggi, domenica 24 e lu-
nedì 25 febbraio, comparirà anche
il simbolo del Mir (Moderati in Ri-
voluzione), il cui leader indiscusso
-
ideatore e fondatore del partito
stesso (tra l’altro, in russo “Mir”
vuol dire.. “stella”!) - è l’avvocato
modenese Gianpiero Samorì.
Nel suo programma risalta l’asso-
luta necessità di procedere a una ri-
costruzione “fisica” dei territori, con
particolare riferimento alle realtà
urbane degradate. IBasterebbe
smontare e rimontare, periodica-
mente le città, per dare occupazione
a tutti, per sempre. Occorre, forse,
per questo, formulare l’ipotesi di
una proprietà fondiario-immobiliare
a tempo”? Ovvero, ogni cento anni
le aree fabbricate debbono tornare
nell’ambito del patrimonio pubblico,
per essere, poi, demolite, riqualificate
e riedificate?
Io credo, in merito, che sia im-
portante introdurre dei sistemi “mi-
sti”: le proprietà che non sono og-
getto di demolizione debbono essere
lasciate nel pieno godimento di chi
le possiede, dato che, in quel conte-
sto, non si ritiene di dover interve-
nire con opere di riqualificazione.
Al contrario, per tutte quelle aree
degradate, da acquisire al patrimo-
nio dello Stato, pagando un equo
indennizzo, la sua idea è molto giu-
sta. Lì occorre che i prodotti riqua-
lificati (che potranno essere abita-
zioni, campi sportivi, parchi, etc.)
possano essere immessi sul mercato,
a condizioni economiche anche van-
taggiose, per favorire gli acquisti,
ma con contratti di proprietà “a ter-
mine”. Nel senso che, almeno in via
di principio, quelle stesse aree pos-
sono essere oggetto, nel futuro, di
nuovi interventi di riqualificazione
e, quindi, il fatto di attribuire loro
una proprietà perpetua potrebbe es-
sere controproducente. Questo si-
stema misto esiste in Inghilterra e in
altre nazioni e, pertanto, non sareb-
be una novità nei Paesi a capitali-
smo avanzato. Il sistema offre l’ul-
teriore vantaggio della così detta
asset allocation” (particolarmente
N
utile nei periodi di crisi), in quanto
consente la reimmissione sul mer-
cato dei prodotti della riqualifica-
zione, a prezzi più contenuti.
Sappiamo che lo Stato deve qualco-
sa come 75 miliardi di € ai privati.
Non sarebbe meglio che sia “Lui”
stesso a indebitarsi con le banche,
per pagare i suoi creditori? Che ne
dice se lo facesse, dando loro in
cambio buoni speciali del Tesoro a
tasso agevolato (es. Il 3%), garantiti
dalle nostre riserve auree, che poi le
banche stesse possono scontare at-
tingendo al credito privilegiato -
all’1% di interesse- della Bce? Pensa
sia una strada percorribile?
Anche qui, secondo me, la do-
manda è giusta e il tema è impor-
tantissimo. La soluzione, però, la ve-
drei in modo diverso. Io metterei da
parte le banche attuali, perché ho
l’impressione che si siano “incarta-
te”, in quanto più proiettate a sal-
vare se stesse che ad assumersi i ri-
schi del credito. Io credo sia
essenziale costituire una Banca Pub-
blica molto snella (e non un.. “car-
rozzone!), che non deve fare raccolta
tra la gente -già ce ne sono troppi
di Enti che operano in questo cam-
po, come le Poste, le Casse rurali,
etc.-, ma che chieda alla Bce di es-
sere trattata con pari dignità delle
altre grandi banche private. Questa
Banca Pubblica deve avere accesso
alla liquidità della Bce, da prendere
in prestito a dei tassi normali e,
quindi, fare operazioni di credito in
due direzioni. Primo: mediante la
monetizzazione dei debiti, che lo
Stato ha nei confronti di imprese e
privati. Secondo: erogare credito or-
dinario a imprese e famiglie, non
regalando” soldi, ma dandoli a chi
ha un minimo merito per ottenere
credito, a dei tassi che ne consentano
la restituzione. Perché l’altro pro-
blema degli interessi oggi praticati
dalle banche -anche in quei pochi
casi in cui viene fatto credito-, è
quello di non avere la funzione di
remunerare il denaro, bensì di ga-
rantire un “quid pluris”, che serve
per risanare le banche stesse e rende,
quindi, quei prestiti eccessivamente
onerosi!
La Germania propose, tempo fa, il
meccanismo dell’Erf (European Re-
demption Fund), in cui era previsto
che la Bce avrebbe acquistato la
quota del debito sovrano eccedente
il 60% del deficit, dando in cambio
alle banche titoli europei “sicuri”,
in sostituzione dei Bond “a rischio
default”. Non potremmo riformu-
lare quel meccanismo, raddoppian-
do il periodo di pagamento a un in-
teresse dimezzato? In questo modo
potremmo utilizzare riserve auree e
vendita del patrimonio pubblico per
investimenti produttivi a lungo ter-
mine...
È ovvio che sia molto meglio al-
lungare il periodo. Io, però, penso
che non sia sufficiente. Credo, infat-
ti, che il peggioramento della crisi
economica e la conseguente dimi-
nuzione del Pil aggraverebbero ul-
teriormente la fase recessiva, mal-
grado l’eventuale dilazione dei tempi
della restituzione del prestito all’Erf.
