II
ESTERI
II
Obama e l’arma (vigliacca) dell’immigrazione
di
MARCO RESPINTI
l 21 gennaio 2013, Barack
Obama si è insediato ufficial-
mente per il secondo mandato
presidenziale, ma, dicono diversi
commentatori, gli Stati Uniti non
hanno ancora visto tutto. Non
più frenato dalla necessità di sot-
toporsi al giudizio delle urne, e
deciso a rimanere in qualche mo-
do nei libri di storia, il nuovo
Obama già si annuncia più radi-
cale del primo.
Il terreno su cui si giocherà il
tutto per tutto? L’immigrazione.
Secondo le stime del governo,
oggi sono circa 11 milioni gli
immigrati clandestini presenti
negli Stati Uniti, Paese che conta
circa 314 milioni di cittadini. È
una percentuale alta, ma ancora
più significativa se la si traguar-
da sul numero dei cittadini aven-
ti diritto al voto e soprattutto su
quelli che, fra quanti hanno di-
ritto al voto per ragioni di età
(18
anni compiuti), si registrano
per poi farlo effettivamente. Nel
2012
gli aventi diritto al voto
sono stati poco meno di 220 mi-
lioni, ma i votanti effettivi circa
127
milioni.
Ovvero meno del 60%. Spesso
poi negli Stati Uniti votano anco-
ra meno cittadini, molti meno,
ben al di sotto della metà degli
aventi diritto. Riuscire quindi a
regolarizzare un domani quegli
11
milioni d’immigrati oggi clan-
destini metterebbe a disposizione
di chi lo facesse un esercito com-
patto di “nuovi” elettori. Un van-
taggio politico enorme, da solo
in grado di fare la differenza de-
cisiva. Nel 2008, infatti, lo scarto
di voti totalizzato da Obama su
Mitt Romeny è stato inferiore ai
5
milioni di unità. In gran parte,
gli immigrati clandestini presenti
oggi negli Stati Uniti sono latinos,
cioè provenienti a grandissimi nu-
meri dal Messico.
Ora, regolari o clandestini, i
I
latinos, non essendo neri, prova-
no per Obama meno trasporto
per il “primo presidente nero de-
gli stati Uniti” di quanto ne provi
invece l’elettorato Democratico
nero moderato, e nemmeno nutre
nei suoi confronti quell’interesse
ideologico che invece prova l’elet-
torato Democratico nero più
estremista. L’esigenza dei latinos
è infatti di natura strettamente
economica: cerca lavoro e assi-
stenza sociale poiché il più delle
volte proviene da situazioni di
povertà, in molti casi persino
d’indigenza, frequentemente di
vera miseria.
I latinos emigrano negli Stati
Uniti per trovare impiego, per
aiutare i congiunti rimasti a casa,
per godere di copertura sanitaria
inviando magari pure qualche
farmaco in eccesso al resto della
famiglia rimasto indietro. Passare
dunque da clandestino a cittadino
regolare promuoverebbe l’immi-
grato latino a una condizione di
vita che, seppur inferiore agli
standard statunitensi, sarebbe per
lui come toccare il proverbiale
cielo con un dito. E regalerebbe
per decenni al partito politico che
operasse tale regolarizzazione un
vantaggio politico incolmabile. Se
cioè con Obama il Partito Demo-
cratico dovesse riuscire a trasfor-
mare i clandestini latinos in cit-
tadini statunitensi a tutti gli
effetti, il Partito Repubblicano fi-
nirebbe confinato a formazione
a tutela “dei bianchi” e verrebbe
condannato a lungo alla sconfitta.
Che Obama punti a ottenere que-
sto risultato fondamentale è or-
mai certo. Meno chiaro il modo
con cui cercherà di farlo.
Si è detto che la riforma delle
leggi sull’immigrazione, oggi allo
studio dell’Amministrazione, po-
trebbe voler garantire piena cit-
tadinanza e copertura sanitaria
agli attuali clandestini che dimo-
strassero semplicemente di pos-
sedere un lavoro regolare negli
Stati Uniti, oppure che forse ba-
sterà mettersi in regola con le tas-
se (arretrati compresi) e mostrare
di conoscere almeno un po’ di
lingua inglese. In ogni caso è evi-
dente che qualsiasi sia la moda-
lità, l’eventuale regolarizzazione
dei clandestini produrrà un’acce-
lerazione esponenziale delle do-
mande di cittadinanza, tra l’altro
con ricadute devastanti anche sui
costi del welfare.
Circola del resto un pregiudi-
zio ampiamente infondato sui la-
tinos. Invocandone la provenien-
za in gran parte messicana,
quindi le loro ascendenze ispani-
che, li si descrive spesso come
cattolici tetragoni; e questo, da
parte cattolica, con legittima sod-
disfazione. Ma si tratta soltanto
di un’illusione ottica. Da tempo,
infatti, le missioni protestanti
proiettate nel mondo latinoame-
ricano, magari pure di marca sta-
tunitense, hanno fatto numerosi
proseliti, così che oggi non è per
nulla strano (come lo era però
solo qualche decennio fa) incon-
trare negli Stati Uniti numerosi
latinos regolari o irregolari che
siano di fede protestante.
