La “dottrina” della proporzionalità

sabato 2 agosto 2014


Mentre continua l’incursione di terra a Gaza da parte dell’esercito israeliano, una maggiore attenzione sarà focalizzata sull’idea della “proporzionalità” sia nel numero di vittime cadute da entrambe le parti sia nella sofisticazione tecnologica delle armi che ogni parte mette in campo. Il vicepremier britannico Nick Clegg ha parlato delle operazioni israeliane contro Hamas utilizzando un linguaggio che rasenta un’accusa per crimini di guerra. “Ritengo deliberatamente sproporzionata la risposta di Israele. È diventata una forma sproporzionata di punizione collettiva”. Anche il presidente Obama, che è un convinto sostenitore dell’autodifesa di Israele, in questo caso, ha detto ai giornalisti di aver “incoraggiato” il premier Netanyahu a “minimizzare le vittime civili”.

Un giornalista israeliano ha definito “non corretto o antisportivo” il sistema di difesa missilistico Iron Dome. Egli si è chiesto che cosa avrebbe detto la Fifa “se la Germania, con la sua economia e industria superiori, avesse sostituito Manuel Neuer con un portiere bionico (…) in grado di calcolare da dove sarebbe arrivata ogni palla argentina, l’esatta posizione dove stare e la quantità di forza necessaria per bloccarla (…) Sul campo di battaglia moderno, (Israele) è una Germania bionica”.

Che comportamento antisportivo!

Anche fra gli amici di Israele – e qualche israeliano – la risposta comune è : “Sì, ma…”. “Sì”, è stato Hamas a cominciare.; “Sì”, Hamas colloca infrastrutture militari nei quartieri civili; “Sì”, Israele ha diritto all’autodifesa; “Sì”, gli israeliani avvertono i palestinesi. “Ma” oltre 240 palestinesi sono stati finora uccisi e solo un israeliano è morto a causa del lancio di razzi.

Non è questa la definizione di “sproporzionato”? No. Non lo è.

La [dottrina della] proporzionalità nel diritto internazionale non afferma che il numero delle vittime o dei civili feriti deve essere uguale né comporta che la potenza di fuoco del nemico sia uguale, per ciò che concerne la sofisticazione tecnologica delle armi utilizzate o la letalità, alla capacità offensiva militare della controparte. La proporzionalità valuta la necessità di un’azione militare rispetto alla sofferenza che l’azione potrebbe causare alla popolazione civile nemica nelle vicinanze. Passando in rassegna le opinioni di esperti – nessuno dei quali si occupa di Israele – aiuta a chiarire la questione. [Tutti i corsivi sotto sono stati aggiunti.]

Il professor Horst Fisher, direttore accademico dell’Institute for International Law of Peace and Armed Conflict presso la Ruhr-Universität Bochum in Germania, e professore aggiunto alla Columbia University, ha scritto in un articolo pubblicato sul sito web dell’organizzazione The Crimes of War Project:

Il principio di proporzionalità è parte integrante di quasi ogni sistema giuridico nazionale ed è alla base dell’ordinamento giuridico internazionale. La sua funzione nel diritto interno è mettere in relazione i mezzi con i fini. (…) Nella condotta della guerra, quando una parte conduce un attacco legittimo contro un obiettivo militare, il principio di proporzionalità entra in gioco ogni volta che c’è un danno collaterale, vale a dire, vittime civili o un danno a un obiettivo non-militare (…) gli attacchi sono proibiti se causano la morte accidentale di civili, se arrecano lesioni ai civili o danni a beni di carattere civile che risulterebbero eccessivi rispetto al vantaggio militare diretto e concreto previsto. Questo crea l’obbligo permanente per i comandanti militari di tener conto dei risultati dell’attacco rispetto al vantaggio previsto.

Esattamente come fa Israele quando interrompe le missioni dopo aver visto i civili usati come scudi umani sui tetti degli edifici.

Il Council on Foreign Relations osserva:

Secondo la dottrina, uno Stato è legalmente autorizzato a difendersi unilateralmente e a riparare un torto, a condizione che la reazione sia proporzionale al danno subito. La reazione deve essere altresì immediata e necessaria, deve astenersi dal prendere di mira i civili e limitarsi a richiedere la forza sufficiente per ristabilire lo status quo ante.

Ciò che costituisce lo status quo ante per Israele può essere discutibile – ma di certo un ritorno al periodo antecedente a quando il 75 per cento dei cittadini era terrorizzato dal lancio di razzi in modo casuale dovrebbe essere considerata una definizione accettabile.

Luis Moreno-Ocampo, procuratore capo della Corte penale internazionale, ha indagato sui presunti crimini di guerra commessi durante l’invasione dell’Iraq del 2003 e nel 2006 ha pubblicato una lettera aperta contenente i risultati dell’indagine. Il documento contiene una sezione dedicata alla proporzionalità:

Secondo il diritto internazionale umanitario e lo Statuto di Roma, la morte di civili durante un conflitto armato, per quanto grave e deplorevole, non costituisce di per sé un crimine di guerra. Il diritto internazionale umanitario e lo Statuto di Roma permettono ai belligeranti di effettuare attacchi proporzionati contro obiettivi militari (…) anche quando si sa che si verificheranno alcune uccisioni o ferimenti di civili.

Si configura un reato se c’è un attacco deliberatamente diretto contro i civili (principio di distinzione) o se un attacco è sferrato contro un obiettivo militare nella consapevolezza che i danni collaterali alla popolazione civile risulterebbero chiaramente eccessivi rispetto al vantaggio militare previsto (principio di proporzionalità).

E per finire, la dottoressa Françoise Hampton, University of Essex, nel Regno Unito, ha scritto quanto segue sul concetto di “necessità militare”:

La necessità militare è un concetto giuridico utilizzato nel diritto internazionale umanitario come parte della giustificazione giuridica degli attacchi contro obiettivi militari che possono avere conseguenze negative, perfino terribili, per la popolazione civile e gli obiettivi civili. Ciò significa che le forze armate nel pianificare le azioni militari sono autorizzate a tenere conto in qualsiasi momento delle esigenze pratiche di una situazione militare e degli imperativi di vincere.

Ciò che costituisce un obiettivo militare cambierà durante lo svolgimento di un conflitto. Quando alcuni obiettivi militari vengono distrutti, il nemico utilizzerà altre installazioni per lo stesso scopo, facendone in tal modo obiettivi militari e rendendo il loro attacco giustificabile in base alla necessità militare. C’è un effetto analogamente variabile sulla determinazione della proporzionalità. Quanto maggiore è il vantaggio militare previsto, tanto più ingente è la quantità dei danni collaterali – spesso vittime civili – che saranno “giustificati” e “necessari”.

Sono molte le vittime civili da piangere, ma ciò che è chiaro – in assenza dell’elemento di propaganda o di una nozione incerta di sportività – è che Israele ha il diritto e anzi l’obbligo di difendere la propria popolazione, ha il diritto di “vincere” la guerra di autodifesa che sta combattendo e tiene conto delle disposizioni del diritto internazionale relative alla “proporzionalità” e alla “necessità militare”. Questo, assieme alla disponibilità di Israele di accettare il cessate-il-fuoco mediato dall’Egitto, di accogliere la proposta dell’Onu di una tregua umanitaria e di non interrompere la fornitura di cibo, medicine ed elettricità agli abitanti di Gaza, dovrebbe contribuire a sciogliere i dubbi delle persone obiettive.

Traduzione a cura di Angelita La Spada

(*) Gatestone Institute

 

 


di Shoshana Bryen (*)