Nuova, vecchia guerra   israelo-palestinese

Il 12 giugno scorso, in Cisgiordania, venivano rapiti tre ragazzi israeliani, ritrovati morti alla fine dello stesso mese. Quasi immediata la reazione di Tel Aviv, con raid aerei mirati su obiettivi militari della Jihad Islamica e del movimento islamico Hamas, raid che portarono, il 1 luglio, all'uccisione di un ragazzo palestinese di 18 anni. Già l'11 giugno però, da Gaza era iniziata una pioggia di razzi contro Israele.

Per quale motivo Hamas ha provocato una nuova guerra, ben sapendo di non poterla spuntare sul piano militare contro Israele? L'unica spiegazione razione possibile indica che per gli islamisti l'obiettivo di imporsi militarmente è secondario. Hamas non spera nemmeno lontanamente di sopraffare l'odiato nemico con le armi, ai palestinesi interessa l'esatto contrario: subire perdite, mostrare civili dilaniati al mondo, meglio se bambini, esibire macerie e devastazioni. Perdere militarmente per vincere politicamente, con ogni mezzo. Anche sparando razzi da ospedali, abitazioni civili, scuole; usando ambulanze, impedendo alla popolazione di mettersi al riparo.

Tutto ciò crea un riflesso condizionato nei media internazionali, compatta il mondo arabo, il fronte interno, e potrebbe provocare qualche risoluzione Onu contro Israele (anzi, mi sembrano in ritardo). Successivamente, quando gli israeliani si ritireranno da Gaza, partiranno gli aiuti internazionali che finiranno nelle tasche di Hamas e serviranno ad arricchire i leader del movimento e a finanziare la prossima intifada. È un ciclo economico di enorme portata, sulle spalle del loro stesso popolo.

Per vincere la guerra non bastano i carrarmati, serve l'opinione pubblica. Oggi vale più una straziante foto pallywoodiana di un bambino dilaniato su Facebook, che non un obiettivo centrato da un Kassam. Buona parte dell'Occidente - grasso, ignorante e distratto - parteggia con riflesso pavloviano per i deboli; figlio di una cultura decadente prende le difese in modo pressoché automatico per i perdenti.

Ma Hamas non sono dei perdenti, sono dei vili. Il loro leader, Khaled Mashal, vive in Qatar. E dal suo volontario esilio dorato decide di immolare scientemente il suo popolo, di sacrificarlo per rafforzarsi politicamente. Non si può giustificare chi rapisce, uccide, colpisce vittime civili, giunge a sacrificare i suoi stessi fratelli, manipola l'informazione per ergersi al ruolo di vittima sacrificale. Non sono vittime, sono codardi. Della peggior specie: terroristi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:52