Ebola, questa volta   c’è da avere paura

Patrick Sawyer era un americano naturalizzato di quarantanni, residente con la moglie Decontee e tre bambine di 5,4 e un anno nella cittadina di Coon Rapids, poco lontano da Minneapolis. Aveva deciso di tornare a lavorare per il ministero delle Finanze del suo paese di origine, la Liberia, e domenica 20 luglio si era imbarcato alle 8.40 della mattina sul volo KP 21 della compagnia aerea panafricana Asky, diretto a Lagos via Lomè, dove sarebbe intervenuto ad una conferenza dell’ Unione monetaria ed economica dell’Africa occidentale.

L’aereo africano, in perfetto orario, è atterrato a Lomè alle 12.25, con a bordo, oltre a Patrick, 114 passeggeri e sei membri di equipaggio. Nelle quattro ore di volo da Monrovia a Lomè, Patrick ha probabilmente iniziato a sentirsi male, accusando febbre, fitte allo stomaco e attacchi improvvisi di diarrea; ha pensato ad un attacco di malaria, come credeva soffrisse la sorella Princess, alla quale aveva reso visita in ospedale a Monrovia nei giorni precedenti. Anche la donna è morta nei giorni successivi e per ebola non per malaria.

Patrick si è trattenuto nella sala transiti dell’aeroporto Lomè-Tokoin, dal quale ogni giorno partono voli pieni verso Bruxelles, Casablanca, Addis Abeba ed altre decine di destinazioni in Africa, fino alle 14.20 quando si è imbarcato sul volo KP 50 diretto a Lagos, sua destinazione finale. Nella capitale nigeriana è atterrato alle 16.20 locale; sul percorso che lo portava al controllo passaporti è svenuto. Soccorso dagli agenti della dogana nigeriana, che si sono accorti della gravità delle condizioni dell’uomo, che perdeva sangue dalla bocca, è stato ricoverato d’urgenza in isolamento presso l’ospedale di Obalende, un quartiere popolatissimo alla periferia di Lagos.

Il 22 Patrick muore in preda alle forti emorragie da tutto il corpo; l’ospedale viene evacuato e posto in quarantena per la decontaminazione. Decine di persone, tra medici e infermieri e agenti e personale dell’aeroporto, incluso l’Ambasciatore della Liberia in Nigeria al quale Patrick aveva stretto la mano prima di svenire, vengono isolate e sottoposti al test per l’ebola. Non si trovano però i passeggeri che hanno volato con gli stessi aerei di Patrick; la compagnia Asky, che pure è partecipata dall’Unione Africana Occidentale e dall’Unione monetaria ed economica africana, non trova le liste di bordo, anche se, nei giorni successivi, sospende i collegamenti aerei con Liberia e Sierra Leone, dove si sono registrati altri casi di Ebola. I passeggeri che hanno preso la mattina del 20 luglio i voli KP21 e KP50 possono essere ora dovunque, in Africa e altrove. Così come dovunque sono i passeggeri che sono transitati dall’aeroporto di Lomè e hanno utilizzato i servizi igienici dove era andato a rimettere il povero Patrick.

Le autorità nigeriane stanno lanciando appelli pubblici, anche negli altri paesi limitrofi, per rintracciare coloro che possono essere entrati in contatto con Sawyer. Gli esperti sanitari tendono comunque ad evitare l’allarmismo sostenendo che è improbabile che il quarantenne abbia potuto infettare gli altri compagni di viaggio. Eppure appare spontanea una domanda inquietante: come può un uomo, la cui sorella è recentemente morta di Ebola, riuscire a imbarcarsi su un aereo e lasciare il paese senza essere minimamente sottoposto a controllo sanitario? E ancora più drammatica: il virus dell’Ebola può essere diffuso nei viaggi aerei internazionali?