Ebbene, quando questi latinos
professano un protestantesimo di
estrazione pentecostale o evange-
lical, i “princìpi non negoziabili”
trovano in costoro ancora dei di-
fensori strenui. Quando invece i
latinos sono cattolici oramai solo
per statistica sociologica, o si tro-
vano in condizioni di bisogno
estremo, nulla riesce a distoglier-
ne l’attenzione dalla prospettiva
dei facili benefici sociali altrimen-
ti impensabili. E così le sfide alla
morale naturale, alla dignità uma-
na e alla libertà religiosa, che
dell’”era Obama” sono una co-
stante, trovano in costoro degli
alleati oggettivi che, nonostante
tutto, finiranno per contribuire
concretamente a operare, giorno
dopo giorno, una delle rivoluzioni
sociologico-politiche più profon-
de che gli Stati Uniti abbiano mai
conosciuto.
da “La nuova bussola quotidiana”
segue dalla prima
Mezzo secolo fa...
(...)
Il citato corsivo conferma un fenomeno
curioso: prendendo come occasione la vi-
cenda Storace, cosa si dice e scrive di Pan-
nella e dei radicali? Che il Pannella e i ra-
dicali di venti, trent’anni fa erano “buoni”;
poi sono degenerati; il Pannella e i radicali
di “oggi”, sono “pessimi”. Però anche venti,
trent’anni fa dicevano che Pannella e i ra-
dicali erano “pessimi”, degenerati, mentre
quelli “buoni” erano quelli di cinquant’anni
fa. È da credere che fra venti, trent’anni, fa-
ranno la stessa cosa: Pannella e i radicali
buoni” sono sempre quelli al passato, men-
tre quelli del presente sono “pessimi”.
Quello del 1966 è forse il primo corsivo che
Pannella si è guadagnato nella sua lunga
vita politica. Poi ne sono seguiti tantissimi
altri: “anticomunista”; solleva “polveroni”,
farneticante; autore di plurime “mascalzo-
nate”, esibizionista, smargiasso, fa politica
sulla pelle delle donne, preda di cupidigia
ed avventurismo, un inquisitore... C’è da ri-
cavarne istruttive (e amaramente divertenti)
lezioni. Naturalmente a saperlo e volerlo
fare. Ma lo si sa e vuole fare?
Tutti presi dallo “scandalo” Pannella-Sto-
race, nessuno ha mostrato di accorgersi di
quello che c’è a monte di questa vicenda.
La pervicace e deliberata azione, da parte
del Pd, di liquidare i radicali. A livello na-
zionale perché sarebbero inaffidabili; in
Lombardia perché la parola “Amnistia” non
è gradita; in Lazio perché non ci si è piegati
al diktat di liquidare i due consiglieri regio-
nali uscenti Giuseppe Rossodivita e Rocco
Berardo. Nicola Zingaretti, un po’ pateti-
camente, ha cercato di accreditare la tesi
che, avendo chiesto a tutti i consiglieri
uscenti di fare un passo indietro, non poteva
derogare con i radicali: anche Rossodivita
e Berardo dovevano essere “sacrificati”.
La differenza è che mentre i consiglieri del
Pd, pur all’opposizione, non l’hanno fatta,
e spesso sono stati partecipi di quanto fatto
dalla maggioranza, i due consiglieri radicali
hanno sollevato il coperchio del malaffare,
e consentito che l’opinione pubblica ne ve-
nisse a conoscenza. Dire, e comportarsi co-
me se tutti fossero uguali significa sempre
e solo premiare il peggiore. E comunque è
un davvero curioso rinnovamento quello
predicato e attuato da Zingaretti e dal Pd.
Ci si può dire che fine hanno fatto l’uscente
Bruno Astorre, l’ex presidente del consiglio
regionale che faceva parte dell’ufficio di pre-
sidenza dove si deliberavano gli stanziamenti
sui quali è in corso una inchiesta della Corte
dei Conti? Che fine hanno fatto i consiglieri
Carlo Lucherini, Claudio Moscardelli, Da-
niela Valentini, Francesco Scalia, Marco Di
Stefano? Che fine ha fatto Esterino Monti-
no, e – già che ci siamo – consorti e parenti?
Per fare qualche esempio concreto: se Mon-
tino non è più adatto, o non è all’altezza
del consiglio regionale, come può esserlo
per la guida del comune di Fiumicino? E
perché gli altri, se non sono più adatti, o
all’altezza, per il consiglio regionale lo sono
per il Senato e la Camera dei Deputati? Non
è bizzarro un rinnovamento che passa pre-
liminarmente dal taglio della testa (taglio
politico, s’intende) di coloro che hanno de-
nunciato lo scandalo e hanno consentito
alla pubblica opinione di venirne a cono-
scenza?
Questo è il punto. Poi, certo, discutiamo
pure di Pannella, della sua vanità e del
suo essere eccentrico, e di tutto quello che
vogliamo. Però la questione vera è: il Pd
ha voluto e vuole assassinare i radicali.
Forse può riuscirci. Tutti noi, come le stel-
le, restiamo a guardare? O ci si deve in-
dignare solo e soltanto per l’ipotesi di ac-
cordo tecnico con il fascista Storace,
mentre – al contrario – liquidazione ra-
dicale ad opera del Pd è cosa che va la-
sciata passare in cavalleria?
VALTER VECELLIO
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DOMENICA 27 GENNAIO 2013
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