Regno meno Unito   se vinceranno i sì

Giovedì 18 settembre oltre quattro milioni di scozzesi, per la prima volta anche quelli di 16 e 17 anni di età, si recheranno alle urne per votare un si o un no sulla scheda che riporterà il quesito: “volete l’indipendenza della Scozia ?” Gli elettori saranno chiamati a decidere se restare uniti alla Gran Bretagna, com’è stato negli ultimi 307 anni, o se tornare ad essere indipendenti, come ai tempi di William Wallace, “Braveheart”. Al momento i sondaggi danno in forte crescita il movimento dei si all’indipendenza, guidato dal battagliero Alex Salmond, leader del Partito Nazionale Scozzese (PNP) e primo ministro della Scozia dal 2007 ma i sostenitori dell’Unione, coordinati dall’ex ministro laburista delle finanze Alistair Darling, non si danno ancora per vinti e promettono scintille negli ultimi giorni di campagna elettorale.

La Regina e la famiglia reale hanno evitato prese di posizioni ufficiali mentre il governo guidato da David Cameron insieme ai leader e ai deputati dei tre partiti che siedono a Westminster hanno invece espresso la netta opposizione alla secessione e hanno programmato comizi e manifestazioni a Edimburgo e nelle altre principali città della Scozia in sostegno dell’Unione. Ma cosa succederebbe se vincessero i si all’indipendenza? La Scozia diventerebbe a tutti gli effetti uno stato sovrano e indipendente, con proprie frontiere, un proprio passaporto, proprie forze armate e proprie rappresentanze diplomatiche e consolari all’estero, anche a Londra.

I cittadini britannici dovrebbero quindi mostrare il proprio passaporto per entrare nella nuova Scozia; è assai probabile però che, al pari dell’Irlanda, anche il nuovo governo di Edimburgo firmerebbe con Londra un accordo per mantenere la Scozia all’interno della zona turistica comune. Farebbero però storcere la bocca a parecchie persone a Londra le aperture, considerate eccessive, di Alex Salmond in materia di politiche migratorie; il leader scozzese ha più volte ripetuto che una Scozia indipendente sarebbe molto più accogliente dell’attuale governo britannico nei confronti di quanti vi volessero immigrare. Salmond potrebbe far aderire il suo Paese allo spazio Schengen (di cui il Regno Unito non fa parte) creando però non pochi problemi alla più intransigente Inghilterra che si troverebbe costretta ad impiegare molti uomini a controllare i varchi di frontiera con la Scozia. Il nuovo Stato, perché è di questo che si tratterebbe, dovrebbe poi richiedere l’ammissione all’Unione Europea.

I trattati europei in realtà nulla prevedono circa l’ipotesi di una divisione di uno Stato membro e la creazione di uno nuovo. I giuristi di Bruxelles dovrebbero quindi studiare una formula di compromesso che possa trovare il favore di tutti i 28 Stati membri e del Parlamento europeo. Paesi come la Spagna e il Belgio, dove forti sono le tendenze separatiste di alcune regioni, vedrebbero con estrema preoccupazione il precedente scozzese; e anche in Italia, movimenti come la Lega Nord si sentirebbero incoraggiati nelle loro aspirazioni secessioniste. L’Unione Europea si troverebbe poi a dover dipanare la matassa del bilancio comunitario, sia per quanto riguarda le entrate che le uscite, scorporando la voce Gran Bretagna dalla nuova Scozia.

E che dire dell’assegnazione di poltrone a dirigenti scozzesi che andrebbero di forza sottratte al numero attuale in quota britannica? In ogni caso la procedura di adesione, tra la domanda, la verifica del rispetto dei criteri di adesione, le trattative e infine il trattato di adesione, prenderebbe certamente del tempo, forse più dei diciotto mesi dei quali parla, non senza notevole ottimismo, il leader scozzese Salmond. La nuova Scozia dovrebbe poi optare se restare nell’area della Sterlina britannica o adottare l’Euro. Fin qui i leader scozzesi indipendentisti hanno dichiarato di voler conservare la Sterlina; contrari però si sono espressi i politici britannici e da ultimo anche il Governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney, che ha sostenuto che un’unione monetaria tra una Scozia indipendente e il resto del Regno Unito sarebbe incompatibile con la sovranità.

