Gli oscuri presagi dal fronte ucraino

Le notizie che giungono dall’Ucraina non sono rassicuranti. Il Paese, stando alle cronache, rischierebbe di spaccarsi e di entrare in una fase di guerra civile dagli esiti molto incerti.

A prima vista si dovrebbe sperare che la pace, o almeno una soluzione negoziata, possa essere preferita a una escalation bellica destinata a provocare soltanto morti e supplementi di odio. Tuttavia, appare chiaro che le parti in conflitto non abbiano alcuna voglia di trovare un’intesa. Ciascuna di esse gioca nella convinzione di poter trascinare, nella bagarre, le potenze alleate. Se i filorussi guardano a Mosca nel pensare di volgere a loro favore il tentativo di secessione delle regioni dell’Est dell’Ucraina, a loro volta le popolazioni dell’Ovest, sostenute dal governo centrale di Kiev, stanno facendo di tutto per trascinare nello scontro diretto anche l’Unione Europea e gli Stati Uniti, attraverso la Nato.

Sarebbe una follia se i players della politica internazionale cedessero alla tentazione di rituffare il mondo in una situazione di pericolosa turbolenza, soltanto per consentire il regolamento di conti tra fazioni ed etnie che non si sono mai amate e non riescono a immaginare un futuro comune.

Bisogna riconoscere che se l’amministrazione Obama avesse ragionato di più sulla proposta russa di “aprire” a una soluzione di tipo federale, oggi il negoziato di pace avrebbe compiuto molta strada. Pazienza, non è andata così. Si è tentata la mobilitazione a sfondo patriottico per giustificare un’operazione che resta una manovra di riposizionamento strategico dell’asse Usa-Ue nella politica di vicinato con il gigante russo. Il dato incontrovertibile che fa strame delle fandonie raccontate negli ultimi tempi è che l’Ucraina era collocata tradizionalmente nell’area d’influenza di Mosca. A fare di tutto per sottrarla alla sua alleanza storica sono stati gli occidentali. In particolare, è responsabilità di Bruxelles di aver insistito con una politica illusoria e ingannevole nei confronti dell’Ucraina pur di spingerla ad agganciare l’Unione Europea. In particolare, il commissario per l’Allargamento e la Politica di Vicinato, il ceco Štefan Füle, si è speso oltre misura per giungere in breve tempo a cogliere l’obiettivo fissato: l’integrazione dell’Ucraina nel contesto occidentale. In realtà proprio la fretta è stata la causa principale delle incomprensioni che sono all’origine dello scontro frontale con la Russia.

Il fatto di mirare a far distaccare l’Ucraina dalla Comunità degli Stati Indipendenti poteva anche considerarsi un obiettivo legittimo. Ma si doveva essere realisti e immaginare che Mosca, senza le dovute garanzie per la propria sicurezza e senza i contrappesi strategici necessari, mai avrebbe accettato un cambio di posizione per un Paese limitrofo che si espande lungo un’ampia linea dei suoi confini a Sud-Ovest. È stato un atto di avventurismo politico portare l’Ucraina a un passo dal baratro in uno scontro diretto con la potenza russa. Ora tutto l’Occidente rischia di pagare le conseguenze di questo macroscopico errore. Ma questo è il passato. Non serve tornarci sopra. Condurrebbe solo a rinfocolare sterili polemiche a sfondo ideologico. Ciò che adesso conta è capire come si possa venir fuori dalla crisi con il minore danno possibile per tutti gli attori.

L’occasione è offerta dall’odierno incontro quadrilaterale, in programma a Ginevra. Intorno al tavolo dovrebbero prendere posto i principali protagonisti di questa vicenda: il governo ucraino in carica, la leadership russa, il rappresentante della polica estera dell’Unione Europea e il dipartimento di Stato dell’amministrazione statunitense. Quali punti potrebbero mettere d’accordo i litiganti? In primo luogo la definizione dello status giuridico internazionale della Crimea. Il riconoscimento del diritto di quel popolo ad autodeterminarsi potrebbe costituire il viatico per la soluzione dell’intero contenzioso. In contropartita, Mosca potrebbe stendere il velo dell’oblio sulla massa dei crediti vantati presso i governi (inadempienti) di Kiev. Anche la questione delle forniture di gas troverebbe un suo accomodamento con la conferma delle tariffe privilegiate e dei maxisconti, praticati dalla Gazprom sulle forniture dirette all’Ucraina. Non bisogna dimenticare che il principale obiettivo della leadership di Kiev, a prescindere da ciò che pensano gli esagitati ultranazionalisti di Svoboda, non è di vincere un’ipotetica guerra contro la Russia, cosa molto improbabile (il ricordo dei fatti in Georgia, nel 2008, è ancora vivo nella memoria di tutti), ma di riprendere la crescita economica.

