La organizzazione   del Califfo fantasma

Gli americani lo danno per gravemente ferito, qualcun’altro in coma o agonizzante, i portavoce dell’Isis dicono che si nasconde ed è sfuggito miracolosamente ai bombardamenti della coalizione internazionale intorno a Mosul, in Iraq. La sorte di Abu Baqr Al-Baghdadi, che il 29 giugno scorso si è autoproclamato Califfo dello Stato Islamico e che la rivista Forbes mette al 54° posto tra i primi cento uomini più influenti del mondo, resta un mistero. Soprannominato “al-Shabah” il fantasma, per la sua capacità di restare nell’ombra, il Califfo regna su più della metà dell’Iraq e su una buona parte della Siria, un territorio otto volte più grande del Belgio, dove vivono circa dieci milioni di persone.

A lui rispondono oltre 10mila uomini in Iraq e 7mila in Siria, ma il numero si ingrossa giorno dopo giorno con i massicci arrivi di jihadisti “volontari” da ogni parte del mondo. Si è proclamato califfo, il capo supremo di tutti i credenti sunniti del mondo musulmano. I suoi nemici sono i musulmani sciiti, i cristiani, i laici e tutti coloro che intendono contrastarlo. Minaccia l’Iran, l'Arabia Saudita e l'Occidente. Al suo cospetto, il suo nemico giurato, Ayman al-Zawahiri, l’egiziano capo di Al Qaeda sembra essere un intellettuale pacifista. E' onnipresente sui social network e dialoga con grandi e piccini. Ha collezionato per il suo movimento un patrimonio di più di un miliardo di dollari e sulla sua testa pende una taglia di 10 milioni di dollari.

Tutto questo lo ha reso uno degli jihadisti più potenti di tutti i tempi, il successore indiscusso di Osama Bin Laden, l'uomo più pericoloso del mondo. Eppure, fino a poche settimane fa il califfo era completamente sconosciuto al grande pubblico. Così sconosciuto, così misterioso che di lui i media internazionali avevano trovato solo due fotografie, una a colori e una in bianco e nero e non vi è neppure la certezza che quel viso corrisponda effettivamente al capo dell’Isis. Così come nessuno può confermare che l’uomo vestito in turbante e tunica nera, apparso in un video il 4 luglio scorso nella grande moschea di Mosul, sia davvero al Baghdadi.

Un video diffuso in tutte le televisioni del mondo, visto e commentato sui social network, dove il califfo sostiene di essere il “wali”, l’erede legittimo del Profeta, incaricato di guidare il popolo musulmano alla vittoria finale. Il jihadista nell’ombra, quasi affascinato e incredulo dalla dimensione del suo nuovo potere che però non vuole diventare schiavo della sua immagine pubblica come era Osama Bin Laden, si chiama in realtà Ibrahim Badri Samarrai ed è nato nel 1971 nella città irachena di Samarra, novanta chilometri a nord di Baghdad, un tempo il cuore della dinastia di Saddam Hussein.

Fin da giovane è affascinato dalla moschea e vuole diventare un predicatore: nel 1990 va a Baghdad dove si iscrive all’Università Islamica e si diploma tra i migliori studenti. Diviene ben presto imam salafita ed insegna la legge della Sharia in diverse moschee irachene. E’ convinto di essere discendente della stirpe degli Husseini, la famiglia del profeta Maometto. Nel 2003, dopo l'invasione degli Stati Uniti, comincia la sua esperienza jihadista quando entra a far parte del ramo iracheno di al-Qaeda sotto il comando del giordano al-Zarqawi. Cambia il suo nome in Abu Bakr al-Baghdadi: Abu Bakr in riferimento ad Abu Bakr as-Siddiq, discepolo prediletto di Maometto e primo califfo dell'Islam dal 632 al 634 e Baghdadi in onore della capitale Baghdad.

