Page 6 - Opinione del 30-9-2012

II
CULTURA
II
Zeman, unmarziano aRoma
L’allenatore visto da Sansonna
di
CRISTIANO BOSCO
egista e scrittore, autore di cor-
tometraggi e documentari, ba-
rese trapiantato a Roma, Giuseppe
Sansonna è tra i più attenti osser-
vatori di colui che - nel bene o nel
male - è uno degli allenatori di cal-
cio più geniali e discussi degli ulti-
mi venti anni, Zdenek Zeman. Al
tecnico boemo, dopo il fortunato
documentario
Zemanlandia
e il vo-
lume
Il ritorno di Zeman
,
è dedi-
cata la sua ultima fatica,
Zeman -
Un marziano a Roma
,
libro fresco
di stampa per Minimum Fax, che
racconta il suo atteso ritorno nella
massima serie, una nuova ascesa ai
vertici del calcio dopo anni di pur-
gatorio, una storia di riscatto e di
rivalsa.
Come nasce la passione per Ze-
man?
Tutto ha origine negli anni della
mia adolescenza: cresciuto a Bari,
da ragazzo mi recavo a Foggia solo
per vedere le partite dei rossoneri,
in quel catino meraviglioso che era
lo stadio, che ogni settimana si
riempiva all’inverosimile, ospitando
una sorta di rito religioso. Zeman
appariva come uno sciamano in-
dossante un trench, con uno sguar-
do unico scolpito quasi come un
capo Apache. Il suo Foggia giocava
come una grande squadra, era ca-
pace di seminare il terrore nelle
grandi del nord. Con il sostegno
del pubblico, in una vera e propria
bolgia infernale, il suo calcio era
una fusione perfetta tra gioco spu-
meggiante e disperato, a un ritmo
vertiginoso: sfidare squadre come
il Milan di Gullit e Rijkaard era co-
me camminare sull’orlo dell’impos-
sibile, eppure accadeva realmente.
Qui è nato l’interesse per Zeman e
per il suo mondo. In lui c’era del
cinema e del grande calcio: da
adulto ho dato forma concreta a
queste passioni da adolescente.
Dopo due opere su di lui, perché
Un Marziano a Roma”?
Il terzo libro è legato al suo ri-
torno a Roma. Con l’editore si è
deciso di raccontarlo partendo dal-
la prospettiva del ritiro, parlando
del rapporto tra Zeman e la capi-
tale, il suo rapporto con i romani.
Scrivo per raccontare figure umane,
dinamiche sociali, legate all’imma-
ginario collettivo, attraverso il cal-
cio. Quasi mai vi è un approccio
tecnicistico, preferisco far prevalere
altri aspetti. Churchill una volta
disse che «gli italiani perdono le
R
guerre come se fossero partite di
calcio e le partite di calcio come
fossero guerre». Il calcio è fin trop-
po presente nella vita del nostro
paese per non osservarlo e tentare
di capirne le dinamiche, raccontan-
dolo in modo diverso. Zeman, in
questo senso, è stata una chiave di
lettura molto interessante, perché
lui rappresenta una alterità nei ri-
guardi dell’Italia, è un uomo altro,
rispetto a tutti gli altri. Soprattutto
per un elemento: è un uomo di sen-
timento in un paese fondamental-
mente sentimentalista. Il suo non
pronunciare frasi fatte nasce pro-
prio da questo tipo di approccio,
anche semplice, diretto, privo di re-
tropensieri e di finti slanci ipocri-
ti.
Al tempo stesso, è tra i più amati
e tra i più odiati personaggi del
mondo del calcio (e non solo). È
Zeman a non aver capito il sistema,
o il sistema a non aver capito Ze-
man?
Credo che il sistema lo abbia
capito, e proprio per questo lo ab-
bia allontanato, poiché è una mina
vagante. È una persona che preten-
de di non rovinare le società per
cui lavora, tiene d’occhio i bilanci
e fa operazioni regolari e possibili,
valorizzando i giocatori con lo
slancio di educare i ragazzi e ren-
quando non succede, si rischia il
tracollo. Programma le squadre per
il pubblico che ha pagato il bigliet-
to, trasformando lo sport in vero
spettacolo, tentando di segnare fino
all’ultimo, chiedendo e pretenden-
do concentrazione assoluta da atle-
ti veri. Nulla a che vedere con il ca-
tenaccio, il gioco addormentato, i
palloni lanciati in tribuna: Zeman
è un altro calcio. Per questo si an-
dava allo Zaccheria, perché gli in-
contri erano feste, con una corale
partecipazione alla tensione conti-
nua.
