Fragili “primavere”   e “cupi” inverni

Il Pentagono fa sapere che piani per un eventuale intervento militare a terra per combattere l’esercito islamico, sono stati già predisposti, si attende solo il via libera dalla Casa Bianca. È evidente che è così. Sarebbe imbarazzante che nella war room del Paese nonostante tutto più potente del mondo i piani non fossero predisposti. Che siano poi piani che, una volta lasciata la teoria e passati al pratico, abbiano una loro utilità e validità, questo evidentemente è altro discorso.

Da tempo gli Stati Uniti, che continuano a essere per tanti versi un faro di democrazia, ci hanno abituato a sciocchezze, arroganze, crimini verso loro stessi, e tutti noi. Barack Obama, che aveva voluto imprimere alla sua presidenza una rotta a parole esattamente opposta a quella impressa da George W. Bush, ora si trova, nei fatti, a ricalcarne le orme; sarà materia che potrà e dovrà essere dibattuta da storici e analisti. Qui limitiamoci a osservare che Obama è assai più di un lame duck: Indeciso, insicuro, presuntuoso nel non voler chiedere consiglio e accettare la critica, la sua presidenza probabilmente verrà ricordata solo perché è stato il primo presidente di colore ad aver messo lo spazzolino da denti nel bagno della Casa Bianca. Per il resto, è una lunga teoria di fallimenti e di frustranti frustrazioni.

Il quadro esistente, frutto di molto “realismo”, al momento è questo: in Tunisia, dal 17 dicembre 2000, quando il fruttivendolo Mohamed Bouazizi si dà fuoco davanti alle autorità i Sidi Bouzid per protestare contro la corruzione e gli abusi delle autorità, miccia della rivolta popolare che costringe all’esilio il dittatore Ben Alì, al governo c’è il partito islamico moderato Ennahda. È forse, per ora, il paese più tranquillo dell’area. Tranquillo, non democratico, che la democrazia, evidentemente è altra cosa.

Egitto: una rivolta popolare che ha il suo fulcro nella oggi famosa piazza Tahrir mette la parola fine al regime di Mubarak. Il “vuoto” è colmato dalla Fratellanza islamica; il presidente Morsi, che della Fratellanza è figlio legittimo, viene deposto nell’estate del 2013: in pochi mesi ne ha combinate tante e tali che i militari, sostenuti dagli Stati Uniti, alla fine sono intervenuti. Il generale Sisi, capo della giunta militare, viene eletto presidente. La situazione al momento appare “normalizzata”, ma è una calma fragile e che comunque si fonda sul pugno di ferro. Anche qui, non si può certo parlare di democrazia.

Siria: nel marzo 2011 inizia la protesta contro il presidente-dittatore Assad. Mesi e mesi di furibonde battaglie senza quartiere tra le truppe fedeli al dittatore e gli insorti. I movimenti islamici estremisti prendono sempre più il controllo della situazione, profittando dell’inerzia occidentale che non sanno che pesci pigliare, dopo un iniziale appoggio agli insorti. Prima il fronte al Nusra, poi l’Isis sono i principali oppositori di Assad, fino alla nascita di un califfato che si estende fino al nord ovest iracheno. La Siria di oggi è una padella che nessuno osa rovesciare nel timore e nella consapevolezza di finire in una brace infinitamente peggiore.

Algeria: già teatro di furibondi massacri, al momento pare essere fuori da questi “giochi di guerra”. Il presidente Bouteflika, discretamente ma risolutamente reprime ogni accenno di protesta e dissenso, di origine e ispirazione salafita o di altri.

Libia: la rivolta contro il dittatore Gheddafi iniziata nel febbraio del 2011 e conclusasi con la sua uccisione, grazie anche all’intervento della Nato e al pesante coinvolgimento della Francia, vede ora il paese nel caos, con milizie armate e sanguinarie che si contengono il potere fra Bengasi e Tripoli. Nessuno ha la minima idea di come evolveranno le cose.

