Pagina 3 - Opinione del 30-8-2012

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II
POLITICA
II
Fava: «Lega e Pdl uniti?
L’alleanza è possibile»
Per un terzo dei crack
il colpevole è lo stato
Miccichè: «Nasce
il partito siciliano»
l mio vero motivo di felicità
e di soddisfazione oggi non è
solo quello di essere candidato alla
Presidenza ma che finalmente parte
il partito dei siciliani». Parola di
Gianfranco Miccichè, leader di
Grande Sud, che ha ufficializzato
la sua corsa alla poltrona di Palaz-
zo d’Orleans sostenuto dal suo mo-
vimento, dal Partito dei siciliani di
Lombardo (ex Mpa), da Fli e
dall’Mps di Savona. Si realizza così
per l’ex sottosegretario alla presi-
denza del Consiglio il suo personale
sogno politico di candidarsi alla
presidenza della Regione siciliana
(nel 2008, dopo le dimissioni di
Cuffaro, il Pdl gli preferì Lombar-
do), dopo, però, aver proposto in-
sieme al governatore siciliano la
candidatura di Nello Musumeci li-
quidata poi, lunedì scorso, nel giro
di poche ore. E dalla sala stampa
dell’Ars, scelta anche da Musumeci
il giorno prima per confermare la
sua candidatura, Miccichè ha espo-
sto il suo ambizioso progetto: la
costituzione del partito dei siciliani.
Un partito unico sicilianista che re-
cuperi lo spirito dell’autonomia re-
gionale, sia fuori dalla logica dei
partiti tradizionali, faccia da con-
traltare alla Lega e porti anche al
raggiungimento del 30% dei con-
sensi. «Oggi la vera grande novità
– ha affermato l’ex sottosegretario
alla Presidenza - non è tanto la mia
candidatura ma quella del partito
«I
dei siciliani». Un progetto, quello
di un partito del Sud, che Miccichè
insegue da anni e che ieri rinasce
con l’accordo tra Grande Sud e il
partito di Lombardo. Già, una nuo-
va alleanza tra Miccichè e Lombar-
do che in questi ultimi anni con
battute al vetriolo non se le sono
certo mandate a dire. Ma per Mic-
cichè questa è acqua passata:
«Lombardo ha fatto certamente
qualche errore. Ma chi non ha pec-
cato scagli la prima pietra». E quale
“peccato” invece ha fatto Musu-
meci per essere scaricato nel giro
di poche ore? Per il leader di Gran-
de Sud, l’esponente de La Destra-
Alleanza siciliana «per tutta una
serie di motivazioni, magari legate
a logiche dei partiti nazionali, ha
snaturato il progetto sicilianista».
Saranno questi i veri motivi della
rottura? Musumeci non era stato
proposto perché potesse fare da sin-
tesi in un centrodestra alquanto li-
tigioso? A quanto pare «il tasso di
odio umanamente inimmaginabile»
in questo schieramento, come ha
riscontrato Musumeci, ha prevalso
su logiche politiche. Naturalmente
rientra nello “spirito sicilianista” la
telefonata con Berlusconi che, come
ha raccontato Micciché, «non ha
nemmeno provato a farmi tornare
indietro»! Così come è nello stesso
“spirito” chiedere al presidente del
Pdl di invitare a votarlo.
ROSAMARIA GUNNELLA
l
Bersaglio mobile
di
La7
dell’al-
tra sera ha fornito una serie di
spunti interessanti. Ma, a modesto
giudizio di chi scrive, due in parti-
colare (oltre al solito Travaglio che,
quando un po’ in difficoltà, si ar-
rocca dietro ad atteggiamenti tipici
dell’attricetta di avanspettacolo
punzecchiata sui propri ritocchi
estetici) hanno necessità di essere
evidenziati e riguardano entrambi
lo schieramento dei cosiddetti “an-
ti”: anti B. (ma oramai lo sport è
passato di moda), anti Bersani, anti
Violante, anti
Repubblica
, anti
Scalfari, anti Monti, anti Napoli-
tano. Insomma, per farla breve,
“anti-tutti”. Per la verità, lo dicia-
mo subito, non si tratta di nulla di
nuovo ma, nella sostanza, le due
situazioni – di tanto in tanto –
emergono e tutti fanno finta di nul-
la. La prima, nel corso della tra-
smissione di lunedì, l’ha (forse in-
volontariamente) ricordata, in
diretta da Reggio Emilia, il depu-
tato del Pd Francesco Boccia. Te-
stualmente: «Nel 2008 Di Pietro
non avrebbe nemmeno dovuto co-
stituire il gruppo parlamentare
dell’Italia dei Valori. C’era un pat-
to politico fatto di fronte agli ita-
liani. Di Pietro entrò in quella coa-
lizione che coraggiosamente Valter
Veltroni costruì in quel modo. Di
Pietro entrò in quella coalizione
con il patto solenne di fronte agli
elettori che avrebbe costituito un
I
gruppo parlamentare unico alla
Camera e al Senato. 24 ore dopo
tradì quella promessa». Se ci fu
quel “tradimento” dipende forse
dal fatto che un gruppo parlamen-
tare (e quindi anche l’Idv) riceve
i contributi pubblici in entrambi
i rami del Parlamento? A nostro
parere sì, tanto è che l’ex pm – pa-
ladino della battaglia contro il fi-
nanziamento ai partiti – ben si è
guardato dal ribattere all’obiezio-
ne dell’onorevole Boccia.