Il ritorno ai vertici della Serie A di
Zeman è una storia di rivalsa?
Emarginato dal grande calcio per
quanto da lui sostenuto, è riuscito
a riconquistarsi un posto in prima
fila?
Mi piace pensare che la gente
legga così la vicenda, che possa ac-
coglierla come una storia esempla-
re, in cui una persona può tornare
e rimanere ad alti livelli con le sue
idee e con la sua coerenza etica,
senza dover lasciare il posto che gli
compete. Sarebbe dovuto restare
nelle massime serie e sarebbe stato
una ricchezza per il calcio italiano.
Non importa quanto o cosa avreb-
be vinto, perché non è questo il
punto: lo hanno tolto dal campo,
lui è tornato dove gli spetta, a ge-
nerare bellezza in un palcoscenico
di livello. Non gli appartiene il con-
cetto di vendetta: ha sempre sentito
la gente vicino a lui, anche i tifosi
di altre squadre gli hanno dedicato
striscioni, perché percepiscono un
concetto profondo, quasi un “patto
di onestà”. Loro pagano un bigliet-
to per vedere uno spettacolo, lui lo
offre loro fino alla fine.
Talvolta i perdenti hanno insegna-
to più dei vincenti. Penso di aver
dato qualcosa di più e di diverso
alla gente”, pronunciò una volta.
Una vittoria sarà il lieto fine per la
parabola di Zeman?
Sarebbe bellissimo, perché di so-
lito questi finali romanzati, così
compiuti, si trovano solo nei film.
È ovvio che sarebbe il coronamen-
to di una grande carriera, facendo
bel gioco con una squadra di alto
livello. Tuttavia, paradossalmente,
questo suo ritorno è già fin da ora
una vittoria che vale più di molti
scudetti. Nell’immaginario collet-
tivo, Zeman è quasi come il Conte
di Montecristo nel concetto roman-
zesco di riuscire a sopravvivere. La
gente lo ama per questo, e lo ricor-
derà a lungo per questa impresa.
Il libro di Sansonna
fresco di stampa
per Minimum Fax
racconta l’atteso ritorno
di uno degli allenatori
di calcio più geniali
e discussi di sempre.
Partendo da Foggia,
l’autore lo ricorda
come uno sciamano
indossante un trench
con un sguardo unico
scolpito quasi come
un capoApache”
fino alla nuova ascesa
ai vertici del calcio
dopo anni di purgatorio.
Un uomo capace
di programmare
le squadre per il pubblico
che ha pagato il biglietto,
trasformando lo sport
in vero spettacolo,
tentando di segnare
fino all’ultimo
chiedendo e pretendendo
concentrazione assoluta
da atleti veri.
Nulla a che vedere con il
catenaccio, il gioco
addormentato, i palloni
lanciati in tribuna:
Zeman è un altro calcio
derli uomini e calciatori migliori.
Riesce anche a insegnare loro qual-
cosa sulla vita, senza moralismi,
cosa che lo rende diverso dagli al-
tri: è stupefacente la sintonia totale
di questo sessantacinquenne con
atleti poco più che ventenni. Il fi-
glio di un primario di Praga che
dialoga con un ventenne di Fratta-
maggiore e riesce a creare una sin-
tonia umana e tecnica incredibili:
non è semplice trovare questo tipo
di legame in un’Italia in cui vige un
forte conflitto generazionale. È un
rapporto reale, una filosofia con-
creta in un contesto come quello
calcistico dove tutti moraleggiano
e assumono di volta in volta posi-
zioni ipocrite.
Giuseppe Brindisi, su “Pubblico”,
ha spiegato perché «Chi tifa Ze-
man non perde mai», perchè vedere
le sue squadre è uno spettacolo a
prescindere dal risultato.
Sono d’accordo, ma sbaglia chi
crede che Zeman giochi solo per
divertire, senza pensare al risultato:
vuole vincere, e anche molto. Gli
piace vincere, e non gioca per gio-
care. Capita che talvolta vi siano
cedimenti strutturali della squadra
da lui allenata, magari in vantag-
gio, perchè nei suoi calcoli la squa-
dra dovrebbe avere la stessa inten-
sità fino al 90esimo minuto:
L’OPINIONE delle Libertà
DOMENICA 30 SETTEMBRE 2012
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