L’allora poco più che trentenne si distingue per coraggio in combattimento e spietatezza: lotta contro le Sahwa, le milizie di volontari sunniti create dal governo di Baghdad per combattere Al-Qaeda in Iraq. Viene arrestato dalle forze speciali americane vicino Tikrit ed imprigionato nel campo di detenzione Bucca, uno dei più duri, dove rimane per quattro anni. Il suo odio viscerale per gli americani sarebbe una conseguenza degli anni di prigionia a Bucca; il suo senso di rivalsa contro chi lo ha probabilmente torturato viene scaricato sui poveri ostaggi americani, giornalisti e cooperanti innocenti, che fa brutalmente decapitare nelle raccapriccianti immagini televisive che abbiamo visto nelle settimane scorse.

Dopo il suo rilascio, Abu Baqr torna in clandestinità e riprende la lotta armata moltiplicando le sanguinose azioni terroristiche, tra cui quella alla cattedrale Nostra Signora della Salvezza di Baghdad, nel novembre del 2010, dove provoca la morte di oltre sessanta persone e il ferimento di centinaia. Proprio nel 2010 diviene capo dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante, l’organizzazione che crea in sostituzione di Al Qaeda in Mesopotamia. I gradi li guadagna sul campo alla morte di Al Zarkawi; è sempre in prima fila accanto ai suoi uomini, anche nei combattimenti più duri.

In Siria le file dell’Isis guadagnano terreno anche sugli jihadisti del Fronte Al-Nusra, rimasti alleati di Al Qaeda; in Iraq, gli uomini dell’Isis sbaragliano facilmente le truppe regolari e i peshmerga curdi e conquistano territori sempre più ampi. Nel giugno di quest’anno da Mossul, diventata sua capitale, Abu Baqr al Baghdadi proclama la costituzione del Califfato islamico su più della metà dell’Iraq e su buona parte della Siria. L'ultimo califfato era stato abolito nel 1924 da Mustafa Kemal Atatürk.

L’organizzazione del califfato voluta da Al Baghdadi è molto strutturata: sotto di lui ci sono due vice, Abu Muslim al-Tourkmani e Abu Ali al-Anbari, responsabili rispettivamente dell’Iraq e della Siria. Il capo delle operazioni militari è il ceceno Omar al-Shishani, con una lunga esperienza sul campo maturata combattendo i russi; il portavoce del Califfato è Abu Mohammed al-Adnani, uno degli uomini di cui al Baghdadi si fida di più. E’ lui che ha ideato la rivista on line “Dabiq”, l’organo ufficiale del califfato, che prende il nome dalla omonima città nel nord della Siria, teatro agli inizi del XVI secolo di una battaglia decisiva per la costruzione dell’impero degli ottomani contro i Mamelucchi.

Sul primo numero di Dabiq, dal titolo "Il ritorno del Califfato", Abu Bakr in una lunga intervista ha dichiarato l'avvento di una nuova era per l'Islam e ha rivolto l'invito a tutti i musulmani del mondo di unirsi alle forze dello Stato islamico. I capi dell’Isis si trovano una volta al mese nel Consiglio della Shura, organo consultivo, una sorta di consesso dei saggi, al quale sono ammessi anche i responsabili delle province occupate, che è presieduto da Al Baghdadi o in sua assenza da al Tourkmani.

Il Califfo ha comunque un suo gabinetto con funzionari incaricati di seguire i vari dossier e di fare il coordinamento con i comandi periferici e con i comitati responsabili per la sicurezza, le finanze, l’organizzazione territoriale e financo i media. Fino alle notizie degli ultimi giorni, le intelligence occidentali, tra mille difficoltà, segnalavano la presenza di al Baghdadi a Mosul. Le aree occupate dall’Isis in Siria e Iraq sono state divise in regioni amministrative "wilayat", guidate da governatori con proprie strutture militari e amministrative. Il califfato ha quindi tutte le caratteristiche di un vero e proprio stato.

Ma la personalità del suo leader gioca un ruolo di primo piano nel funzionamento del gruppo. Se Baghdadi fosse veramente morto o gravemente ferito, si aprirebbe un periodo di incertezza per l'organizzazione e potrebbe essere l’occasione per le forze della coalizione internazionale per lanciare una controffensiva di terra in Iraq e Siria e dare il colpo di grazia all’Isis.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:53