Attentato, storia   di due immigrazioni

L’attentato al parlamento del Canada, mercoledì, è la storia di due opposti figli dell’immigrazione. Entrambi sono nati e cresciuti nel Paese che ha ospitato i loro avi e i loro padri, ma hanno preso strade opposte. L’una verso l’integrazione, fino al sacrificio verso la propria nuova nazione. L’altra verso la disintegrazione omicida-suicida, contro un Paese visto come un nemico da distruggere dall’interno, nel nome delle proprie origini culturali e religiose.

La prima storia è quella di Nathan Cirillo, canadese di origine italiana, descritto da tutti come un ragazzo simpatico, che faceva divertire i compagni di classe e voleva servire il Paese sotto le armi, offrendosi volontario nell’esercito. Mercoledì scorso aveva 25 anni. Sui social network si mostrava come un amante degli animali e del fitness. Nel suo ultimo giorno di vita, era di guardia al monumento ai caduti di Ottawa, di fronte al parlamento: un tributo patriottico ai suoi compagni d’arme morti per il Canada nelle guerre combattute in Europa e in Asia, nella Prima e Seconda Guerra Mondiale e nella Guerra di Corea. Fino a questo tragico mercoledì di paura, non sapeva che il suo nome si sarebbe aggiunto alla lista dei caduti. È infatti morto sotto i colpi del fucile d’assalto del protagonista della seconda storia: Michael Zehaf-Bibeau.

Nato anch’egli in Canada, nel Quebec francofono, era figlio di un immigrato libico e di una donna franco-canadese. Genitori separati e ambiente laico, Zehaf-Bibeau ha imboccato la via dell’identità islamica. Era noto alla polizia per altri reati, che già macchiavano la sua fedina penale: frode con carta di credito, possesso di droga, furto e minacce. In uno dei processi che aveva subito, era stato dichiarato perfettamente in grado di intendere e di volere, nel 2011. La sua radicalizzazione islamica, comunque, è più recente e sconosciuta. Vicini di casa e amici interpellati dalle autorità e dalla stampa lo descrivono più come una persona “instabile” e non come un lucido terrorista. Un suo amico ha rivelato alla stampa canadese che Zehaf-Bibeau volesse recarsi in Libia “per studio”. Voleva andare in un Paese dilaniato dalla guerra civile, ma per “approfondire la religione”. I servizi segreti canadesi, comunque, gli avevano puntato gli occhi addosso. Il suo passaporto era già sotto sequestro, perché si temeva che andasse in Iraq o in Siria a combattere sotto le bandiere nere del Califfato Islamico.

Mercoledì, il trentenne “instabile” che voleva approfondire la conoscenza della sua religione è arrivato di fronte al War Memorial armato di tutto punto e ha ammazzato Cirillo. Poi è entrato nel parlamento per fare una strage di deputati. Ma solo per trovarvi la morte: è stato subito freddato da Kevin Vickers, anziano responsabile della sicurezza parlamentare.

Quella di Ottawa è, appunto, la storia di un’integrazione riuscita e di una completamente fallita. Il Canda, proprio come gli Usa, è una confederazione fondata da coloni, pionieri, esploratori, ma, soprattutto, immigrati. Gli immigrati europei, come gli avi italiani di Cirillo, sono andati per trovarvi una nuova vita, per lavorare obbedendo alle leggi e ai valori del loro nuovo Paese. I loro discendenti sono indistinguibili, ormai, dai coloni britannici e francesi che fondarono il Canada più di tre secoli fa. Nel caso di Michael Zehaf-Bibeau, invece, la famiglia mista non ha favorito l’integrazione, né il “meticciato”. Alla fine è prevalsa solo l’alienazione dalla società e poi l’odio, religioso e ideologico, contro di essa. La sua identità è stata rivelata subito (e il suo atto di terrorismo immediatamente rivendicato) dai social network dell’Isis, l’esercito del Califfato, che cerca di costituire, col terrore e con la forza bruta, uno Stato islamico “puro”, privo di qualsivoglia influenza occidentale.

È l’ennesima prova del fallimento del multiculturalismo. Non si può essere occidentali e, al tempo stesso fieri delle proprie origini, se queste ultime sono in conflitto con i valori occidentali. È possibile una società multi-etnica e il Canada è lì a dimostrarlo. È possibile una società multi-confessionale. Ma non una società multi-culturale. La schizofrenia dei valori di appartenenza, prima o poi, emerge in modo drammatico, con conseguenze letali. “Gli attacchi al nostro personale della sicurezza ed alle istituzioni del nostro governo sono attacchi al nostro Paese, ai nostri valori, alla nostra società, a noi canadesi come popolo libero e democratico che abbraccia la dignità umana per tutti”, dichiara il premier Harper, il giorno dopo l’attentato, dimostrando di aver inquadrato correttamente la natura del problema. È la soluzione, piuttosto, che si presenta difficile, se non impossibile. Perché questa non è una guerra contro terroristi ben identificabili: l’attentatore di Ottawa non era un veterano della Siria, dell’Afghanistan o della Cecenia, né un terrorista professionale addestrato da Al Qaeda. Era un piccolo criminale, come tanti. Che a un certo punto si è trasformato in terrorista, per sua scelta e senza un’organizzazione alle spalle, senza aver subito un sistematico lavaggio del cervello, senza essere stato istruito da un servizio segreto straniero. È un nuovo nemico, quello che è cresciuto in tutte le democrazie occidentali. Un nemico ideologico, che si può combattere, esclusivamente, solo con gli strumenti dell’educazione. Solo educando ad amare i valori occidentali si può sperare di non far crescere questa serpe in seno. Ma oggi, questi valori, chi li insegna?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:48