Vento indipendentista   soffia dalla Catalogna

A poco più di un mese dal referendum per la secessione scozzese, vinto di misura dagli unionisti (il 45% si è comunque espresso per il distacco dall’Inghilterra), anche la Catalogna si è espressa per la separazione dalla Spagna. Con un gesto solo simbolico, considerando che la Corte Suprema di Madrid ha accolto il ricorso del Partito Popolare (al governo) e ha dichiarato illegale la consultazione. Il referendum si è tenuto ugualmente il 9 novembre. A causa del divieto, implementato con ostruzionismi pubblici (le poste, tanto per dire, avevano il divieto di spedire le schede), l’affluenza alle urne è stata di 2 milioni di aventi diritto al voto, su 5 milioni e mezzo in tutta la Catalogna. Una cifra consistente, ma non sufficiente a considerare il referendum come un “plebiscito” a tutti gli effetti. Il risultato è stato comunque chiaro e netto: 80% a favore dell’indipendenza. Gli ultimi sondaggi, che interpellano tutto il corpo elettorale catalano, parlano di un testa-a-testa fra unionisti e secessionisti, con circa il 50% ciascuno.

Le autorità spagnole hanno optato per una linea non-interventista durante il voto (per evitare disordini), ma forse la punizione è solo differita. Da ieri, infatti, la magistratura iberica ha aperto un’indagine sugli organizzatori del referendum e sui funzionari che ne hanno permesso lo svolgimento. Se si arriverà a condanne e incarcerazioni, potrebbe essere tutta benzina sul fuoco. I catalani, contrariamente ai baschi, non hanno mai fatto terrorismo e l’ultima volta che hanno combattuto risale alla Guerra Civile Spagnola (1936-1939), quando erano schierati dalla parte della Repubblica, contro Francisco Franco. Tuttavia, i numeri del nuovo indipendentismo sono abbastanza eloquenti: quasi 2 milioni in piazza, a Barcellona, l’11 settembre scorso per chiedere l’indipendenza e ora poco più di 2 milioni alle urne per votare per l’indipendenza. L’80% dei catalani si esprime a favore del diritto di voto, siano essi favorevoli alla secessione di Madrid o unionisti. Un divieto tassativo e un intervento a gamba tesa delle autorità, provocherebbe un disastro politico per la Spagna.

Anche un referendum legale, tuttavia, è da escludere poiché la costituzione spagnola sancisce l’unità del Paese in modo irreversibile. Anche un referendum straordinario per la secessione di una regione dalla nazione, secondo la legge spagnola, dovrebbe essere votato da tutta la nazione. Dunque anche Galizia, Andalusia, Castiglia e Madrid e tutte le altre, dovrebbero votare per il destino dei catalani, con esiti prevedibili.

Molto più probabile e percorribile è la via del negoziato fra Artur Mas, presidente della Generalitat (parlamento) catalana e il premier spagnolo Mariano Rajoy, esponente del Partito Popolare, fautore di una linea decisamente più centralista rispetto all’opposizione socialista, ma comunque aperto al dialogo. Il negoziato andrà a ridefinire una serie di questioni importanti: autonomia fiscale, uso della lingua locale e ridefinizione delle competenze. Con una vasta maggioranza parlamentare indipendentista alle spalle, Mas spera di ottenere una semi-indipendenza senza troppi strappi. E potrebbe ancora una volta giocare la minaccia dell’indipendentismo, a mali estremi.

In ogni caso, la questione degli indipendentismi resta. E non è limitata alla Spagna, ma si sta diffondendo in tutta l’Europa: Belgio, Francia, Regno Unito, assistono alla crescita di separatismi sempre più forti al loro interno. Riguarda anche gli italiani: un sondaggio effettuato in queste settimane da Demos, rivela che 1 italiano su 3 vorrebbe l’indipendenza dall’Italia. Curiosamente anche in Lazio, dove l’indipendentismo è dato al 35%. (E da cosa vogliano separarsi i laziali non è chiaro, considerando che hanno Roma capitale). Ma le vette indipendentiste si raggiungono soprattutto nelle regioni più periferiche, soprattutto Veneto, Friuli, Sardegna e Sicilia. È una tendenza comune, dunque, che esula anche dall’azione di movimenti localisti che abbiamo visto sinora. È piuttosto uno dei più potenti effetti collaterali della lunga crisi economica. E più lo si ignora, più sarà destinato a crescere.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:47