Hong Kong e il silenzio degli “Occidentali”

Sta accadendo qualcosa di molto serio a Hong Kong di cui dovremmo occuparci. C’è un popolo in piazza che sta subendo la repressione del regime di Pechino. Sono giovani studenti e cittadini comuni che reclamano diritti fondamentali di cittadinanza. Chiedono libere elezioni. Ci sarebbe materia per fare scoppiare un casino a livello planetario. Tuttavia, nel silenzio assordante delle cancellerie occidentali anche i media non si sono spesi più del necessario per accendere i riflettori su questa crisi. Lo ha fatto, nei giorni scorsi, il nostro giornale con un articolo molto puntuale di Stefano Magni al quale volentieri rimandiamo per saperne di più.

Ma a noi un rospo in gola c’è salito e vogliamo sputarlo prima che ci strozzi. I ragazzi di Hong Kong chiedono che il governo centrale mantenga fede agli impegni presi nel 1997 con il Regno Unito dalla Repubblica Popolare Cinese, al momento della riconsegna dell’ ex colonia britannica. Nei patti era sancita la promessa che la Città-Stato avrebbe goduto di un “alto grado di autonomia”. In concreto, i cittadini di Hong Kong avrebbero potuto, entro dieci anni dalla fine del protettorato britannico, scegliere a suffragio universale i propri governanti locali. One country, two sistems. Questo era il principio che avrebbe dovuto ispirare l’integrazione dell’occidentalissima Hong Kong nell’architettura istituzionale del paese comunista. Le autorità cinesi, invece, intendono rimangiarsi la parola data.

Sebbene non abbiano rinnegato il principio del suffragio universale, hanno ben pensato di applicare, alle prossime elezioni del 2017, il cosiddetto metodo “Bassolino” (dal nome del “mitico” governatore della Campania). In cosa consisterebbe questo originale sistema di esercizio della democrazia? Il popolo di Hong Kong sarebbe obbligato a scegliere “liberamente” il Chief executive di Hong Kong tra una rosa di due o tre candidati designati da Pechino. Agli xiangangren (gli abitanti di Hong Kong) la cosa non piace per niente. Da qui, gli scontri di piazza, le proteste e la tensione che sale. Le cancellerie occidentali osservano l’evolversi della crisi con una certa timidezza. Solo Londra, per ovvi motivi, si è detta preoccupata. Per tutta risposta i dirigenti cinesi hanno invitato la comunità internazionale a impicciarsi dei propri affari e di non provare a mettere becco nella vicenda.

Risposta da manuale. Ora quello che ci fa schizzare alle stelle la pressione sanguigna è proprio il comportamento degli occidentali, in primis dell’amministrazione di Washington. Ma come? C’è uno Stato che viola palesemente accordi internazionali sottoscritti, attentando ai diritti fondamentali del suo stesso popolo, e voi? Tutti zitti. Dove sono le convocazioni d’urgenza del G7? Dov’è la lista delle sanzioni da irrogare al colosso cinese? Dov’è il prato verde della casa Bianca da cui lanciare l’ammonimento ai governanti di Pechino a rispettare i patti? Altrimenti… Altrimenti un piffero! Dov’è la cancelliera Merkel, con la sua corte europea dei miracoli, che da arcigna maestra bacchetta gli indisciplinati cinesi, zero in democrazia? Non è che forse l’improvvisa afasia sia dovuta al fatto che la Cina sia il maggiore creditore estero degli Stati uniti d’America? E che la Germania faccia affari d’oro all’ombra della Grande Muraglia? Eppure, cari leader dell’Occidente, ci avete stritolato i maroni con la storia dell’aggressione dell’orso russo alla povera Ucraina. Ve le ricordate? La libertà oltraggiata, la sovranità stuprata, la pace martirizzata e menate varie.

Ora, invece, silenzio di tomba. Il guaio è che, noi italiani, abbiamo un governo di inetti. Se così non fosse, altro che tavoli da far saltare in aria. Nell’indifferenza assoluta di una classe dirigente pusillanime, gli italiani stanno cominciando a pagare il conto, salato, della follia delle sanzioni alla federazione russa. Ci toccano aumenti del costo del gas e dell’energia elettrica che andranno a incidere pesantemente sui già magri bilanci delle famiglie e delle imprese. E questo perché? Non c’è l’ha ordinato il dottore di prendercela con Mosca.

Peggio, ce l’hanno ordinato Washington e Berlino. Comunque, da questo ennesimo sconcio qualcosa c’è da imparare. Le battaglie umanitarie per i diritti dell’uomo, in politica estera, sono favole, specchietti per allodole. Quello che conta è il rapporto di forza tra interessi concorrenti. E chissà perché quando si tratta di misurarsi, l’Italia è sempre la più debole. Si sa, i perdenti sono quelli che pagano. E, parafrasando Totò, noi… paghiamo! Rospo sputato.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:49