di
SERGIO MENICUCCI
iena digitalizzazione di mezzi,
montaggio, messa in onda, dif-
fusione. Parte la sfida del Telegior-
nale, dopo 3 anni di gestazione,
per rendere la testata concorren-
ziale sul mercato dell’informazione
digitale. Se tutto andrà bene lo se-
guiranno anche il Tg1 e il Tg3.
La Rai, comunque, arriva ulti-
ma. Ha un parco tecnologico ob-
soleto, metodi di ripresa e mon-
taggio vecchi. Manca una visione
d’assieme, un piano d’investimenti
che faccia recuperare all’azienda
di viale Mazzini il terreno perduto.
L’esperimento parte, comunque,
con tanti dubbi, tante perplessità.
Anche dal punto di vista contrat-
tuali, con cambiamento di man-
sioni e incertezze di posizioni. I
sindacati dei dipendenti anche a
seguito dell’andamento negativo
delle trattative per il rinnovo del
contratto si stanno orientando ad
effettuare un primo sciopero il 9
gennaio, prima della presentazione
da parte del direttore generale al
Cda del piano industriale, che con-
terrà tagli di vasta portata per ri-
mettere il bilancio in gareggiata
(
il canone è stato aumentato di un
euro e mezzo). Una rivoluzione
quella che parte al Tg2? Il supe-
ramento della riforma del 1975?
C’è grande fermento nella pa-
lazzina di Saxa Rubra, completa-
P
mente trasformata. Quello che
cambia subito è il modello di la-
voro. Siamo, però, all’interno del
meccanismo redazionale in cui le
vecchie divisioni tra giornalisti,
tecnici, segreterie verranno modi-
ficate per «rendere un’offerta al
pubblico pluralista, più tempesti-
va». Cambia la linea editoriale?
In cosa il nuovo Tg2 si differenzia
dagli altri telegiornali? La struttu-
ra organizzativa della Rai è rima-
sta ferma alla tripartizione delle
tre aree culturali e politiche legate
al mondo cattolico, a quello so-
cialista-laico e a quello della sini-
stra. Non sembra che da questo
punto di vista ci siano novità. E
per cambiare occorrono anche in-
vestimenti che la Rai in deficit non
ha.
Il processo a cui ha lavorato
per mesi il direttore Marco Masi
ha avuto un’accelerazione con
l’arrivo, sei mesi fa, del manager
Wind, Luigi Gubitosi, come diret-
tore generale che si è accorto delle
obsolete strutture tecnologiche dei
mezzi Rai. L’azienda di viale Maz-
zini era in pratica ferma dall’ulti-
ma spallata data dal direttore del-
la Tgr, Piero Vigorelli, con il
potenziamento dei mezzi per le se-
di regionali.
Quali nuovi scenari si apriran-
no per la Rai con la digitalizzazio-
ne del Tg2? Per ora si dovrebbe
snellire il lavoro redazionale, avere
minore gap tra realizzazione dei
servizi e la trasmissione, utilizzare
una molteplicità di fonti tra cui
tablet e Internet. Una volta anda-
vano in onda solo immagini pro-
dotte dai dipendenti Rai o acqui-
state. Domani il campo è aperto.
I giornalisti non più sul territorio
ma nella loro postazione di lavoro
(
scrivania con tanti monitor) per
scegliere cosa pre-montare grazie
anche ai nuovi microfoni ad hoc
e all’accesso individuale al nuovo
archivio (che per ora non c’è) do-
ve dovrebbero confluire le imma-
gini dello sterminato archivio Rai
e quelle provenienti da altre fonti,
anche straniere (Evelina, tv con-
correnti, Internet). La verità è che
la Rai arriva tardi nell’utilizzo dei
mezzi moderni che offre il web.
