Coraggio bostoniano,   viltà intellettuale

Anniversario delle bombe alla maratona di Boston. Nella città più irlandese d’America si corre di nuovo, con decine di migliaia di partecipanti, senza farsi intimidire. Toccante il commento del vincitore, il corridore statunitense Meb Keflezighi, il primo americano a vincerla dal 1983, che ha dedicato la sua corsa alle vittime. Un tocco di umanità e patriottismo che non guasta, ricordando i 3 morti e i 260 feriti dell’anno scorso. Se la gente reagisce con coraggio, dignità e patriottismo ai drammatici eventi dell’anno scorso, non così la cultura ufficiale, accademica e mediatica. Che continua a mostrare ambiguità, vigliaccherie e dubbi anche di fronte a un deliberato attacco.

“Voi meritate ricordi migliori dell’11 settembre e dell’attentato alla maratona di Boston”. Avrebbe voluto dirlo Ayaan Hirsi Alì, agli studenti della Brandeis University di Boston, in occasione dell’anniversario delle bombe. Ayaan Hirsi Alì, su cui pende tuttora una condanna a morte per apostasia e per aver scritto la sceneggiatura di Submission (il film per cui il regista Theo Van Gogh è stato assassinato nel 2004), avrebbe dovuto essere premiata dall’accademia bostoniana con una laurea honoris causa. Non gliel’hanno conferita. Perché gruppi di studenti attivisti e professori si sono stracciati le vesti contro una scrittrice giudicata “islamofoba”.

Il mancato premio ad una figura simbolo della resistenza individuale contro lo jihadismo, peggiorato ulteriormente da uno scarica-barile di responsabilità (le autorità della Brandeis sostengono che sia stata una mossa concordata, ma Ayaan Hirsi Alì sostiene di non essere stata informata del cambio di programma) è emblematico. Anche nei giorni immediatamente successivi alle bombe, a cadaveri ancora caldi, il quotidiano Slate titolava “Speriamo che l’attentatore di Boston sia un americano bianco” e per tutto l’editoriale, il giornalista David Sirota ce la metteva tutta per dimostrare che le vere vittime fossero le minoranze, specie quelle islamiche e che ci fosse da sperare in un attentatore bianco, americano, possibilmente cristiano, perché almeno non avrebbe dato adito a razzismi vari (non rendendosi conto di aver scritto lui stesso un pezzo razzista nei confronti dei bianchi, americani, cristiani). I giornaloni e i grandi network televisivi puntavano il dito contro i Tea Party, i movimenti anti-tasse che esistono da 4 anni e non hanno mai fatto un solo morto, pur avendo coinvolto milioni di persone nelle loro proteste di piazza. Slate e gli altri media sono rimasti delusi nell’apprendere che l’attentatore fosse il “solito” islamico radicale, accompagnato dal fratello minore, entrambi immigrati dalla Cecenia.

A un anno di distanza dall’attentato, la lezione non è stata imparata. “Sono abituata a essere fischiata nelle università – avrebbe voluto dire Ayaan Hirsi Alì – per cui sono grata dell’opportunità di potervi parlare oggi. Non mi aspetto che tutti voi siate d’accordo con me, ma apprezzo tantissimo la vostra apertura all’ascolto. Sono qui davanti a voi come qualcuno che sta combattendo per i diritti delle donne e delle ragazze in tutto il mondo. E sono davanti a voi come qualcuno che non è spaventato di fare domande scomode sul ruolo della religione in questa battaglia. La connessione tra la violenza, soprattutto la violenza contro le donne, e l’Islam è troppo chiara per essere ignorata. Non aiutiamo gli studenti, le università, gli atei e i credenti quando chiudiamo gli occhi davanti a questa connessione, quando cerchiamo scuse anziché riflettere. Per questo domando: il concetto di guerra santa è compatibile con il nostro ideale di tolleranza religiosa? È blasfemia – punibile con la morte – mettere in discussione l’applicazione alla nostra Era di certe dottrine risalenti al Settimo secolo? Sia il Cristianesimo sia l’Ebraismo hanno avuto le loro riforme. È arrivato il tempo anche per una riforma dell’Islam. Queste argomentazioni sono inammissibili? Di certo non dovrebbero esserlo in un’università che è stata fondata dopo lo scandalo dell’Olocausto in un tempo in cui molte università americane ancora imponevano restrizioni agli studenti ebrei”. È questo il discorso che fa scandalo in un mondo accademico che si vanta di essere “multiculturale”. Non fa scandalo l’aver subito un attentato da parte di un fanatico religioso. Anzi, si cerca di rimuoverlo. Fa scandalo richiamare l’Occidente al rispetto dei suoi stessi valori.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:53