Crimea, ma chi è “fuori dalla realtà”?

“Vladimir Putin è fuori dalla realtà”, ha affermato la cancelliera tedesca Angela Merkel dopo la sua prima conversazione con il presidente russo dall’inizio della crisi in Crimea.

A dire il vero, paiono più i Paesi della Nato, che dovrebbero contrastare la mossa del Cremlino, ad essere fuori dalla realtà. La loro totale assenza di reazione coordinata lascia attoniti. Proprio mentre i russi lanciavano il loro ultimatum alle truppe ucraine in Crimea (poi ritirato, poi riconfermato e poi ritirato ufficialmente, ma mantenuto valido dalle truppe russe sul campo), il presidente della prima potenza occidentale, Barack Obama, non stava nemmeno pensando all’Ucraina. Era a colloquio con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, per minacciare, come di consuetudine, severe misure contro lo Stato ebraico se questo non avesse smesso di avallare piani di costruzione di unità abitative in Cisgiordania e Gerusalemme. Le case degli ebrei, per Obama, sono evidentemente una minaccia alla pace peggiore rispetto ai carri armati russi.

Contemporaneamente, l’Unione Europea, che include il grosso dei Paesi della Nato confinanti con l’area di crisi, non riusciva a trovare una linea comune, né ad esprimere una linea d’azione decisa. Non c’è ancora un accordo per eventuali sanzioni economiche. Non verranno nemmeno boicottate le prossime Paralimpiadi a Sochi. Al massimo qualcuno boicotterà la cerimonia di inizio. Sull’eventuale esclusione della Russia dal prossimo vertice G8 è tutto da vedere. John Kerry, segretario di Stato americano, ha ventilato questa ipotesi dall’inizio della crisi e l’ha ribadita ieri, nel corso della sua visita a Kiev, a sostegno del nuovo governo ucraino: “Se la Russia vuole essere un Paese membro del G8, deve comportarsi all'altezza del suo ruolo”. Una tirata d’orecchi sul galateo internazionale che difficilmente farà effetto a Mosca e potrebbe non convincere neppure i membri europei di quel prestigioso club internazionale. La Nato, in sé, ha riunito un vertice di emergenza con tutti i suoi 28 membri. Ma più che lanciare un appello al ritiro delle forze russe della Crimea non fa. Le dichiarazioni, se non supportate da forze sul terreno, non hanno effetto. E a parte una portaerei americana nel Mar Nero (su cui non è stata fatta alcuna dichiarazione ed era già in zona) non c’è alcuna mobilitazione della Nato.

Insomma, da un punto di vista russo, la reazione occidentale è assolutamente “fuori dal mondo”. Niente di quello che è stato minacciato è sufficientemente forte e/o credibile da indurre Mosca a richiamare gli uomini. Il Cremlino non crede che l’Europa possa applicare sanzioni economiche, per il semplice motivo che sono i Paesi Ue a dipendere dal gas russo, in alcuni casi (come Croazia e Bulgaria) anche al 100%. Non deve ingannare la fine delle manovre militari ai confini con l’Ucraina, annunciata ieri, perché le forze armate russe restano in stato di allerta. E in Crimea sono sufficientemente numerose da prendere il controllo della penisola (e non solo).

Tuttavia, una qualche ragione la Merkel ce l’ha. Nel medio e lungo periodo, però. Se la Russia procede con la sua azione militare per annettersi la Crimea o, peggio, lancia un’offensiva contro l'Ucraina centrale, fino alla capitale Kiev, l’impatto sull’economia russa potrebbe essere tremendo. Lasciamo perdere boicottaggi, embarghi o altre misure punitive che, comunque, difficilmente verranno adottate dall’Occidente. Pensiamo, piuttosto, a cosa possa pensare un investitore medio. La Russia sta diventando un Paese che provoca una guerra, in media, ogni cinque anni. Se la sua immagine e attrattiva all’estero è già debole, come constatano tutti gli analisti finanziari, una guerra di grandi dimensioni, in violazione di tutte le basilari norme del diritto internazionale l’affosserebbe ancora di più.

“La Russia può ben dire “noi abbiamo i muscoli” – scrive l’analista Lilit Gevorgyan, dell’IHS Global Insight – ma flettere questi muscoli può costare loro molto, sia economicamente che in termini di prestigio mondiale”. Il primo giorno della crisi militare ha subito provocato un piccolo terremoto finanziario: la Borsa di Mosca ha perso il 12%. Il cambio rublo-dollaro è arrivato ai minimi storici. In caso di sanzioni, il quadro peggiorerebbe ulteriormente, perché i nuovi ricchi russi dipendono, in gran parte, dai loro investimenti all’estero. E per estero si intende, soprattutto: Europa e Usa. Se i loro beni dovessero essere congelati o dovesse essere negato loro il visto per viaggiare e combinare affari, sarebbe un danno forte per la classe dirigente russa. Questa situazione va a sommarsi a un impianto già debole di suo. La Banca centrale russa prevedeva, per il 2014, una crescita debole, di appena l’1,5% o 1,8% del Pil, non di più. Questa crisi potrebbe portare alla crescita zero. I conti pubblici non sono messi benissimo: solo per promettere gli aiuti finanziari all’ex presidente Viktor Yanukovich (l’equivalente di 15 miliardi di dollari), Mosca aveva preso in considerazione di mettere mano anche alle sue riserve pensionistiche. Se non compensato da una crescita produttiva, il bilancio del prossimo anno rischia di andare in deficit. Quanto a Sochi, già solo questa crisi dovrebbe aver minato il suo potere di attrazione per nuovi investitori. Avrebbe dovuto essere la California russa. Sta diventando un’area calda di guerra (per la Cecenia prima, per la Georgia poi, adesso per la relativamente vicina Crimea). E rimettere in sesto Sochi era costato ai russi ben 52 miliardi di dollari.

Sicuramente questi freddi calcoli rinsalderanno ulteriormente la determinazione di Putin, che a questo punto si sentirà come il guerriero duro e puro che combatte contro potenze debosciate che pensano solo al vile denaro. E proprio per questo piace alle nostre destre. Ma la realtà non è fatta solo di guerrieri. È fatta anche di mezzi di sostentamento e scambio, in parole povere: soldi. E perché rischiare il proprio futuro per una regione povera e quasi priva di acqua, tanto che dovrà essere mantenuta di peso, quale è la Crimea? Per di più, gli Usa, l’Ue e l’Fmi hanno promesso tanti aiuti all’Ucraina quanto Kiev non sperava nemmeno prima dell’invasione russa. Putin, muovendo alla guerra, rischia dunque di ritrovarsi a capo di un Paese più povero di un’Ucraina che avrebbero voluto schiacciare. Se questo non vuol dire “essere fuori dal mondo”…

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:44