L’Iran “nucleare”, miraggio di un accordo

giovedì 21 novembre 2013


C’era da attenderselo: un intervento a gamba tesa dell’ayatollah Alì Khamenei, Guida Suprema dell’Iran, nel dibattito sul suo programma nucleare. Suo a tutti gli effetti, visto che i siti dell’arricchimento dell’uranio, le centrali e i centri di ricerca fanno capo direttamente all’ayatollah e non al presidente Hassan Rouhani, come si potrebbe pensare. Con un tempismo incredibilmente breve, ieri mattina era stata diffusa la notizia ufficiosa secondo cui i negoziati di Ginevra per la questione nucleare fossero a un punto di svolta e che l’accordo finale fosse in vista. Con i rappresentanti iraniani ancora in viaggio per Ginevra, Khamenei ha tenuto un discorso (trasmesso in televisione) ai fedelissimi delle milizie Basij. Ha dichiarato che i negoziatori inviati in Europa sono vincolati da precisi limiti. E che l’Iran “non arretrerà di una virgola” dal suo “diritto” al nucleare.

La presa di posizione dell’ayatollah può apparire strana, agli occhi dei negoziatori del gruppo di contatto P 5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu più la Germania), perché mai come questa volta è stata data fiducia alla controparte iraniana. In tutti i precedenti round di trattative, infatti, la condicio sine qua non per ogni accordo era la cessazione iraniana di ogni attività di arricchimento dell’uranio (materiale utile per la costruzione di armi nucleari) e la consegna di quello già arricchito ad un Paese terzo, con la supervisione dell’Aiea. In questo caso, invece, grazie alla fiducia ispirata dal presidente “moderato” Rouhani, la condizione numero uno è stata rimossa e sostituita con una richiesta più blanda: sospendere, per alcuni mesi, il processo di arricchimento dell’uranio.

In cambio di questa semplice sospensione, le sanzioni economiche verranno alleggerite. Di fronte all’apertura di una linea di credito così generosa da parte del P 5+1, l’intervento duro di Khamenei ha tre possibili spiegazioni. Prima: può essere semplicemente un gioco delle parti. In realtà sia Rouhani che Khamenei vogliono completare il programma nucleare e, magari, anche iniziare a costruire le prime bombe atomiche, da testare entro l’anno. La necessità di fare fronte alla crisi economica, però, impone un atteggiamento conciliante per far sì che le sanzioni vengano alleggerite. Se fosse così, lo sviluppo futuro sarà come segue: Rouhani accetterà le condizioni del P 5+1, Khamenei farà la voce grossa per accontentare i più intransigenti (Basij, Hezbollah, Guardie Rivoluzionarie), ma alla fine accetterà anche lui.

E sia Rouhani che Khamenei rimarranno convinti di poter riprendere i lavori all’atomica non appena l’economia si sarà ripresa e le acque internazionali si saranno calmate. Seconda: Khamenei sta solo fornendo un alibi a Rouhani, per rompere le trattative di Ginevra. In questo caso lo sviluppo sarà il seguente: il presidente moderato si stringerà nelle spalle e dirà al gruppo di contatto “avrei voluto, ma non posso”, tornerà in Iran con la coda fra le gambe e il programma nucleare andrà avanti come prima e più di prima, nonostante sanzioni e crisi economica.

Questa seconda spiegazione diventa tanto più plausibile quanto più il programma sia già a uno stadio già avanzato. Terza: esiste realmente un conflitto di potere fra il moderato Rouhani e l’estremista Khamenei, all’interno del regime di Teheran si stanno formando due blocchi, uno dei quali è contrario al programma nucleare e favorevole a un accordo con l’Occidente.

È quello a cui credono (o vogliono credere) gli interlocutori occidentali. Ma gli iraniani, soprattutto i dissidenti che hanno già mangiato la foglia, lo ritengono come lo scenario meno plausibile, perché Rouhani, alla fine, è un uomo di regime a tutti gli effetti, selezionato dal Consiglio dei Guardiani e legittimato da Khamenei.


di Stefano Magni