Isis, globalizzazione estremizzata

Solo la spirale del terrore, come quella che si generò durante la Rivoluzione francese è l’incipit di quel circolo poco virtuoso che Zygmunt Bauman chiama minaccia terroristica globale che dissemina sulla propria strada quantità sempre maggiori di terrore e masse sempre più vaste di gente terrorizzata. Prendete i forcaioli, giacobini e paragonateli ai tagliagole dell’Isis: non troverete nessuna differenza tranne quella che il terrorismo internazionale di matrice fanatico-religiosa si è evoluto in conseguenza dei processi attivati dalla globalizzazione.

Non so se quel simpaticone di Al-Baghdadi conosca il termine “sovietizzazione” ma quello a cui stiamo assistendo non è altro che la conseguenza della globalizzazione e le sue implicazioni le quali provocano e innescano la recrudescenza dell’integralismo religioso, di quello islamico in particolare, che sfocia in reazioni anti-moderne e anti-occidentali. La globalizzazione ha favorito anche la globalizzazione del terrorismo poiché ha fornito al nuovo terrorismo gli strumenti che gli hanno consentito possibilità di azione e distruzione pressoché illimitate. E senza ombra di dubbio il terrorismo della globalizzazione, ossia gli effetti prodotti da una irrispettosa gestione delle sue potenzialità, ha gettato le basi per la diffusione del risentimento tra coloro che subiscono i contraccolpi del mercato mondiale e della dissennata e acefala politica estera dei Paesi dell’Occidente.

Un risentimento che mascherato dalla necessità di recupero e di difesa delle tradizioni sfocia, come detto, in reazioni anti-moderne e anti-occidentali. Quest’ultimo effetto viene estremizzato dai tentativi omogeneizzanti della cultura globale o dalla percezione di una progressiva convergenza culturale, che implicherebbe la scomparsa dei valori su cui quelle società si fondono.

È impensabile e ridicolo che qualcuno sfrutti “logiche di dialogo primario” con i tagliagole come un “pio” esercizio per chi ha fatto della “ragione” solo carta da bagno. Le ultime sparate di qualche politicante non sono altro che la sofferenza di questi soggetti, ammorbatori dei pozzi della politica, incarnatori della “sindrome di Waterloo”, ossia della sconfitta della ragione.

Ora e da sempre, sostengo, anche se i latini dicevano vim vi repellere licet, che non serve la forza per battere la violenza e neanche la posizione ambigua dell’Occidente ma una strategia sul piano internazionale capace di non arroccarsi nell’opulenza limitandosi a una visione paternalistica. In gioco c’è la libertà di tutti.

La strategia del terrore messa in atto dai tagliagole dell’Isis è l’esaltazione dell’eternizzazione di una guerra senza pietà e senza regole e una mistificazione della realtà capace solo di creare capri espiatori per un sacrificio senza fine.

Sbagliano anche coloro che danno il massimo risalto ai nuovi campioni del terrorismo, personaggi tutti inclusi e nessuno escluso, che oscillano tra finzione e realtà e che si pongono al crocevia delle diverse tradizioni del fondamentalismo islamico (Ibn Tahimiya, la Fratellanza Musulmana, il Wahabismo, la corrente Salafista Jihadista, i Talebani) che da due secoli combattono, attraverso un’interpretazione integralista della Sacra scrittura, una guerra volta a ristabilire la legge di Allah.

I tagliagole globalizzati sono da considerare come un’organizzazione multinazionale che si nutre e si salda con l’integralismo islamico, generando un fenomeno del tutto nuovo che ha scatenato una guerra contro il potere empio e amorale dell’Occidente proponendo come alternativa ai processi massificanti della società e della cultura occidentale una contro-società fondata sul religioso, appunto quella “sovietizzazione della religione” che questi ignorano o meglio dire non conoscono. Il loro intento ha come obiettivo finale il suscitare nelle persone del campo avversario delle emozioni negative come la paura, l’angoscia, l’inibizione delle attività e la riduzione dei comportamenti sociali. È un modo per condizionare, controllare, inibire il comportamento altrui attraverso la suggestione emotiva della paura. Da sempre la violenza e la paura, sia espresse con attentati che minacciate dalla propaganda, sono usate come tecniche di pressione sulla popolazione avversaria.

Per coinvolgere il maggior numero di persone possibili il terrorismo ha bisogno e usa i mezzi di comunicazione di massa che fungono quindi da inconsapevole ma necessaria cassa di risonanza. Non potrebbe esistere il terrorismo senza giornali e televisione. Ed è per questo che il fenomeno è esploso in questo secolo ed in questi anni.

Troppo spesso le immagini di morte e di terrore, sia in video che sulla stampa, non inducono al ragionamento, colpiscono direttamente l’emotività del singolo innestando un condizionamento psicologico acritico che scavalca le proprie capacità di ragionamento: quello che si riceve è solo una suggestione emotiva. Con il ragionamento si toglierebbe efficacia a ogni forma di induzione della paura: ragionare scaccia le paure. Cosa fare? Evitare i giochi al massacro, le fughe in avanti dei professionisti del pacifismo, calcoli e protagonismi senza miserie nazionalistiche. Bisogna attuare un meccanismo di prevenzione dell’attualità del “pericolo” senza attendere il danno.

Serve un dialogo più incisivo con il mondo arabo moderato, con Paesi come il Marocco o la Giordania, che dopo il fallimento delle “primavere arabe” ha capito che bisogna uscire dagli schemi e dalle posizioni di parte per contribuire all’evoluzione positiva, quando difficile di un’unità d’intenti comune tra Oriente e Occidente. Questa è l’unica via percorribile per riportare nell’alveo della pacifica convivenza tra i popoli tutta la situazione geopolitica, evitando tanti altri spargimenti di sangue e azioni successive al danno, che hanno solo il significato di vendetta.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:30