In Ucraina inizia il ritorno dell’Urss

La manifestazione di forza russa in Ucraina orientale, nella regione di Donetsk, ha finora prodotto l’effetto desiderato da Vladimir Putin. Forze speciali russe hanno occupato una decina di città, senza mostrarsi, sostenendo milizie locali, incoraggiando la sollevazione di una popolazione che è a maggioranza ucraina russofona o direttamente di origine russa. Gli Spetnatz di Mosca, l’élite delle forze speciali del Gru, il servizio segreto militare, hanno coordinato le loro azioni, sottratto un’intera grande regione al controllo di Kiev, senza perdere un solo uomo e senza fare vittime. Hanno agito in base a schemi tattici preparati nel corso dei decenni, fin dai tempi in cui l’Urss preparava la guerra all’Europa occidentale e intendeva pugnalare alle spalle gli eserciti Nato con una serie di azioni di sabotaggio.

La tardiva risposta militare di Kiev rischia di creare più danni che benefici, più effetti collaterali che desiderati. Le truppe del ministero dell’Interno, malpagate e malnutrite, costituite da giovani militari di leva, non stanno agendo con disciplina, in alcuni casi (come a Kramatorsk) hanno fraternizzato con i cittadini filo-russi, in altri casi si sono fatti disarmare e sono tornati a casa. Ci sono ufficiali che si sono rifiutati di sparare “sul proprio popolo”. E d’altra parte questa è stata anche la lezione dei Maidan: se l’ex presidente Yanukovich è caduto, è proprio perché ha constatato che un esercito di ragazzi coscritti non avrebbe mai sparato sui coetanei manifestanti a Kiev. Gli “omini verdi”, cioè gli Spetnatz russi infiltrati fra i manifestanti ucraini orientali, tengono perfettamente sotto controllo la situazione. Ad oggi tutta la regione di Donetsk è, di fatto, una provincia della Federazione Russa. Solo a Mariupol, sul Mar d’Azov, i regolari ucraini hanno ripreso il controllo della città e hanno disperso un tentativo d’assalto degli irregolari russi e pro-russi, uccidendone almeno tre e arrestandone più di sessanta. Visti i magri risultati della prima “operazione anti-terrorismo”, Kiev ha inviato rinforzi, costituiti dalle forze Omega (le teste di cuoio), più aerei ed elicotteri per cercare di impressionare gli insorti.

La candidata presidenziale Yulia Tymoshenko suggerisce al governo di proclamare lo stato d’emergenza, a costo di rimandare le elezioni presidenziali, così da lasciare carta bianca ai militari. Ma si tratterebbe di un’ammissione di debolezza: è nell’interesse del governo guidato da Arseny Yatsenyuk tenere basso il livello di violenza, evitare un eventuale intervento militare russo (ci sono almeno 40mila uomini ammassati alla frontiera orientale), normalizzare la situazione il prima possibile e andare al voto, regolarmente, il prossimo 25 maggio, per mostrare alla Russia almeno l’immagine di un Paese stabile. Ma sarà ancora possibile?

L’intervento di forza ucraino sta provocando una rapida e ostile reazione popolare in tutta la regione di Donetsk, autoproclamatasi “Repubblica Popolare” indipendente e pronta a unificarsi con la Russia. Nella terra che fu di Stakhanov, dei minatori sovietici, dell’élite della classe operaia di Stalin, i cittadini si sentono coinvolti in una nuova Grande Guerra Patriottica, contro i “nazisti” di Kiev e gli “imperialisti” europei e americani. E giusto per mostrare una gran coerenza ideologica, le nuove autorità filo-russe hanno subito schedato gli ebrei per espellerli dalla regione. Il numero dei volontari russi e russofoni in armi cresce di ora in ora: da quando è iniziato l’attacco a Kramatorsk, sentono di dover combattere la loro “Stalingrado”. Più le operazioni si prolungano, più alto è il rischio che quella nel Donbass e nell’Est ucraino diventi una guerra di popolo. E il debole esercito di Kiev rischia di perderla, visti i primi magri risultati. Donetsk, un mese dopo la Crimea, sta diventando irrecuperabile. Difficilmente Kiev potrebbe pensare di ricucire lo strappo e normalizzarla.

Nei colloqui a quattro (Usa, Ue, Russia e Ucraina) iniziati ieri mattina a Ginevra, Mosca ha potuto vantare una situazione sul terreno ad essa molto favorevole. Il presidente Vladimir Putin, che si è tenuto ben lontano dal negoziato, ha condotto una trionfalistica conferenza stampa in diretta televisiva, rispondendo a parte di un milione e mezzo di domande rivolte da cittadini russi e della Crimea (ormai considerata una regione della Federazione, a quanto pare). Magnanimamente, ha lasciato parlare voci di ex dissidenti “redenti”, che ora lo idolatrano in diretta tivù. Ha dato spazio alle proposte più assurde (una pensionata gli ha chiesto quando si invaderà l’Alaska, il presidente le ha risposto: “Ma cosa se ne fa?”) giusto per far vedere che il popolo è comunque pronto a seguirlo ovunque, ha confessato, mostrando un gran senso di impunità, di aver invaso la Crimea con truppe russe, che avrebbero agito “con responsabilità”. Ha lanciato velate minacce di interrompere la fornitura di gas all’Europa, provocando l’immediata reazione piccata di Bruxelles. E sull’Ucraina ha ribadito che il parlamento lo ha autorizzato a usare la forza. Che l’Ucraina è sempre stata parte della Russia (almeno quella meridionale e orientale) e che Yanukovich è stato troppo poco determinato nel tentativo di reprimere la rivolta del Maidan (solo 100 morti...).

Il messaggio da leggere fra le righe è abbastanza chiaro: il presidente russo vuole ricostruire l’Unione Sovietica. Ed è pronto a rispondere alla sfida della Nato, che dice di “non temere”, perché evidentemente la vede troppo indecisa e divisa al suo interno. Qualunque cosa si dovesse decidere a Ginevra, Putin ha già detto la sua. E non è affatto incoraggiante.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:52