La situazione attuale, infatti, è al li-
mite della sostenibilità: occorre fare
un investimento straordinario per
abbattere il debito pubblico, “senza”
indebitare il Paese. Occorre, quindi,
andare a prendere le risorse dove ci
sono: in particolare, in Bankitalia e
nelle Fondazioni. Occorre, in questi
casi, comportarsi come un buon pa-
dre di famiglia, che aliena i suoi pez-
zi pregiati (mobili, gioielli, case..)
quando la sua situazione debitoria
si fa insostenibile. Oggi la scelta è
tra l’impoverimento, lento ma ine-
sorabile, della popolazione italiana,
e l’adozione di regole e strumenti
straordinari che, peraltro, consen-
tano comunque di uscire da questa
situazione di crisi.
Lei non pensa che si potrebbe ap-
plicare integralmente al pubblico
impiego l’idea della Siemens della
scrivania digitale”, svuotando le
cittadelle burocratiche, e facendo la-
vorare “a casa”, più produttivamen-
te, le persone? Non ritiene che, in
tal modo, si conseguirebbero rispar-
mi enormi, tagliando via tutti gli im-
mensi sprechi, dovuti a quella mi-
riade di attività del tutto inutili,
finalizzate esclusivamente alla “au-
to-amministrazione”?
Io sono perfettamente d’accor-
do. È assolutamente evidente come
tutto ciò debba passare per una pri-
ma fase di “acculturamento mora-
le”. Infatti, per fare quello che lei di-
ce, occorre un’elevata moralità delle
persone, le quali debbono compren-
dere che sono al lavoro, anche svol-
gendo le attività relative da casa. E
siccome nel privato il sistema delle
sanzioni è molto più efficiente, an-
che chi è restìo deve accettare il mec-
canismo premiale/sanzionatorio
obtorto collo”. Non vorrei che una
rivoluzione di questo tipo, non pre-
ceduta da una fase di acculturamen-
to, potesse dare risultati non proprio
soddisfacenti. Noi abbiamo un per-
sonale pubblico che non è cultural-
mente preparato per una rivoluzione
simile e, quindi, si rischia per un pe-
riodo medio-lungo, una sensibile ca-
duta della produttività del pubblico
impiego.
La sua esperienza di banchiere le
suggerirebbe di separare le banche
commerciali da quelle d’affari?
Questo è davvero un aspetto
fondamentale: la banca d’investi-
mento deve mettere i propri soldi, e
non quelli dei clienti, per fare le ope-
razioni a rischio che desidera. La
banca commerciale, invece, deve de-
dicarsi alle attività tradizionali di in-
termediazione..
Quali sono le proposte del Mir per
la selezione meritocratica di una
nuova classe dirigente (politica e bu-
rocratica) di questo Paese?
Innanzitutto, qualunque selezio-
ne di classe dirigente deve partire da
una forte iniziativa di miglioramento
del livello culturale medio. Occorre,
cioè, formare scolasticamente le per-
sone, secondo la regola meritocra-
tica. Perché se questo concetto non
lo si introduce nella “testa” dei cit-
tadini, a partire dal primo anno delle
elementari fino all’università, è dif-
ficile che lo si possa imporre con
norma di legge, o con meccanismi
coercitivi successivi. C’è bisogno,
quindi, di forti investimenti sulla
scolarizzazione: bisogna migliorare
nettamente i profili scolari delle per-
sone e dobbiamo introdurre, a tutti
i livelli, il concetto di “meritocrazia”
come faro-guida. Per quello che ri-
guarda la classe politica, una mag-
giore meritocrazia la si può ottenere
ipotizzando e prevedendo una “le-
gale temporaneità degli incarichi”.
Per la Pubblica Amministrazione bi-
sogna anche individuare dei criteri
obiettivi, e non solo di selezione, ma
anche di formazione permanente e
di. “gerarchia”. Se quest’ultima viene
meno, infatti, allora anche il merito
finisce per diventare più “evanescen-
te”, con tendenza a un ripiegamento
verso il basso di tutti, rendendo dif-
ficile identificare i punti di eccellen-
za. Per la selezione dell’alta buro-
crazia, cercherei le persone più
meritevoli e le metterei alla prova
sui tempi di realizzazione dei prov-
vedimenti: non si può andare avanti
con norme che non trovano, poi, i
necessari regolamenti attuativi. Bi-
sogna che la legge preveda un qua-
dro sanzionatorio, affinché il prin-
cipio di responsabilità vada a
incidere efficacemente sui compor-
tamenti della dirigenza pubblica. Al-
la mancata adozione dei provvedi-
menti attuativi, che normalmente
sono resistiti dai vertici burocratici,
deve far seguito il turn-over dell’alta
dirigenza che se ne renda responsa-
bile. È l’unica soluzione realmente
praticabile. Altre, francamente, non
ne vedrei.
Intervista a Gianpiero
Samorì, leader
di Mir (Moderati
in rivoluzione):
«
Qualunque selezione
di classe dirigente
deve partire da una forte
iniziativa
di miglioramento
del livello culturale
medio. Occorre, cioè,
formare scolasticamente
le persone, secondo
la regola meritocratica.
Perché se questo
concetto
non lo si introduce
nella“testa”dei cittadini,
a partire dal primo anno
delle elementari fino
all’università, è difficile
che lo si possa imporre
con norma di legge,
o con meccanismi
coercitivi successivi.
C’è bisogno, quindi,
di forti investimenti
sulla scolarizzazione»
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 26 GENNAIO 2013
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