Isis, ora l’Occidente   è finito sotto attacco

L’unica verità di questa anomala estate viene dalle parole del Papa: “Siamo entrati nella terza guerra mondiale che si combatte a pezzetti”. Peccato che i nostri mediocri politici facciano fatica a comprenderlo.

La civiltà occidentale è sotto attacco. Ha dovuto prenderne atto perfino il presidente Obama. Nel silenzio e nell’indifferenza dell’Occidente, feroci tagliagole hanno avuto il tempo e i denari per iniziare una campagna di conquista che dal suolo siriano è sconfinata in Iraq. La banda criminale è guidata da un fanatico religioso di nome Abu Bakr Al-Baghdadi, cresciuto alla scuola del terrorismo di Al Qaeda. In realtà, Al-Baghdadi ha dimostrato di essere abile nello sfruttare a proprio vantaggio le debolezze e le rigidità degli schematismi con i quali gli occidentali interpretano il complesso scenario geopolitico mediorientale.

Tuttavia, collocare questo nuovo protagonista del terrore nella scia dell’ideologia qaedista sarebbe un errore. Molte cose differenziano l’azione strategica di Al-Baghdadi sia dall’ideologia, sia dai comportamenti operativi dell’organizzazione matrice.

Differentemente da Al Qaeda, nella visione dell’Isis si staglia con assoluta chiarezza la volontà di combattere l’Occidente cominciando col mettere in discussione i confini territoriali degli Stati mediorientali, così come disegnati dalle potenze coloniali del vecchio continente, all’indomani della fine del primo conflitto mondiale e del declino definitivo dell’Impero ottomano.

In sostanza, Al-Baghdadi intende azzerare gli attuali Governi dell’area perché li ritiene in qualche misura figli di quella subalternità all’Occidente, a cui l’Islam sarebbe stato piegato. La promessa che egli ha fatto ai suoi seguaci è di creare un califfato unico che si estenda dalla Libia fino all’Iraq.

L’Isis – stato islamico dell’Iraq e del levante – ne costituisce la prima pietra. Al-Baghdadi si rivolge, da una prospettiva fondamentalista, alle speranze di riscatto delle sole masse sunnite ritenendo la variante sciita dell’islamismo una deviazione inaccettabile e, se possibile, ancora più perniciosa dello spirito liberale, connaturato al costituzionalismo occidentale.

Dal punto di vista della strategia Al- Baghdadi, a differenza di Al Qaeda, piuttosto che agli attentati si mostra maggiormente interessato alla conquista territoriale delle aree nelle quali l’islamismo è storicamente radicato. Lo sterminio sistematico delle popolazioni sottomesse è considerato dall’Isis un indispensabile strumento di stabilizzazione e di consolidamento dell’egemonia, ottenuta attraverso le vittorie militari. Al-Baghdadi invoca uno scontro in campo aperto con i nemici irriducibili dell’Occidente, impersonati nella sua retorica sanguinaria, dal Governo e dal popolo degli Stati Uniti d’America. Lo si legge chiaramente nella dichiarazione di guerra diffusa ad arte dai tagliagole prima del barbaro assassinio di James Foley.

Naturalmente, se l’Occidente tutto si scuotesse dallo stato di torpore in cui è precipitato da qualche anno, non dovrebbe temere le minacce di Al- Baghdadi. La sua eliminazione dalla scena e la neutralizzazione del suo gruppo sarebbero conseguibili mediante una normale operazione di polizia internazionale, solo più incisiva. Il punto è che bisogna far presto a intervenire giacché il rischio reale che questa situazione potrebbe determinare si colloca interamente nella saldatura dei movimenti jihadisti attualmente in campo sia in Africa, sia in Medioriente.

Finora tutti i gruppi del terrorismo islamico, presenti negli scenari locali, sono stati privi di un coordinamento tattico-strategico della lotta armata e di un leader che li rappresentasse e li motivasse grazie a una visione progettuale di lungo temine, coerente con un’interpretazione “ideologica” dell’insegnamento coranico. Ora entrambe queste cose sembrano esserci. Al-Baghdadi ha la stoffa del capo e mostra di possedere un progetto. Pensare a lui come a un terrorista qualsiasi potrebbe rivelarsi, alla lunga, un errore fatale. È un nemico di primo rango della nostra civiltà e come tale va trattato.

È bene dunque che la comunità degli Stati occidentali la smetta una buona volta di giocare a chi “ce l’ha più lungo”, faccia fronte comune e vada laggiù a estirpare quella pericolosa cancrena. Con tutta la forza, la durezza e la violenza necessarie. Siamo in guerra e in guerra i nemici vanno annientati, con le bombe e con i carri armati. Certamente non con il “giustificazionismo” dei soliti noti di casa nostra, cresciuti a pane e sociologismo sessantottino.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:52