L’analista del ministero liberiano dell’Economia tornava dalla sua famiglia nel Minnesota ogni volta che poteva e ci sarebbe tornato il 16 agosto prossimo, per festeggiare il compleanno di sua figlia Mia, se non fosse morto a Lagos, in Nigeria. Il periodo di incubazione di Ebola può durare fino a 21 giorni, il che significa che Patrick avrebbe potuto ammalarsi dopo diverse settimane proprio a casa sua negli Stati Uniti, con il rischio di contagiare la sua famiglia e chissà quanti altri. La facilità di viaggiare in aereo, anche a distanze molto importanti, ha reso la diffusione di molte malattie contagiose quasi una routine. Focolai di morbillo, poliomielite e colera sono stati recentemente trasportati, per mezzo degli aerei, a paesi distanti migliaia di chilometri dal luogo di origine. Anche Ebola ha già viaggiato per il mondo in questo modo: nel corso di un focolaio in Costa d’Avorio nel 1990 il virus infettò una veterinaria svizzera che si ammalò, dopo alcune settimane, di ritorno nel suo paese. Fortunatamente il caso fu circoscritto e curato e la donna sopravvisse.

Le autorità dei Paesi africani occidentali hanno finalmente deciso di intensificare i controlli alle frontiere e negli aeroporti, dopo la morte di Sawyer. I viaggiatori internazionali in partenza dalle capitali della Sierra Leone e della Guinea vengono ora controllati con termometri. Secchi di cloro sono apparsi nell’aeroporto di Freetown, in Sierra Leone, per la disinfezione dei locali igienici e di grande passaggio. Il focolaio di Ebola, individuato lo scorso marzo in Guinea, si è rapidamente esteso in Liberia e Sierra Leone. I casi accertati sino ad ora sono oltre un migliaio e le vittime oltre 670.

Le epidemie di Ebola precedenti, dal 1976 quando il virus è stato scoperto, erano state limitate a zone remote, specie in Congo e Uganda, lontane dai centri urbani ed erano rimaste entro i confini di un singolo Paese; secondo gli esperti, invece, questa epidemia è senza precedenti, assolutamente fuori controllo e la situazione non fa che peggiorare, anche perché molti viaggiatori africani negano di avere sintomi o aver avuto contatti ravvicinati con infettati, per poter scappare dalle zone ad alto contagio. I Paesi principalmente colpiti sono poi tra i più poveri del mondo, con pochi medici e infermieri e ospedali scadenti.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che sta costituendo una task force di specialisti per supportare le strutture sanitarie nelle zone colpite, il rischio per i viaggiatori di contrarre Ebola è considerato comunque basso perché il contagio richiede il contatto diretto con i fluidi corporei o secrezioni quali urina, sangue, tracce di feci, vomito, sudore o saliva. Ebola non può essere diffuso come l’influenza attraverso il contatto casuale o la respirazione nella stessa aria. I pazienti sono contagiosi solo quando la malattia è progredita al punto che mostrano i sintomi tipici. E i più vulnerabili sono gli operatori sanitari e i parenti che vengono a stretto contatto con i malati.

L’altro giorno è morto, contagiato da ebola, Sheikh Umar Khan, il medico trentanovenne della Sierra Leone che dirigeva l’ospedale di Kenema, la più grande città della regione orientale del paese e una delle zone più colpite dal virus, e che aveva lanciato appelli internazionali per sensibilizzare il mondo sulla tragedia in corso; e sono gravissimi i due operatori umanitari americani, di una associazione di volontariato cristiana, che hanno contratto il virus in Liberia, dove si erano recati per offrire assistenza a quelle popolazioni.

Nel resto del mondo, intanto, sale il livello di attenzione, specialmente nei paesi con più stretti contatti con i paesi colpiti da Ebola e con comunità residenti africane numerose. In Gran Bretagna, Cameron ha attivato il Cobra, il comitato di coordinamento per le emergenze nazionali presieduto dal premier.

In Italia il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha affermato che il pericolo non c’è ma che il livello di allerta è già alto fin dal principio dell’epidemia. Negli aeroporti e nei luoghi di transito e anche presso i centri di accoglienza degli immigrati vengono effettuate visite mediche nei casi che vengono ritenuti necessari. La Commissione europea ha intanto destinato altri fondi di aiuto sanitario per i governi africani impegnati in prima linea contro Ebola. Negli Stati Uniti, su ordine del presidente Obama, il Center for diseases control (Cdc) di Atlanta ha alzato la sorveglianza e attivato controlli sanitari negli aeroporti e nei porti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:44