Page 1 - Opinione del 28-9-2012

Direttore ARTURO DIACONALE
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DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1 - DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale
Venerdì 28 Settembre 2012
delle Libertà
Il caso Sallusti, l’Ilva e il compito dei magistrati
l caso Sallusti e la vicenda dell’Il-
va non hanno nulla in comune.
Perché riguardano questioni com-
pletamente diverse come il giusto
equilibrio tra la libertà di stampa
ed il diritto individuale al rispetto
della propria onorabilità ed il giu-
sto equilibrio tra il diritto alla salute
dei cittadini ed il diritto al lavoro
dei cittadini stessi.
Questioni diverse, allora, ma, a
guardare bene, legate insieme pro-
prio da quella esigenza del giusto
equilibrio che dovrebbe essere pre-
sente sia nel primo che nel secondo
caso e che è invece, agli occhi del-
l’opinione pubblica, appare perico-
losamente assente sia nella vicenda
I
Sallusti che in quella dell’Ilva.
Nessuno dubita sull’esistenza di
precise ragioni giuridiche alla base
della Cassazione di considerare as-
solutamente normale che un giudi-
ce di primo grado abbia condan-
nato il direttore de
Il Giornale
ad
una ammenda di cinquemila euro
e che un giudice di secondo grado
abbia trasformato la pena pecunia-
ria in 14 mesi di reclusione senza
condizionale e con l’aggravante di
ritenere il giornalista un individuo
socialmente pericoloso. E nessuno
mette in discussione le ragioni giu-
ridiche che hanno spinto i magi-
strati di Taranto a respingere ogni
proposta di ristrutturazione e di ri-
sanamento degli impianti siderur-
gici ed a decidere una fine della
produzione che equivale alla chiu-
sura dello stabilimento siderurgico
ed alla messa in mobilità delle de-
cine di migliaia degli attuali occu-
pati.
Ma è difficile, se non impossibi-
le, impedire che agli occhi dell’opi-
nione pubblica le due questioni ap-
paiano segnate non solo
dall’assenza di un minimo di giusto
equilibrio ma soprattutto da un’im-
prevedibilità talmente forte da ra-
sentare la schizofrenia.
Il normale e comune cittadino,
in sostanza, guarda il caso Sallusti
ed il caso Ilva e conclude che se mai
dovesse incappare in un qualsiasi
accidente di tipo giudiziario potreb-
be ritrovarsi indifferentemente in
galera o salvato da una misera mul-
ta. E se fosse un imprenditore, un
commerciante o un qualsiasi libero
professionista con la propria atti-
vità chiusa o salvata. Il tutto non
in base alla
dura lex sed lex
ma a
causa della estrema variabilità della
interpretazione della legge stessa da
parte di chi la deve amministrare.
Insomma, il messaggio che viene ai
cittadini dal caso Sallusti come dal
caso Ilva è che se finisce nella ma-
cina giudiziaria tutto dipende dal
caso.
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Tra libertà di informazione e libertà individuali
a diffamazione è una brutta be-
stia. Ma lo è anche il carcere.
Come la mettiamo? Il tema è di
quelli centrali per le società aperte
e democratiche, per uno stato di di-
ritto. La bilancia delle reazioni al
caso Sallusti” pende per la libertà
di stampa. Ma sull’altro piatto non
c’è un valore trascurabile in un or-
dinamento che vorremmo poter de-
finire liberale: l’integrità della repu-
tazione, della propria onorabilità, è
sacra quanto l’integrità fisica. È per
questo che in talune gravi circostan-
ze il nostro codice considera la dif-
famazione alla stregua di un delitto.
Si esercita violenza nei confronti di
una persona anche attentando alla
L
sua reputazione, diffamandola, di-
storcendone l’immagine, manipo-
landone storia e idee personali. La
nostra reputazione, il nostro “re-
cord” personale, fanno parte della
nostra identità. Che la “damnatio
memoriae”, o la “character assas-
sination”, siano tra le prime armi
dei regimi contro i loro nemici in-
terni dovrebbe suonarci come cam-
panello d’allarme. Si parla di “quar-
to potere” non a caso. La libertà di
stampa è un potere capace di
schiacciare l’individuo almeno
quanto gli altri tre poteri. E quanto
più ci addentriamo nell’epoca dei
new media, tanto più si può affer-
mare che una calunnia è per sem-
pre. Nel senso che mentre una dif-
famazione a mezzo stampa, o via
etere, un tempo si perdeva nel flusso
continuo delle rotative, delle onde
radio o delle immagini, tendeva a
sbiadire nella memoria collettiva e
poteva sì essere recuperata, ma non
in modo così semplice, oggi nell’era
digitale è sempre disponibile, acces-
sibile a chiunque con un paio di
click, in eterno, come un indelebile
marchio d’infamia.
Se la diffamazione è un attacco
al cuore delle libertà individuali, il
carcere lo è per la libertà di stampa,
architrave della democrazia. Que-
st’ultima ha però una rilevanza pub-
blica, riguarda tutti gli individui, nel
senso che libertà e pluralismo nel-
l’informazione permettono ai citta-
dini di “conoscere per deliberare”.
Insomma, non c’è democrazia senza
libertà di stampa. Per questo nelle
democrazie liberali la sua tutela è
prevalente rispetto alla tutela del sin-
golo dalla diffamazione. Il “quarto
potere” è così essenziale per difen-
derci dagli altri tre che preferiamo
rischiare di esserne schiacciati come
singoli piuttosto che imbavagliarlo.
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di
FEDERICO PUNZI
Se la diffamazione può
rappresentare a tutti
gli effetti un vero
e proprio attacco
alla vita di una persona,
il carcere lo è allo stesso
modo per il diritto
di espressione, pilastro
portante di ogni
vera democrazia
di
ARTURO DIACONALE
Due questioni
diversissime solo
apparentemente.
Le accomuna il fatto
di essere segnate
non solo dall’assenza
di un qualsiasi equilibrio,
ma da un’imprevedibilità
così forte da rasentare
la schizofrenia
K
«
Un proseguimento della pre-
miership? Se ci dovessero essere cir-
costanze speciali, che io mi auguro
non ci siano, e mi verrà chiesto, pren-
derò la proposta in considerazione». Lo
dice Mario Monti, da New York, a mar-
gine del suo intervento al Council of
Foreign Relations. Poi, quasi temesse
di non essersi schermito a sufficienza,
aggiunge: «Non prevedo che una se-
conda occasione sarà necessaria».
Agli amanti del cinema americano ri-
corderà moltissimo la scena di “At-
tacco al Potere” in cui il generale
William Devereaux, magistralmente in-
terpretato da un Bruce Willis sornione
quasi quanto Supermario, sembra
quasi voler supplicare il presidente
degli Stati Uniti di non ordinargli di im-
porre la legge marziale su una Manhat-
tan devastata dagli attacchi del
terrorismo islamico. Solo che poi si
presentano proprio alcune “circostanze
speciali”, e Devereaux può divertirsi a
spadroneggiare su una città trasfor-
mata in un campo di prigionia.
Anche il professore in loden sostiene
di essersi tolto qualche soddisfazione,
nel suo ruolo di premier tecnico: «La
cosa divertente - dice - è che gli italiani
hanno subito forse la più dura e in-
tensa cura di sempre ma sembrano
avere fiducia nel governo». Auguri, ge-
nerale Montereaux.
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