La Nato ascolta i giovani arabi

martedì 5 febbraio 2013


Roma, 58^ Assemblea Generale dell’Atlantic Treaty Association. Il focus principale verte, ovviamente, sul futuro di un’alleanza in cerca dei suoi nuovi obiettivi, di una nuova forma di cooperazione in un periodo di crisi economiche e di tagli al budget della difesa. «Lo scopo principale è e resta la deterrenza e la difesa – come ricorda Antonella Cerasino (divisione diplomazia pubblica della Nato) – siamo soliti pensare che la guerra sia un problema del passato, ma non possiamo prevedere che cosa possa accadere nei prossimi anni. Un esempio di difesa che si è resa improvvisamente necessaria è lo spiegamento dei missili Patriot al confine meridionale della Turchia». Eh già. Il Medio Oriente è al centro delle preoccupazioni e della speranze dell’Alleanza Atlantica. Il 2011, l’anno della Primavera Araba, ha cambiato tutto. La Siria, con la sua lunga guerra civile, è tuttora la principale minaccia di destabilizzazione ai confini orientali (Turchia) della Nato. Altrove, nella regione mediorientale, le rivoluzioni di due anni fa hanno creato sia rischi che opportunità.

Una grande colpa dell’Europa (e della stessa Alleanza) è di non aver capito quel che maturava, già da anni, nelle società del Mediterraneo meridionale. Meglio, a questo punto, far parlare i diretti interessati. Amira Mekheimar, ricercatrice egiziana, testimone oculare della Rivoluzione di Loto, ci spiega questa difficile fase di rivoluzione nella rivoluzione che il suo Paese sta vivendo. «Per capire meglio la situazione occorre capire prima le categorie sociali e politiche in gioco. Ci sono quelli che noi chiamiamo “Lemon squeezer” (spremitori di limoni, ndr). Deriva da un motto egiziano: “quando non ti piace mangiare qualcosa, spremici sopra un limone”. I Lemon Squeezer odiano ferocemente i Fratelli Musulmani. Ma odiano anche, ogni giorno di più, anche la controrivoluzione. Quindi devono spremere un limone su loro stessi ed entrare in politica. Un’altra categoria sono i Sofa Partiers, che non si sono mai impegnati in politica, ma prendono le informazioni dalla Tv dei talk show. Ed hanno visto che Morsi ha vinto le elezioni solo per un pelo».

Opposizioni così sparse, apolitiche e remissive erano dunque poco o nulla preparate alla presa del potere da parte dei Fratelli Musulmani. Tuttora non esiste alcuna opposizione coerente e organizzata. Ma questo non vuol dire che il nuovo potere sia eterno. Prova ne sono le nuove ondate di protesta contro il presidente Mohammed Morsi, generate dallo stesso modo di governare del nuovo presidente. A novembre, «Solo due giorni dopo l’inizio delle proteste contro i Fratelli Musulmani, abbiamo appreso che Morsi avesse emanato dei decreti speciali, conferendo più poteri alla carica presidenziale e rendendosi pressoché immune al giudizio della magistratura». Inoltre «il comitato costituente era stato già abbandonato, per protesta, da tutte le forze liberali. Dunque si può solo immaginare chi abbia redatto e poi approvato la nuova bozza di Costituzione. E che tipo di Costituzione sia emersa». Nel pieno della protesta, alle 3 del mattino, è stata annunciata l’approvazione della nuova bozza costituzionale, pronta per essere sottoposta al voto popolare con un referendum fissato due settimane dopo. La fretta con cui sono completati i lavori costituenti è stata vissuta come un vero colpo di Stato. Cosa succederà adesso? «In sei mesi, Morsi ha fatto più danni di 30 anni di Mubarak». Ma, come ripetono i democratici egiziani: «Oggi c’è una rivoluzione, domani ci sarà una rivoluzione, dopodomani ci sarà una rivoluzione. Prima o poi vinceremo».

Nabila Ramdani, giornalista e analista algerina, è convinta che la gioventù sia il motore principale di questa ribellione permanente: «I 2/3 della popolazione hanno meno di 25 anni. I partiti tradizionali hanno perso il treno della rivoluzione, sono arrivati tardi. Il messaggio per il cambiamento non è arrivato da libri o pamphlet, non c’è alcun Manifesto, né alcun guru ideologico. Il movimento parte da giovani che comunicano con i social media. Questi strumenti hanno permesso alla rivoluzione di estendersi in pochi giorni, di far scendere la gente in piazza, letteralmente, in pochi minuti. Nuove tecnologie e la necessità di riforme economiche hanno imposto il cambiamento. I giovani arabi non dimenticheranno mai le immagini di giubilo in luoghi simbolo come piazza Tahrir. Ed è un grave errore considerare la Primavera Araba come un fenomeno esaurito. È un processo in corso. Bahrein e Yemen sono tuttora instabili. In Siria, una sola famiglia sta continuando a massacrare il suo stesso popolo». Uno dei protagonisti della rivoluzione dei social media arabi è Sultan al Qassemi, blogger, giornalista ed esperto di new media degli Emirati Arabi Uniti.

Il suo profilo Twitter è attualmente uno dei più seguiti nel mondo. Premette che: «I governi arabi non amano la libertà dei social media. In Paesi in cui, da un quarto alla metà dei giovani, sono disoccupati, dove un terzo della popolazione vuole emigrare, i social media sono una via di fuga, un modo per flirtare con le ragazze e l’unico sistema possibile per parlare di politica. Si contavano 20 milioni di nuovi utenti all’inizio del 2011. Alla fine dello stesso anno erano 36 milioni. E il numero è in continua crescita. Twitter ha conosciuto uno sviluppo del 400%. Nei primi tre mesi della rivoluzione (gennaio, febbraio, marzo 2011) sono stati registrati 22 milioni di tweets in arabo. Nei primi tre mesi dell’anno successivo si contavano ben 172 milioni di tweets. 90 milioni di video vengono scaricati ogni mese in Arabia Saudita, dove non ci sono cinema. Facebook e Twitter sono diventati il nostro parlamento».

Ma… «i governi iniziano a reagire. In tutte le costituzioni vengono introdotti limiti alla libertà di espressione, specialmente nel golfo persico. Meglio se sono leggi ambigue e vaghe, in modo da far rientrare chiunque disturbi. Il Kuwait, che è sempre stato visto come la culla della libertà nel Golfo, adesso sta diventando sempre meno libero, con la legge contro la diffamazione dell’Emiro. Eserciti di giovani attivisti filo-governativi, attaccano i social media spammando messaggi di disturbo. È diventato necessario condividere la propria password e il proprio user id per evitare di farsi silenziare, passando ad altri il proprio testimone». Il lavoro da fare è ancora lungo, dunque: il governo ha imparato a usare i social network a modo suo. Il Grande Fratello ti continua a guardare, anche se credi di essere al sicuro davanti al tuo computer.


di Stefano Magni