Seconda situazione, come detto
anch’essa non proprio nuova. An-
cora testualmente, stavolta Marco
Travaglio su Ciancimino jr.: «Cian-
cimino è uno dei dodici imputati
di questo processo sulla trattativa
ed è imputato esattamente per le
cose che lui ha detto di aver fatto
per conto di suo padre. Perché lui,
dato che il padre non poteva muo-
versi da casa, gli faceva da postino
ed andava a portare i pizzini ai
mafiosi e riceveva i pizzini dei ma-
fiosi e li portava a suo padre. Pro-
prio in base a quello che ha detto
Ciancimino di aver fatto è stato
imputato». Domanda: è normale
che un pm scriva la prefazione del
libro scritto da siffatto soggetto?
Per dirla con Filippo Facci, «pare
che alla procura di Palermo si stia-
no specializzando in pataccari da
sfruttare soltanto sinché servono,
salvo arrestarli o farli sparire quan-
do la situazione si compromette. È
stato così per Massimo Ciancimino
ed è stato così – per chi non lo sa-
pesse – per il pentito Vincenzo Sca-
rantino, già protagonista di balle
clamorose e purtroppo accreditate
nel processo per la strage via
D’Amelio: il pm Antonio Ingroia
ha dapprima raccolto alcune de-
posizioni ai danni di Bruno Con-
trada e Silvio Berlusconi, ma poi
puf, quando si è accorto che man-
cava ogni possibile riscontro non
ha riversato i verbali dai fascicoli
processuali e soprattutto non li ha
riversati neppure nel fascicolo del
pubblico ministero, sottraendolo
così a ogni valutazione della difesa
e omettendo ogni indagine a ri-
guardo».
E per il momento ci si ferma
qui.
GIANLUCA PERRICONE
Essere“contro”è l’unica
politica che paga veramente
Ormai dilaga la moda
di essere“anti”: anti-B,
anti-Bersani, anti-Monti,
anti-Violante,
anti-Repubblica,
anti-Napolitano.
Per farla breve,
insomma,“anti-tutti”
di
PIETRO SALVATORI
oberto Formigoni e Renzo Tondo, go-
vernatore del Friuli, hanno rotto gli in-
dugi. Entro la fine del prossimo mese pro-
porranno ai colleghi leghisti di Veneto e
Piemonte l’istituzione di una “macroregio-
ne” del Nord. Un progetto che mira, attra-
verso una modifica della Carta costituzio-
nale, a raggruppare in un unico soggetto le
grandi regioni a statuto ordinario, per con-
ferire più forza e autonomia gestionale ad
un territorio che storicamente fa da traino
alla produzione dell’intero paese. «Meglio
tardi che mai» commenta Giovanni Fava.
Il deputato della Lega Nord è anche il re-
sponsabile di via Bellerio per lo Sviluppo
economico. Naturale che guardi con inte-
resse ad una prospettiva istituzionale che
mira a dare un maggior peso al tessuto pro-
duttivo del settentrione. «Dopo anni du-
rante i quali la Lega ha a lungo insistito su
questi temi, quello dei governatori del Pdl
mi sembra un ravvedimento tardivo ma ne-
cessario, che va giudicato positivamente».
Anche se Fava osserva come sia «un’inizia-
tiva sospetta per modalità e tempistica».
Obiezioni che nascono dalla paura che si
tratti solamente di un
escamotage
per sot-
trarre argomenti alla Lega in vista delle ele-
zioni: «L’alleanza tra noi e Formigoni è ven-
tennale, e anche quella con Tondo ha alle
spalle diversi anni. Ciò che lascia perplessi
è perché un’iniziativa del genere venga pre-
sentata proprio a ridosso delle elezioni po-
litiche e di quelle lombarde».
Anche in considerazione del «difficile
momento politico di Formigoni», c’è «il so-
R
spetto» che si possa trattare di una semplice
boutade
per recuperare credibilità e spazio
al centro del dibattito. Ma Fava si dice an-
che sollevato: «Come provocazione potrei
arrivare a dire che se fossi certo del buon
esito dell’iniziativa formigoniana, potrei
votare lui l’anno prossimo. E dirò di più:
se la sua intenzione è seria, ben venga se ci
costasse qualche manciata di voti». Anche
perché l’emorragia sarebbe assai contenuta
secondo il deputato leghista: «A fare poli-
tica al nord siamo rimasti solo noi».