La Scozia dovrebbe avere regole comuni con il Regno Unito in materia di politiche fiscali, monetarie e di bilancio che difficilmente il governo di Londra sarebbe disposto a condividere; di fatto, se la Scozia volesse mantenere la sterlina inglese come moneta legale dovrebbe quindi rinunciare a parte della propria sovranità e non sembra essere questo il desiderio degli indipendentisti. Gli Scozzesi potrebbero comunque usare la sterlina inglese non in un’unione monetaria formale, come succede con il dollaro statunitense in molti paesi del mondo. Qualche nostalgico fa infine notare che tre banche scozzesi, Bank of Scotland, Clydesdale Bank e RBS sono ancora autorizzate, in virtù di antiche guarentigie, ad emettere le proprie note. La Scozia indipendente darebbe vita a proprie forze armate.

Nel paese, che ha un’antica tradizione militare autoctona, hanno la propria base reparti di Fanteria e Cavalleria, celebre il terzo Battaglione “Black Watch”, l’ultimo reparto britannico a lasciare Hong Kong nel 1997 e alcuni stormi della Royal Air Force. Per questi reparti, ora componenti delle forze armate britanniche, si tratterebbe di separare le forze con il Regno Unito, così com’è avvenuto nei nuovi Stati che si sono formati con la disgregazione dell’Unione Sovietica. La Scozia potrebbe al riguardo firmare anche un accordo di cooperazione in materia di difesa con il Regno Unito, che potrebbe garantire al nuovo stato un ombrello di difesa.

Quello che però preoccupa è la gestione della base di sottomarini nucleari di Faslane, a quaranta chilometri da Glasgow, dove sono ormeggiati i battelli della classe Trident e il deposito di testate nucleari poco distante di Coulport. Faslane è una delle tre grandi basi della marina britannica, insieme a Devonport e Portsmouth in Inghilterra. Il programma Trident è una delle componenti strategiche dei piani difensivi della Nato - nella quale resterebbe la Scozia a detta di Salmond - e del problema avrebbero recentemente discusso a porte chiuse gli alti comandi britannici con i colleghi del Pentagono. Quella di Faslane è l’unica base dei sottomarini Trident nel Regno Unito.

Il primo ministro scozzese Salmond ha dichiarato che, in caso di vittoria dei si al referendum, chiederà l’immediata rimozione delle armi nucleari dalla Scozia e la chiusura della base di Faslane entro il 2020; il ministero della difesa britannico. per bocca dell’ammiraglio George Zambellas, capo di Stato Maggiore della Royal Navy, ha risposto che prima del 2028 questo è irrealizzabile. Certamente il dossier Trident sarà uno dei più caldi in caso di vittoria degli indipendentisti. L’indipendenza della Scozia potrebbe anche riaccendere il dibattito sui membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Com’è noto il Regno Unito, insieme alle altre quattro nazioni vincitrici della Seconda Guerra Mondiale (Stati Uniti, Francia, Russia e Cina) è membro permanente con diritto di veto della più alta assise onusiana.

Cosa succederebbe con la nuova Scozia? Al Foreign Office non hanno dubbi; come la Russia, con la disgregazione dell’Unione Sovietica ha mantenuto il suo seggio, così farebbe la Gran Bretagna senza la Scozia. È probabile però che le ambizioni al seggio permanente delle nuove potenze emergenti come l’India e il Brasile e le pressioni di alcuni paesi europei verso un seggio comune dell’Unione Europea, in luogo di quelli della Francia e della Gran Bretagna, possano tornare a farsi attuali con l’indipendenza della Scozia. Certamente la nuova Scozia punterebbe i piedi per conservare nelle proprie casse i ricavi dell’estrazione petrolifera nel mare del nord. Secondo il primo ministro scozzese Salmond, esperto del settore, le entrate dalla vendita dei barili di greggio costituiranno la principale fonte per le casse del nuovo stato; nelle acque territoriali scozzesi sono stimate riserve petrolifere in circa 24 miliardi di barili e consistenti sarebbero anche quelle di gas naturale non ancora esplorate.

Il sofferente bilancio britannico potrebbe però risentire sensibilmente per la mancanza degli introiti petroliferi scozzesi. Il risultato del referendum del 18 settembre non dovrebbe, infine, incidere sulla corona dei Windsor. La Regina Elisabetta resterà sovrana anche dell’indipendente Scozia, mèta molto amata dalla Regina e dalla famiglia reale per i soggiorni estivi. I reali godono di grande popolarità a Edimburgo e nelle altre città scozzesi e al momento nessuna rivendicazione repubblicana è apparsa sulla stampa o nei comizi dei leader indipendentisti. In conclusione la volontà popolare è sovrana e bisognerà accettare il risultato, quale che sia l’esito; ma certo se vinceranno i si, la mattina del 19 settembre gli inglesi si sveglieranno con qualche mal di testa in più.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:45