Basta visitare uno qualsiasi dei
corridoi di Saxa Rubra per ren-
dersi conto dello spreco e di quan-
ta “archeologia tecnologica” è but-
tata per terra con pile di migliaia
e migliaia di cassette, non utiliz-
zate e non archiviate. Sarà possi-
bile un salto culturale e rimettersi
in gioco? In Rai i giornalisti ormai
sono quasi tutti generali. I dirigen-
ti quasi tutti alle posizioni apicali.
Rainews 24, che ha incorporato
Televideo e Rai international, con-
tinua a fare parrocchia a parte.
Non ci sono sinergie. E le sedi re-
gionali, che costano molto, che fi-
ne faranno?
II
SOCIETÀ
II
La doppia linea
del Pd (suMonti)
Rai, la rivoluzione digitale
potrebbe partire dal Tg2
La vera storiadel carabiniere accusatodi omofobia
omportamenti un tempo con-
siderati fuori dalla comune mo-
rale oggi vengono imposti, e la gente
è obbligata ad accettarli. La porno-
grafia assurge a forma artistica
d’evasione, la prostituzione dei trans
diventa cosa buona e giusta se pa-
ragonata alle lucciole, e la lobby gay
vede trame eterosessuali ovunque,
anche dove c’è un semplice appello
al buongusto. Ma capita che in Italia
ancora resista il reato di atti osceni,
per scongiurare vari atti contrari alla
C
pubblica decenza, ma i fatti dimo-
strano che le forze dell’ordine pos-
sono contestarlo solo agli eteroses-
suali. «Chiunque, in luogo pubblico
o aperto o esposto al pubblico, com-
pie atti osceni è punito con la reclu-
sione da tre mesi a tre anni», dice la
legge. Così, quando alcune signore
segnalano ad un appuntato dei Ca-
rabinieri che due ragazze si sono
lanciate in effusioni nella stazione
ferroviaria di Ostia, il militare pensa
bene d’interrompere il groviglio
d’amorosi sensi. L’avrebbe fatto an-
che se si fosse trattato di due etero-
sessuali, di uomo e donna rapiti dai
sensi. La definizione di atto osceno
contenuta nel codice fotografa per-
fettamente l’accaduto: «Si conside-
rano osceni gli atti e gli oggetti che,
secondo il comune sentimento, of-
fendono il pudore». È certo un reato
che presenta una forte componente
soggettiva. «L’intera tratta ferrovia-
ria Roma-Ostia - spiega l’avvocato
Luciano Randazzo - è presidiata da
militari dell’Arma dei Carabinieri
come dell’Esercito. Il motivo di tanta
attenzione è facilmente deducibile,
la ferrovia serve quartieri periferici
ritenuti a rischio. Così questo servi-
zio assicura la sicurezza ai viaggia-
tori: per la maggior parte pendolari
e donne anziane. L’appuntato dei
Carabinieri che sto difendendo è sta-
to invitato da alcune donne anziane
a far cessare le effusioni amorose tra
due ragazze. Ora l’Arma teme che,
tutelando l’appuntato, potrebbe at-
tirarsi gli strali mediatici delle po-
tenti associazioni omosessuali. È evi-
dente che, accusare un carabiniere
d’omofobia, rappresenti un facile
viatico di pubblicità per tantissima
gente, soprattutto alla vigilia delle
elezioni. Il suo trasferimento, e per
motivi di sicurezza, nasconde debol-
mente una verità roboante: l’Arma
ha dato il primo contentino alle as-
sociazioni. Poi l’appuntato non è an-
cora formalmente indagato, e non
si capisce il reato per cui dovrebbe
risultare indagato». Il carabiniere
ha 38 anni, è sposato ed è padre di
due figli: il profilo classico dell’uomo
vulnerabile, con famiglia quindi fa-
cilmente colpibile da eventuali grup-
pi organizzati. «Non ho avuto nes-
sun atteggiamento omofobo nei
confronti di quella coppia di donne
che si stavano scambiando effusioni
in pubblico, ho agito come se fosse
etero», spiega il carabiniere. Nella
denuncia delle associazioni gay e
nell’esposto presentato alla polizia
dalle due donne si parla di offese, e
che il carabiniere avrebbe «minac-
ciato di denunciarle per atti osceni
in luogo pubblico». «La testimo-
nianza dei tre militari dell’esercito
smentisce la versione delle donne -
ribatte l’avvocato Randazzo -. Il ca-
rabiniere ha solo chiesto i documenti
per identificarle, così come prevede
il regolamento nei casi di ingiurie a
pubblico ufficiale. Poi rientra tra i
compiti di polizia identificare chi
transita nelle stazioni ferroviarie. Il
comportamento del carabiniere è
stato evidentemente equivocato».