Bahrein: in questa piccola monarchia la rivolta è germinata nel 2011 e subito la si è brutalmente repressa da parte delle truppe fedeli alla casa reale, sostenuta dalla confinante Arabia Saudita.

Quello che accade in Iraq lo sanno un po’ tutti, preda com’è di continui attentati, violenze e devastazioni; con minoranze religiose e politiche perseguitate e una guerra civile di cui non si riesce a immaginare la fine. Va poi aggiunto che si tratta di paesi ricchi di materie energetiche che fanno gola e dietro questa infinita catena di orrori, si intravede chiaramente un ruolo giocato con grande spregiudicatezza e cinismo dall’Iran e dall’Arabia Saudita, e dalla Cina (che gioca a tutto campo, in Medio Oriente e nell’Africa sub-sahariana),e la Russia, che in Siria e dintorni è di casa fin da quando era Urss. Chi gioca un ruolo marginalissimo, irrilevante, è l’Unione Europea; chi vorrebbe ritirarsi in un isolazionismo impossibile sono gli Stati Uniti. All’attuale inquilino del 1600 di Pennsylvania Avenue, va addebitata la responsabilità una politica miope, senza prospettive e visione.

Quanto sta accadendo in Medio Oriente, e in particolare se dall’iniziale “primavera” (salutata da tanti con un entusiasmo eccessivo) si sta precipitando in un cupo inverno da cui non si sa come uscire, si dovrà un giorno dire grazie a un Obama inconcludente e sostanzialmente impotente. Tutte le soluzioni ragionevoli sono di medio-lungo respiro; l’oggi è costituito da urgenze e contingenze che richiedono fantasia, conoscenza dei fenomeni, determinazione e consapevolezza, che non si possono improvvisare e non possono essere influenzati da un risultato di sondaggio o da un indice di gradimento; bisogna fare quello che si dice, e a volte non bisogna dire quello che si fa, al contrario di Obama che dice tanto, ma non combina nulla. Inoltre anche gli iperrealisti fautori della politica del chiodo scaccia chiodo devono ammettere che invariabilmente appena si crea un “vuoto”, viene occupato da un altro “pieno” peggiore.

Molti avranno senz’altro visto “Munich”, il film che Steven Spielberg ha ricavato da un fatto storico, l’assassinio brutale da parte di un commando di terroristi palestinesi di undici atleti israeliani alle olimpiadi di Monaco del 1972. L’allora primo ministro israeliano Golda Meir ordina una “operazione sporca” in grande stile: l’eliminazione fisica, non importa con che tempi e con quale mezzo, di killer e mandanti. Cosa che in buona misura riesce, anche se ci vanno di mezzo degli innocenti. Solo che i killer e i mandanti sono poi sostituiti da altri killer e da altri mandanti peggiori; così a un certo punto il capo del commando israeliano è lacerato da un dubbio: quello di essere stato usato da una fazione dei palestinesi per eliminare dei rivali. Con le debite proporzioni: facendo cadere un giorno il “birillo” Saddam, cercando di far cadere un altro giorno il birillo Assad, nel modo in cui li si è fatti cadere o li si vorrebbe far cadere, invece di favorire pace, libertà, democrazia, non si prepara e spiana la strada a perfino peggiori di Saddam e Assad?

È qui, il nodo; e l’unica proposta seria è quella utopica, visionaria, di un Marco Pannella, che vuole Turchia, Israele, ma anche Giordania e magari Marocco nell’Unione Europea, e poi costruire da questo “ponte” gli stati uniti del Mediterraneo, percorrendo quella strada accidentata che percorrono il Dalai Lama con la Cina di Pechino, e gli uiguri di Rebya Kader…

Perché l’alternativa a quell’utopia e a quella visione è il “realismo” delle armi, della violenza, dei miliardi di spesa che ingrassano il complesso militare industriale, della morte: da dare, e da avere.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:45