Il dramma umanitario del conflitto siriano

sabato 1 giugno 2013


«Siamo l’unica organizzazione umanitaria occidentale presente nel nord della Siria e nelle zone controllate dai ribelli». Lo ha denunciato Loris de Filippi, presidente di Medici Senza Frontiere per l’Italia, appena rientrato dalla seconda missione compiuta in Siria e durata alcune settimane. «La situazione - ha sottolineato de Filippi – è peggiorata dall’ultima volta che sono stato nella zona di Idlib. Ho visto con i miei occhi che mancano acqua potabile, cibi e altri beni essenziali». Da più di due anni la popolazione sta vivendo una gravissima emergenza umanitaria, acuita dall’estrema violenza del conflitto che ha causato finora 94mila morti, secondo gli ultimi dati diffusi dall’Agenzia per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR), a cui si sommano i 4.200.000 sfollati siriani all’interno del paese e il milione e mezzo di rifugiati accolti in Libano, Giordania, Turchia e Iraq.

Una crisi umanitaria inarrestabile in atto da 26 mesi, su cui pesa anche la mancanza di attori umanitari che possano fornire assistenza alle vittime di guerra; a ciò si sommano le difficoltà insite nella distribuzione degli aiuti che riescono ad arrivare all’interno del paese, che spesso non sono sufficienti per dare una risposta adeguata agli immensi bisogni. «Per noi di MSF – ha precisato de Filippi – è una grande sfida lavorare in Siria. Attualmente siamo operativi con 5 ospedali e stiamo incrementando le nostre attività attraverso cliniche mobili. Ma questo non è sufficiente». Secondo gli ultimi dati aggiornati ad aprile 2013, finora l’organizzazione medico – umanitaria ha eseguito 2095 interventi chirurgici, 34.400 visite mediche, 8.500 vaccinazioni, 749 parti e ha distribuito 166 tonnellate di materiali chirurgici. Ma la risposta umanitaria all’emergenza, nonostante gli sforzi, risulta essere sempre più debole e limitata non solo a causa dell’intensità dei combattimenti e dai bombardamenti giornalieri, ma anche dal rifiuto da parte del governo di Damasco di fornire assistenza umanitaria nelle aree controllate dall’opposizione.

Come ha spiegato lo stesso presidente di Medici Senza Frontiere, Loris de Filippi, all’Opinione: «il sistema sanitario nazionale siriano è collassato». Secondo gli ultimi dati forniti a gennaio dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 57% degli ospedali pubblici è andato distrutto, il 36% non è più funzionante e il 10% dei centri di salute pubblica è danneggiato in modo grave. I pochi ospedali rimasti in piedi sono sovraffollati e scarseggiano i farmaci salvavita, soprattutto per le malattie croniche. Dall’inizio del conflitto, gli stabilimenti farmaceutici che producevano il 90% dei medicinali del Paese hanno cessato ogni attività. “I pochi farmaci che riescono ad arrivare nelle zone controllate dai ribelli passano attraverso la Turchia – ha sottolineato de Filippi – mentre altri sono il frutto di donazioni dei paesi confinanti”.

Attualmente gli operatori di Medici Senza Frontiere, svolgono la loro attività in quattro zone site nel nord della Siria, ovvero Aleppo, Idlib, Al Raqqah e Al Hasaka. A preoccupare maggiormente è il rischio epidemie, come ha precisato il Presidente de Filippi: «Il rischio epidemie è altissimo. Ciò è dovuto alla mancanza di un sistema di potabilizzazione dell’acqua, la scarsa igiene che ne deriva e un livello di trasmissione di patologie infettive infantili elevato. A ciò si aggiunge la mancanza di un’adeguata vaccinazione per prevenire malattie come morbillo, varicella e polio». Nel governatorato di Al-Raqqah che ospita attualmente più di 500 mila sfollati, è aumentato il numero dei diabetici (da 10 mila a 21 mila), e le malattie infantile infettive non hanno tardato a diffondersi. Finora sono stati registrati 400 casi di morbillo. «Le nostre strutture medico-sanitarie – ha sottolineato de Filippi – operano sotto la bandiera dell’indipendenza, in sinergia con i team medici siriani, almeno quei pochi che sono rimasti all’interno del paese. Ci è capitato in alcuni casi di curare anche prigionieri governativi caduti nelle mani dei ribelli».

Le difficoltà sono enormi, in una zona devastata dai continui bombardamenti, e le altre organizzazioni umanitarie internazionali operano nella maggior parte dei casi ai confini con la Siria. Risale all’11 maggio scorso il duplice attentato compiuto nella città turca di Reyhanli, al confine con la Siria, che ha provocato 46 vittime. Mentre, quattro giorni fa due razzi Grad sparati dalla Siria hanno colpito alcuni quartieri meridionali di Beirut, controllati dal movimento sciita Hezbollah. «Noi - ha concluso de Filippi - chiediamo a tutte le parti coinvolte nel conflitto, di raggiungere almeno un accordo di base che possa consentire la fornitura di assistenza umanitaria attraverso le frontiere. A breve ripartiremo per la Siria».


di Pamela Schirru