Al Baghdadi,   prodotto di laboratorio

“Tra le gambe pendevan le minugia; la corata pareva e ‘l tristo sacco che merda fa di quel che si trangugia”. L’immagine descritta da Dante nel XXVIII canto dell’Inferno è l’anticipazione letteraria che potremmo dare oggi ad Al Baghdadi.

Un nome altisonante che, in realtà, è il riferimento a una costruzione teoretico-interpretativa del fenomeno solo per dare una spiegazione attraverso la complessità delle scienze sociologiche.

Nella visione d’insieme ci troviamo di fronte a un pericoloso “tagliagole”, già detenuto dagli Stati Uniti a Camp Bucca nel 2004, che circondato da una banda di assassini, senza credo, senza religione e senza “ragione teologica” si è proclamato califfo, principe dei credenti, imam, shaykh, nostro signore.

Inoltre, nell’esternazione della sua follia lontana millenni dal pensiero di Erasmo da Rotterdam, si è scagliato contro i musulmani “ipocriti” e contro i miscredenti, contro “re e i governanti” esaltando la Jihad e i mujahidin. Non per essere irriverente ma non credo che il califfo si sia ispirato a Vittorio Alfieri con il suo “Volli, e sempre volli, e fortissimamente volli”.

Dire queste cose, tutte di un fiato, oltre che essere controproducente per l’armonico contrarre della cassa toracica, risulta nocivo per l’intelligenza di chi è portatore di valori e tendenze d’unione piuttosto che di quelle di distinzione.

Ma ci siamo chiesti chi, in realtà, è questo terrorista che esalta la sua natura, quasi divina, giudica senza legge ed equità, decapita e crocifigge chiunque non la pensi secondo il suo unico e indissolubile fanatismo?

Da un rapporto venuto fuori dagli archivi della Us national security agency (Nsa), che quel simpaticone di Edward Snowden ha messo in circolazione, si asserisce che i servizi britannici, americani e il sempre presente Mossad hanno lavorato per creare lo Stato islamico d'Iraq e Siria (Isis). Un’organizzazione terroristica amalgamata attraverso la tecnica del “nido di vespe” capace di attrarre tutti gli estremisti del mondo a un unico luogo. Gioco semplice e poco intrigante? Dopo i terroristi ci mancava il capo: eccolo, Abu Bakr Al Baghdadi, prodotto dell’irrazionalità creato in laboratorio, secondo il “Gulf Daily News”, una fonte Bahrainian, per mani del Mossad al quale sono stati dati un addestramento militare intensivo, corsi di teologia e l’arte della parola.

Questo scrive Nsa, ciò è nato per creare la percezione che Israele è minacciato da un nemico nei pressi dei suoi confini. Tuttavia la notizia è stata smentita dal diario personale dell’ex primo ministro israeliano, Moshe Sharett, che asserisce che Israele non ha mai preso sul serio la minaccia arabo o musulmano alla sua sicurezza nazionale.

Nello stesso tempo, però, i diari di Sharett documentano un programma di lunga data dei leader israeliani per “smembrare il mondo arabo, sconfiggerne il movimento nazionale e creare regimi fantoccio sotto il potere regionale di Israele”.

Sharett, come scrive Ralph Schoenman ne “La storia nascosta del Sionismo” cita le riunioni di gabinetto, prese di posizione e la politica memorandum che ha preparato le guerre “per modificare radicalmente l’equilibrio di potere nella regione, trasformando Israele nella grande potenza nel Medio Oriente”. Sharett racconta come il Governo israeliano aveva accettato che le condizioni internazionali di questa guerra sarebbero dovute maturare entro tre anni. L’intento esplicito è stato “l’assorbimento del territorio di Gaza e del Sinai”. Quello che sta succedendo oggi ne è la prova. Sharett descrive “l’uso del terrore e l’aggressione a provocare” al fine di facilitare la conquista costringendo gli Stati arabi, secondo Schoenman, in scontri militari che la leadership sionista era certa di vincere, così da consentire a Israele di svolgere la destabilizzazione dei regimi arabi e l’occupazione prevista di ulteriore territorio.

Sarà vero? Sarà falso? Beh, lasciamo perdere non voglio scadere, trattando un argomento così serio e drammatico, in battute da “Striscia la notizia”. Il “nido di vespe” e Al Baghdadi rappresentano nella nostra contemporaneità, un tormento mai soppresso e mai eluso completamente come l’instabilità di tutto il Medio Oriente: la grande questione dell’omicidio collettivo, nell’ambito di un pensiero razionale identitario che ha inteso distruggere in senso assoluto il prossimo e la fede nella misericordia.

Roba da far impallidire Martin Heidegger, Emmanuel Levinas, Paul Ricoeur e perfino Jacques Derrida che sono giunti, nei momenti chiave della loro traiettoria speculativa, a trovare nella condivisione dell’angoscia, nella partecipazione all’altro, nella nuova esigenza dell'intersoggettività, aspetti umani e parziali della misericordia, declinata laicamente come desiderio di redenzione nostalgica che non trova mai un vero sbocco finale. Il resto alle vostre considerazioni, sempre che non finiremo con la testa mozzata sulle mura Aureliane o crocifissi lungo la via Appia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:47