Identità e buonismo “multiculturale” (II)

martedì 11 novembre 2014


Ma l’esempio più classico di quanto stupido inconcludente e pericoloso il credo del multiculturalismo ce lo da proprio l’Islam. Quanto mostra lo scenario mediorientale, tra sciiti, sunniti, le divisioni e gli odi intestini che esistono anche al solo interno dei sunniti (Al Baghdadi-Isis e Abdelaziz El Sauda-Arabia Saudita: i due Califfi riconosciuti del mondo sunnita), le faide e le persecuzioni al loro interno (Sufi – De Asha – Yazidi, Turcomanne, Ashabad), la differente radice culturale che ancora oggi insiste nelle frange sunnite più ortodosse, dando origine ai Wahabiti, Salafiti, Fratelli Musulmani ecc.).

Ecco, provate un po’ a parlare con questa gente di Multiculturalismo e dell’accettazione dell’altro. In Tunisia, unica nazione in cui si spera nell’avvento di una sorta di “democrazia islamica”, siamo giunti al punto che all’indomani delle ultime elezioni politiche (il 26 ottobre scorso) il leader del partito di maggioranza relativa Nidaa Tounes (38%), si è affrettato a fare una comunicazione ufficiale smentendo qualsiasi voce sulla natura “laica” del suo partito che, bensì, è da considerarsi “modernista”. Giacché il dirsi “laico” nella cultura Islamica è quasi uguale al professarsi “ateo” ed equivale a essere oggetto da parte di frange salafite-jihadiste di Fatwa (responso giuridico) di sentenza di morte. In Tunisia, già occorsa per ben due volte nei passati due anni (Mohamed Brani e Chokri Belhaid)!

E allora, perché non aprire gli occhi e guardare al nostro stesso interno, rapportandolo con quanto avviene intorno a noi. La classe politica italiana, attraverso la stampa non fa altro che enfatizzare gli interventi armati delle nostre forze armate a sostegno delle nascenti democrazie islamiche, senza guardare agli esisti delle pregresse esperienze. Somalia, Iraq, Libia, Siria, Afghanistan etc.: tutti esempi di rovinose affermazioni del conflitto interculturale panarabo e panislamista. Mentre non si da alcun credito alla voglia di “conoscenza” che le stesse nazioni post-rivoluzione esprimono attraverso la richiesta di scambi culturali, di attività di cooperazione, di programmi Erasmus, della necessità di aprirsi al “Dialogo Interculturale” con le nazioni occidentali.

A guardare l’Islam di oggi ci si rende conto che stiamo per vivere una svolta epocale. Da una parte, forse in maniera sempre più rilevante, si va affermando la più radicale tradizione islamica: il Salafismo Jihadista, il ritorno al Califfato e all’Islam espansionistico e violento, alla Sharia, allo Stato teocratico nel nome della legge Coranica e della Sunna. Dall’altra, una inebetita voglia di combattere il Salafismo (Wahabismo) estremista (Egitto, Libia, Algeria, Marocco, Yemen, ecc.) senza pensare di proporre alternative evolutive del modernismo Islamico, per la perpetrazione dello status quo.

Infine, ma non a caso, la Tunisia che sta combattendo in maniera silenziosa ma esemplare la propria battaglia per la democrazia e l’emancipazione culturale. Malgrado quanto accennato sulle fatwa, la Tunisia sta combattendo una dura, durissima battaglia. Proprio ieri l’ultimo di una lunga serie di atti terroristici: cinque militari brutalmente uccisi in una corriera presa d’assalto da un gruppo di Jihadisti salafiti. Eppure è proprio da questa terra che arriva un forte richiamo al “dialogo interculturale”. Lo stesso, grazie al quale si è arrivati alla possibilità di creare un prossimo governo tra modernisti di Nidaa Tounes e islamisti di El Nahdha, che ora chiama a viva voce le nazioni europee, in particolare Francia e Italia. Perché solo attraverso la conoscenza e il rispetto reciproco si potrà ipotizzare in futuro qualsiasi forma di integrazione.

L’Europa siamo noi con i nostri Ordinamenti Giuridici, le nostre leggi, la nostra tradizione e la nostra Memoria. In una sola parola, la nostra Identità. Differenti Società, unite da un’unica radice culturale, che dovrebbero creare intorno alla loro tradizione e alla loro cultura (compreso le radici religiose e l’eredità culturale) il punto di forza per la futura, ma sempre più pressante, integrazione tra i popoli.

Proprio perché si va sempre più manifestando una certa dicotomia culturale tra Islam e Occidente, sarà forse arrivato il momento di dire “Conosci per farti conoscere” (brutto perché tradotto dall’arabo!)? E’ giunto dunque il tempo per approfondire la conoscenza l’uno dell’altro, affinché quella pletora di musulmani che continua a desiderare di venire in Europa si senta un po’ meno a casa propria e pensi un po’ più al rispetto della tradizione e dell’identità degli altri.


di Fabio Ghia