RUGGIERO CAPONE
cacchiere politico in fibrillazio-
ne, specialmente per il Pd dove
il responsabile del settore econo-
mico del partito capitanato da Pier
Luigi Bersani, Stefano Fassina, ha
appena scoperto le convergenze di-
vergenti. Con Monti e con la sua
agenda. È bastato che l’ex premier
si spogliasse dalle sue vesti super
partes ed erga omnes, e pronun-
ciasse di fatto le sue dichiarazioni
di intenti dichiarando «arcaica la
sinistra» con un attacco a Vendola
e alla Cgil per scuotere Fassina e
spingerlo a dubitare di quel ruolo
di garanzia inizialmente assunto da
Monti. Garanzia che secondo
l’esponente del Pd sarebbe al mo-
mento «ampiamente ridefinita» da
parte dello stesso ex premier cui lo
stesso Fassina rivolge il provocato-
rio invito a «valutare se la scelta
che sta facendo è coerente». Smon-
tata, dunque, la favola bella della
imparzialità montiana, il Pd inizia
a tremare di fronte al palese obiet-
tivo primario dell’agenda montia-
na: spaccare il partito di Bersani e
raccogliere i voti dei renziani e
dell’area area liberal e popolare. Il
messaggio sembrerebbe dunque
adamantino: scoperte le carte di
Monti, il Pd è alternativo ed incom-
patibile con un’agenda tacciata tra
l’altro di esprimere «in pieno le tesi
mercantilistiche europee del lavoro
svalutato» ed a cui va opposta
«
l’agenda europea progressista»
S
all’insegna del consolidamento
del’unione fiscale, della
green eco-
nomy
e della
green society
.
In ap-
parenza, dunque, tutto chiaro, con-
clusioni tratte. E invece proprio no.
Perché da che parte guardi Monti
tutto dipende. La realtà è di per sé
ambigua e non sarà certo Fassina
che, occupandosi di bilanci, poco
mastica di filosofia, a scardinare
questa certezza. E così con la me-
desima convinzione nelle stesse ore
in cui rilasciava le sue dichiarazioni
al vetriolo sull’Agenda Monti e
sull’inconciliabilità dei reciproci
europeismi”, eccolo impegnato
con il quotidiano della Cei,
Avve-
nire
,
a sostenere la necessità di «va-
lorizzare ciò che unisce e non ciò
che divide il Pd dalla lista Monti»
contro il comune nemico dei po-
pulismi regressivi di Grillo, della
Lega e di Berlusconi. Una melmetta
semantica, quella in cui annaspa il
Pd, che non poteva passare inos-
servata tanto più che Pier Luigi
Bersani non ha eccepito nulla ri-
spetto alle contraddittorie dichia-
razioni di Fassina prestando il fian-
co al fin troppo facile attacco
dell’ormai montiano senatore Pie-
tro Ichino. Come giustificare la li-
nea di Fassina che rappresenta
l’esatto contrario di ciò che Bersani
sostiene in Europa? C’è grande
confusione sotto il sole ma la situa-
zione, per il Pd, si mette... male.
BARBARA ALESSANDRINI
L’OPINIONE delle Libertà
VENERDÌ 28 DICEMBRE 2012
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