Il Paese, da questo punto di vista, è in braghe di tela, con tanti debiti e Pil in decrescita. Il primo ministro Arsenij Petrovyč Jacenjuk sa bene che senza un rilancio economico il paese va a sbattere. A quel punto non basteranno gli aiuti finanziari dell’Occidente ad evitare la bancarotta. Anche l’amministrazione Usa non lascerebbe il tavolo a mani vuote. Il via libera sulla Crimea potrebbe essere compensato dalla soluzione dell’annosa vicenda dell’indipendenza del Kossovo. Non è un caso se, vista l’aria che tira, a sei anni dalla secessione il governo di Pristina ha proposto, in deroga al divieto fissato dalla Risoluzione Onu n.1244, di costituire un proprio esercito nazionale che abbia scopi di difesa della sovranità territoriale e d’indipendenza del Paese. Se ciò avvenisse sarebbe inevitabile la protesta del governo di Belgrado contro la violazione dei patti. La palla passerebbe al Consiglio di Sicurezza, dove un voto favorevole della delegazione russa potrebbe chiudere la pratica, per la gioia dei kossovari e la soddisfazione di Washington. Per l’Unione Europea vi potrebbe essere, invece, il via libera di Mosca a includere l’Ucraina nell’area di libero scambio.

Resterebbe poi sul tavolo la questione della sistemazione della componente russofona, insediata nelle zone orientali e meridionali del Paese. La popolazione si sta ribellando perché teme, dopo la secessione della Crimea, di subire la rappresaglia delle forze egemoni che occupano le stanze del potere a Kiev. Giacché i maggiori insediamenti manifatturieri sono ubicati proprio in quelle aree e il primo committente industriale è rappresentato dal governo russo, come russo è il mercato prevalente di sbocco delle produzioni ucraine, le popolazioni locali paventano il rischio che Mosca possa tirarsi fuori annullando gli ordinativi e, di fatto, abbandonando il sistema produttivo ucraino a se stesso. Ciò si tradurrebbe in un ulteriore impoverimento e in una crescita esponenziale della disoccupazione. Atteso che il Cremlino, una volta posta in sicurezza la penisola crimeana, non abbia interessi ulteriori a sottrarre territorio all’Ucraina, potrebbe rivelarsi sufficiente approvare una riforma dell’architettura istituzionale in senso federale. Diversamente, se qualcuno pensa di poter usare le modeste ricchezze dei territori dell’Est sfruttando la manodopera degli abitanti filorussi, a esclusivo beneficio delle casse centrali, sbaglia di grosso. Mosca non lo permetterà. E sbagliano gli occidentali a immaginare come possibile un tale scenario.

Per il momento ci si accontenti dell’occasione di Ginevra per sperare che il canale di dialogo resti aperto. D’altro canto questa è anche la posizione del nostro ministero degli Affari Esteri che raccomanda cautela per evitare di compromettere il negoziato. La ministra Mogherini si è detta contraria ad applicare nuove misure sanzionatorie ai danni della Russia. Questa volta i rappresentanti di Obama a Ginevra dovrebbero essere molto più prudenti, anzi restii, a insistere sulla storia delle sanzioni. Washington, dopo aver fatto la voce grossa contro Putin, ora trema all’idea che la volpe del Cremlino possa dare seguito alla più efficace delle contromisure minacciate: mettere fuori corso il dollaro nel meccanismo di pagamento delle forniture petrolifere ai Paesi del Brics. Immaginate per un momento cosa accadrebbe ai titoli americani se improvvisamente Mosca chiedesse ai suoi maggiori clienti: i cinesi e gli indiani, di pagare in euro, anziché in dollari, i prodotti acquistati.

È tempo, dunque, che alla tela ucraina lavorino esperti tessitori. I “Capitan America” sono pregati di occuparsi d’altro, magari facendo attenzione a non combinare nuovi sfracelli. Grazie.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:47