Questione palestinese,   ipocrisia occidentale

In queste ore la diplomazia internazionale sta negoziando una tregua umanitaria per la Striscia di Gaza che duri più di qualche ora. Non è cosa facile perché i miliziani di Hamas hanno conseguito un obiettivo importante e non intendono rinunziarvi con leggerezza. Essi sono riusciti nell’intento di capovolgere la realtà. Soprattutto hanno convinto una comunità internazionale, peraltro molto disponibile a concedergli credito, che loro sono le vittime e gli israeliani i carnefici.

Ora, va bene tutto. Va bene la pietà per le morti di civili, particolarmente se donne e bambini. Va bene il sincero bisogno di pace per una terra che la pace non l’ha mai davvero conosciuta, forse perché non l’ha mai sinceramente ricercata. Va bene la necessità di sedare gli animi in un’area già a forte rischio di deflagrazione, visto quello che accade nella confinante Siria e, ancor peggio, ciò che è accaduto in Iraq con la nascita sulle canne dei fucili di uno stato islamico integralista. Ma le balle, no! Quelle sono e restano inaccettabili di là da ogni sentimento compassionevole. Porre sullo stesso piano, come se le cose potessero stare insieme in un’unica equazione del male, la persistente azione terroristica di Hamas e il diritto d’Israele alla difesa è un’indecenza.

Indecente è che l’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, affermi che oltre ad Hamas anche Israele commetta gravi violazioni dei diritti dell’uomo e possibili crimini contro l’umanità. Indecente è che Barack Obama, massimo responsabile, insieme ai sodali europei, della degenerazione dei rapporti israelo-palestinesi, chieda a Israele una tregua senza condizioni e non pretenda il contestuale disarmo dei terroristi di Hamas. Altrettanto indecente è il discorso della nostra ministra degli Esteri, Federica Mogherini che, parlando alla Camera dei deputati lo scorso 29 luglio ha testualmente affermato: “L’invito che vorrei fare, a tutti noi in quest’aula e all’opinione pubblica italiana è di non farci intrappolare anche noi in quella bolla di odio, di non cedere alla logica della partigianeria, all’idea che ci si debba dividere tra “amici di Israele” e “amici della Palestina”, che si debba scegliere da che parte stare, nel conflitto tra due disperazioni e tra due esasperazioni”. Ma che razza di posizione è questa? Sotto le mentite spoglie di un insopportabile “buonismo” pacifista si cela una logica pericolosa, perché manipolatrice della verità. In questo momento Israele non sta combattendo i palestinesi, ma i terroristi di Hamas. Che è cosa radicalmente diversa. Il fatto che ci siano delle vittime civili a Gaza è la dolorosa conseguenza dell’uso che dei civili medesimi fanno gli assassini di Hamas, sfruttandoli come scudi umani.

Se poi la vogliamo dire tutta, il fatto che nella contabilità delle morti non vi siano troppi israeliani, come forse qualcuno anche in Italia avrebbe desiderato, è dovuto esclusivamente all’efficienza dei sistemi di difesa antimissilistici di cui lo Stato ebraico si è dotato da tempo e non al senso di un’umanità che non hanno dei miliziani di Hamas. Non si tratta qui di essere partigiani degli uni o degli altri. Piuttosto, bisogna dirsi con franchezza cosa si pretende in realtà da Israele. Vogliamo che scompaia? Che sia cancellata dalla carta geografica, come sanciscono tutti i documenti approvati dalle organizzazioni che combattono per la liberazione della Palestina? Se è così allora che lo si dica apertamente. La si finisca una buona volta con l’ipocrisia.

Sempre per dirla tutta, la causa di ciò che oggi avviene su quella linea di confine è principalmente dei governi occidentali che, in questi anni, hanno fatto finta di non vedere quando Hamas somministrava quotidianamente la sua razione di razzi sul territori d’Israele in cerca di obiettivi civili. Gli stessi governi, soprattutto europei, i quali hanno consentito che, nel pieno svolgimento dei negoziati di pace, il presidente Abu Mazen chiudesse un accordo di governo con un gruppo terroristico qual è Hamas per la composizione di un gabinetto di unità nazionale. Gli stessi governi che, attraverso il canale dell’Unione europea, hanno inondato di finanziamenti i gruppi dirigenti palestinesi senza minimamente preoccuparsi di che fine facessero i soldi. Come venissero utilizzati, se per costruire scuole e ospedali o, invece, per scavare gallerie in territorio israeliano e comprare armi di distruzione. L’esecrazione per il bombardamento della scuola dell’Unwra - l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi - a Gaza, colpita dall’artiglieria israeliana, è stata universale. Peccato che nessuno si sia indignato in egual modo quando in quella stessa scuola, si nascondevano armi, si consentiva l’adozione di programmi scolastici approvati dall’organizzazione Al-Kutla Al-Islamiya (Blocco Islamico), chiaramente orientati all’indottrinamento dei minori alla Jihād e alla lotta armata contro Israele.

Una foto risalente al maggio del 2013 ritrae alcuni insegnanti palestinesi dell’Unwra in posa con due funzionari delle Nazioni Unite che mostrano compiaciuti una carta geografica di una Palestina dalla quale Israele risulta cancellata. Perché quei due zelanti dipendenti Onu, pagati anche con denari italiani, non sono stati buttati fuori a calci dall’organizzazione? Perché nessuno statista si è levato per dire ai palestinesi tutti, a cominciare dal signor Abu Mazen, che nessuna pace sarà mai possibile fin quando si continuerà a negare il diritto all’esistenza di uno Stato sovrano ebraico? Tutto ha un limite. E la verità non può essere merce venduta al migliore offerente.

Vorremmo che la ministra Mogherini, la pacifista con la foto ricordo di lei insieme ad Arafat (nella foto) in bella mostra sulla consolle del salotto di casa, lo tenesse a mente quando apre bocca a nome degli italiani.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:45