Ma quel che più conta sono le prospet-
tive nazionali alle quali la mossa dei leader
azzurri potrebbe portare: «Mi sembra un
tentativo per rilanciare una piattaforma po-
litica che negli ultimi mesi abbiamo messo
da parte. Se diventa una battaglia condivisa
da entrambi i partiti, non vedo perché su
queste basi non si possa costruire un’alle-
anza anche per le elezioni politiche. Per noi
questo è un tema qualificante». Le diver-
genze tornano in campo quando si parla
del futuro del Pirellone: «Non esistono in-
carichi
a divinis
– sottolinea Fava – Un
quinto mandato per Formigoni diventa dif-
ficile. La Lombardia per popolazione e Pil
supera molti stati europei, e non ho mai vi-
sto una democrazia europea governata per
venticinque anni dalla stessa persona. È giu-
sto che il governatore coltivi altre prospet-
tive politiche». Anche perché i tempi per
realizzare la macroregione sono stretti: «In
questa legislatura si possono porre le basi
del dibattito, per un’architettura istituzio-
nale da costruire nella prossima. Coinvol-
gendo anche le amministrazioni di centro-
sinistra di Liguria ed Emilia Romagna».
o stato insolvente sarebbe direttamente
responsabile di un terzo dei fallimenti
di imprese dall’inizio della crisi al 2012. Lo
sconcertante
j’accuse
arriva dalla Cgia di
Mestre. Dall’inizio della crisi alla fine di giu-
gno di quest’anno, i fallimenti in Italia han-
no sfiorato le 46.400 unità: tra questi, circa
14.400 (poco più del 30%) sono maturati
a causa dell’impossibilità da parte degli im-
prenditori di incassare in tempi ragionevoli
le proprie spettanze.
Lo stato ha 70 miliardi che non gli ap-
partengono: sono di professionisti, di piccoli
e medi imprenditori che hanno lavorato per
la pubblica amministrazione e non si sono
visti mai pagare le proprie spettanze. Secon-
do le stime più pessimistiche, il debito am-
monterebbe addirittura a 90 miliardi di eu-
ro. Di questi, 30 sono stati sbloccati dal
governo attraverso quattro decreti orientati
a compensare i crediti delle imprese con le
somme dovute per le tasse. Ma è ancora
troppo poco, perché lascia con le tasche
vuote migliaia di piccole aziende. Insomma,
se lo stato avesse fatto il suo dovere, pagan-
do quei lavori che aveva commissionato,
l’impatto della crisi sarebbe stato sensibil-
mente più lieve, e quasi 15mila aziende sane
avrebbero potuto continuare a lavorare.
I ritardi dei pagamenti non sono solto
un male italiano: secondo i dati di Intrum
Justitia, la percentuale di aziende che in Eu-
ropa falliscono per questo motivo è pari al
25% del totale. Ma l’Italia è la sola che, in-
vece di ridimensionare il problema, lo ha
lasciato lievitare. Il nostro paese, dove i ri-
tardi superano la media europea di circa 30
giorni, è l’unico ad aver registrato addirit-
L
tura un aumento dei tempi effettivi di pa-
gamento tra il 2008 ed i primi mesi del
2012 : + 8 giorni per le transazioni com-
merciali tra le imprese private, + 45 giorni
nei rapporti tra Pubblica amministrazione
ed imprese. La situazione per le attività che
lavorano per la cosa pubblica è drammatica:
se in Francia le aziende vengono saldate do-
po 65 giorni, in Gran Bretagna dopo 43
giorni, mentre in Germania il pagamento
avviene dopo appena 36 giorni, in Italia il
pagamento avviene mediamente dopo 180
giorni.
«È necessario che venga recepita quanto
prima la direttiva europea contro il ritardo
nei pagamenti» commenta Giuseppe Bor-
tolussi, segretario della Cgia. «La mancanza
di liquidità sta facendo crescere il numero
degli “sfiduciati”, ovvero di quegli impren-
ditori che hanno deciso di non ricorrere al-
l’aiuto di una banca. È un segnale preoccu-
pante che rischia di indurre molte aziende
a rivolgersi a forme illegali di accesso al cre-
dito, con il pericolo che ciò dia luogo ad un
incremento dell’usura e del numero di infil-
trazioni malavitose nel nostro sistema eco-
nomico».
Sta già accadendo. Con l’inasprirsi della
crisi economica, infatti, la criminalità orga-
nizzata ha mosso un vero e proprio assalto
all’impresa, coniugando la propria necessità
di riciclare il denaro sporco, frutto dei pro-
venti criminali, con la mancanza cronica di
liquidità in cui versano le Pmi: tra il 2008
e il 2011, le segnalazioni di operazioni di
riciclaggio sospette sono passate da 14.069
a 48.344. Un aumento del 243,6%.
LUCA PAUTASSO
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 30 AGOSTO 2012
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