L’Isis colpisce ancora  e arriva in Australia

A Sydney dei normali cittadini australiani hanno scoperto che, andare a un Lindt Chocolate Café a rilassarsi e mangiare e bere qualcosa di buono è diventata un’attività ad alto rischio. Succede, infatti, che, nel pieno centro della grande città australiana, dall’altra parte del mondo rispetto al conflitto in Iraq, un intero locale di proprietà della nota marca di cioccolatini, con trenta persone al suo interno (clienti e personale), venga sequestrato, armi in pugno, da un fanatico islamico. Si tratta di un atto di terrorismo isolato che si è concluso in modo drammatico. Di trattativa manco l’ombra: questi terroristi non scendono a compromessi e cercano il martirio. Il sequestratore è stato ucciso nel corso del raid della polizia. Ma è riuscito a trascinare con sé, nella tomba, almeno un australiano, mentre altri tre sono feriti gravi. Altri dodici ostaggi erano riusciti a fuggire, per conto loro, prima che scattasse il blitz della polizia australiana. Tre dei fuggitivi avrebbero fornito agli agenti informazioni dettagliate sul terrorista e sull’interno del locale. Dati che si sono poi rivelati preziosi per la liberazione di tutti gli altri.

Man Haron Monis è l’autore dell’attacco. Ha agito da solo, armato e dotato di esplosivo: secondo le testimonianze degli ostaggi (che comunicavano con messaggi dal cellulare anche durante l’assedio), avrebbe piazzato anche quattro bombe, due dentro e due fuori il locale. Tenere a bada trenta ostaggi, per un uomo solo, si è rivelata una missione impossibile e questo spiegherebbe la fuga di così tanti suoi prigionieri, ancora prima del blitz. Quelli che sono rimasti dentro, invece, hanno subito una giornata da incubo. In uno degli episodi più drammatici e fotografati del sequestro, gli ostaggi sono stati costretti ad esibirsi, con le mani alzate, alle vetrine del locale della Lindt. Due di loro hanno dovuto esporre la bandiera nera del “sacrificio” degli jihadisti islamici. Fra le condizioni poste dal terrorista c’era anche quella di poter avere una bandiera dell’Isis, da esporre nel locale. Non è stato accontentato, ma la matrice dell’atto di terrorismo, in questo modo, è stata rivelata. Sempre fra le condizioni del sequestratore, c’era anche un incontro con il premier australiano Tony Abbott.

Il sequestratore iraniano non era arrivato in Australia da poco. Era presente nella grande isola dal 1996, quando aveva ottenuto l’asilo politico. Da allora non si era affatto dimostrato un bravo cittadino: indagato dal 2013 per l’omicidio dell’ex moglie, arrestato per diverse aggressioni sessuali. Era già libero su cauzione, sorvegliato dalla polizia e tutt’altro che silente sulle sue intenzioni: predicava la jihad ed era considerato una testa calda della locale comunità musulmana. Nonostante tutto, è riuscito ad armarsi, organizzarsi e sequestrare un locale in pieno centro a Sydney. Il tutto sotto gli occhi della polizia e nonostante questo sia un periodo di allerta elevata in Australia.

Lo scorso settembre poteva verificarsi una tragedia simile, ma in quel caso la polizia si era mossa per tempo e aveva sgominato la cellula di terroristi prima che questa potesse colpire. In quel caso, gli jihadisti locali non avevano intenzione di sequestrare un locale, ma di rapire persone a caso per decapitarle in diretta video. La brutalità di queste azioni basta da sola a farci capire con che tipo di nemico ci troviamo ad avere a che fare. Nonostante l’attenzione che aveva su di sé, prima del suo folle gesto, anche questo predicatore radicale iraniano è riuscito a tenere in pugno un’intera città. E il mondo intero è rimasto col fiato sospeso per un giorno. Il che dovrebbe farci capire quanto sia difficile prevenire questo nemico.

Possiamo dire che l’attacco a Sydney sia stato condotto dall’Isis? Tecnicamente no, secondo i parametri che usiamo di solito. Perché non è certo a Raqqa o a Mosul che il Califfo Al Baghdadi o chi per lui hanno pianificato l’azione. E’ stata condotta, preparata e portata a termine da un “cane sciolto” emigrato in Australia. Possiamo dire che l’attacco a Sydney non c’entri nulla con l’Isis? Neppure: non lo possiamo dire. Perché l’attentatore lo ha fatto nel nome dell’Isis, rispondendo ad una precisa chiamata alle armi e alla guerra santa, diffusa in tutto l’Occidente. Purtroppo è questo il nuovo tipo di guerra scatenata dal terrorismo jihadista. Non mega-attentati simili ad azioni militari, a cui ormai siamo abituati a rispondere. Ma uno stillicidio di piccole azioni, condotte da persone condizionate dalla propaganda islamista. Persone che, magari, non hanno alcun legame con organizzazioni terroriste internazionali. L’attentatore-suicida di Sydeny ne è un classico esempio, ma lo sono anche l’attentatore di Ottawa, quello (fallito) di New York, lo sgozzatore di Londra, i due ceceni attentatori di Boston, lo stragista di Tolosa e quello di Bruxelles, i sempre più numerosi palestinesi che uccidono ebrei a caso a Gerusalemme.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:52