La Tunisia domani   alla prova del voto

Domani gli occhi del mondo saranno puntati sulla Tunisia dove i dieci milioni di abitanti si recheranno alle urne per eleggere il nuovo parlamento, nelle seconde elezioni dopo la Primavera Araba del 2001. Fu proprio in Tunisia, a Sidi Bouzid, sobborgo della capitale, che il 17 dicembre 2010 il ventiseienne venditore ambulante di frutta Mohamed Bouazizi si dette fuoco in piazza davanti ad una stazione di polizia, per protestare contro le angherie e i soprusi del sistema corrotto e tiranno al potere nel suo paese.

Lo sfortunato Mohamed morirà in seguito alle ustioni il 4 gennaio del 2011 e quella data segnerà l’inizio della rivoluzione in Tunisia che si estenderà nelle settimane successive anche in Egitto, Libia, Siria, Yemen, Algeria, Iraq, Bahrein, Giordania e Gibuti e in misura minore in Mauritania, Arabia Saudita, Oman, Sudan, Somalia, Marocco e Kuwait e che prenderà il nome di Primavera Araba. In seguito alle proteste popolari, che in molti paesi sono sfociati in conflitti armati di piazza, quattro capi di stato sono stati costretti alle dimissioni o alla fuga: in Tunisia Zine El-Abidine Ben Ali il 14 gennaio 2011, in Egitto Hosni Mubarak l'11 febbraio 2011, in Libia Muammar Gheddafi che, dopo una lunga fuga da Tripoli a Sirte, sarà catturato e ucciso dai ribelli il 20 ottobre 2011 e in Yemen Ali Abdullah Saleh il 27 febbraio 2012.

La Tunisia è l’unico paese dove i protagonisti della Primavera Araba sono ancora al potere; negli altri paesi, dopo un periodo di successo dei rivoluzionari, sono tornati al governo esponenti vicini ai vecchi regimi (come in Egitto) o la situazione è degenerata con conflitti civili ancora in corso (come in Libia, Siria e Yemen). Certo nei quasi quattro anni dal disperato gesto di Mohamed Bouazizi non sono state tutte rose e fiori per la Tunisia. Il 2013 è stato l’anno di svolta; contro l’esecutivo in carica a guida del partito islamista Ennahdha, il Movimento per la Rinascita, il cuore del movimento rivoluzionario vicino ai Fratelli Musulmani, è montata la rabbia di quanti non si riconoscevano nei nuovi leader ma avevano appoggiato la cacciata di Ben Ali, perché stanchi della dilagante corruzione e dell’arroganza politica del vecchio regime.

Il governo islamista è stato accusato di malgoverno e di facilitare l'ascesa dell'estremismo salafita. Ci sono stati scontri di piazza, scioperi generali e due carismatici politici dell’opposizione sono stati assassinati. Di fronte al rischio del baratro e di una guerra civile, e dopo la drammatica caduta dei Fratelli Musulmani di Morsi nel vicino Egitto, Rached Ghannouchi, capo di Ennahdha, ha fatto un passo indietro ed ha accettato di entrare a far parte nel gennaio di quest’anno di un governo di coalizione, presieduto da un tecnico, Mehdi Jomaa, sostenuto da tutti i partiti presenti in Parlamento.

Il Governo ha predisposto la bozza di una nuova costituzione, approvata il 26 gennaio, e con difficoltà si è raggiunto il consenso per arrivare a fissare la data per le nuove elezioni politiche, quelle di domenica prossima, e per il voto a novembre per la nomina del nuovo presidente della repubblica. Alle elezioni di domenica correranno oltre ad Ennahdha anche il nuovo partito laico dei moderati, Nidaa Tounes, “Appello alla Tunisia”, che raccoglie molti consensi tra quanti sostenevano il vecchio regime di Ben Ali. Tra i candidati del nuovo partito figurano molti suoi ex alleati e figure di prima fila del vecchio governo, come l'ex ministro dei trasporti Abderrahim Zouari, arrestato all’indomani della rivoluzione per corruzione poi rilasciato senza alcun addebito, Kamel Morjane, ex ministro degli esteri, l’ex ministro della salute Mondher Zenaidi, fuggito pochi giorni dopo l’esilio di Ben Ali e rientrato a Tunisi solo qualche giorno fa dove, all’aeroporto, è stato accolto da centinaia di sostenitori festanti.

I candidati si sono però preoccupati di minimizzare il ruolo da loro svolto durante il ventennio di Ben Ali e hanno comunque riconosciuto pubblicamente gli errori commessi dal vecchio regime e chiesto scusa al popolo tunisino. Strategie elettorali certo. Tra i candidati alle elezioni presidenziali figura Beji Caid Essebsi, 87 anni, già presidente del parlamento tunisino per il partito di Ben Ali nei primi anni 1990 e primo ministro ad interim dopo la rivoluzione del 2011. Il partito islamista Ennahdha ha già dichiarato che non intende presentare alcun candidato alla massima carica dello Stato. L’attuale capo dello Stato è Moncef Marzouki, leader del Partito della Repubblica, alleato degli islamisti.

I due principali partiti si presentano alle elezioni di domenica con grandi aspettative: il partito islamista Ennahdha spera che dalle urne possa uscire consolidata la sua posizione di principale partito tunisino e forza politica chiave per il futuro del paese. I leader del movimento intendono mostrare ai tunisini che esiste una via moderata di islamismo, sul modello turco, che possa essere accettata anche dalla maggioranza laica della popolazione. Aver lasciato la responsabilità di governo, pur avendo una larga maggioranza parlamentare, per facilitare l’insediamento di un esecutivo di unità nazionale, aver preso le distanze dai Fratelli Mussulmani e dagli altri movimenti islamisti dei paesi vicini, aver abbassato i toni della campagna elettorale e aver ammesso tra i candidati degli altri partiti anche eminenti esponenti del vecchio regime, secondo Ghannouchi e gli altri leder del suo movimento è la prova che Ennahdha è un’altra cosa rispetto ai partiti islamisti e di Ennahdha ci si può fidare anche all’estero, specie in quei ricchi paesi del Golfo ai quali Tunisi guarda con la speranza di grandi investimenti per far ripartire la sofferente economia tunisina.

Per Nidaa Tounes (NT) vincere è una necessità immediata per contrastare il potere del fronte islamico e ridare speranza ai tanti tunisini moderati e laici che non vogliono derive religiose; secondo i leader di NT queste elezioni potrebbero essere l'ultima occasione per evitare che gli islamisti possano radicarsi all'interno della cultura politica e si presentano come gli unici in grado di salvare il paese da un governo incompetente, troppo sensibile ai richiami coranici e debole verso il rischio di infiltrazioni di estremisti salafiti e terroristi. E la paura delle bandiere nere del califfato islamico aleggia non lontana dai confini tunisini.

Comunque vadano le elezioni di domenica e chiunque sarà il vincitore, la Tunisia è ad un bivio. L’economia in forte depressione, l’altissimo tasso di disoccupazione giovanile, il forte malumore della maggioranza dei tunisini delusi di aver visto quattro anni sciupati tra lotte interne, richiede la formazione di un Governo stabile, serio ed impegnato in un processo di rilancio del paese. Nessun errore sarà ammesso perché dietro l’angolo, in caso di fallimento, c’è solo il baratro di una crisi senza fine e di una pericolosissima deriva estremista di cui potremmo subire le conseguenze anche noi italiani. Solo 91 chilometri di mare separano le coste della Tunisia da Pantelleria.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:44