Il rischio globale

Sono passate poco più di due settimane dai drammatici fatti di Parigi e già nessuno ne parla.

Per nostra memoria, Chedid e Said Kouachi, i fratelli assassini dei redattori di Charlie Hebdo, e il loro amico e solidale Amedy Coulibaly, il terrorista che ha ucciso una poliziotta per strada e quattro clienti del mercato Kosher, erano cittadini francesi, tornati solo da poco da viaggi in Yemen e in Siria, avevano precedenti penali, erano discepoli di un imam noto per il suo estremismo e l’istigazione all’odio e alla violenza, erano nelle liste nere dei servizi di intelligence americani e britannici ma nessuno, in Francia, li teneva sotto controllo. Hanno potuto acquistare armi in Belgio, tornare indisturbati nelle loro case nella banlieu parigina, davanti agli occhi di tutti, pianificare ed eseguire le loro azioni di sangue e tenere in scacco per due giorni un intero paese, che ha dovuto mobilitare circa 80.000 uomini per stanarli ed ucciderli.

E se non vengono monitorati i “perfetti sospetti” di terrorismo, che succede alle migliaia di giovani, sbandati, disoccupati, senza alcun interesse per il futuro, senza arte né parte, che rappresentano facilissime prede per predicatori estremisti da quattro soldi? Siamo davvero al sicuro nelle nostre città? Dopo gli attentati di Parigi e le minacce di altri attacchi terroristici in Europa, la domanda che sorge spontanea e che rimane fondamentalmente senza risposta è cosa possiamo fare per contrastare questa ondata di violenza?

Innanzi tutto partiamo da chi dovrebbe proteggerci. Se guardiamo alla Francia, secondo molti osservatori le vicende dei giorni passati dimostrano che l’efficienza di quelli che erano considerati i servizi segreti tra i migliori al mondo, che vantavano analisti raffinati delle vicende del mondo arabo, arabisti di primissimo livello, la mitica Direction Générale de la Sécurité Extérieure (DGSE), sono solo un ricordo di un passato glorioso. Altri rispondono che sono drammaticamente cambiate le minacce, il contesto internazionale è molto più vasto e complicato e non si può guardare ad un solo paese o ad un solo servizio segreto, dal momento che molte competenze sono passate sotto responsabilità degli organismi europei. I fatti di Parigi di inizio gennaio sono giunti in un momento di grandi cambiamenti nel mondo dell’intelligence d’oltralpe. Il Presidente Hollande e il Primo Ministro Manuel Valls hanno voluto una profonda trasformazione dei servizi segreti, dando vita nel maggio dello scorso anno alla Direzione generale per la Sicurezza Interna (DGSI), direttamente dipendente dal ministro degli Interni e non più dal capo della Polizia, come era nel passato. A dirigerla è stato chiamato uno dei funzionari con maggiore esperienza, Patric Calvar, già direttore dell’analisi al servizio esterno, la DGSE.

La nuova struttura ha in programma l’assunzione di centinaia di nuovi agenti che andrà a pescare nelle università, nei centri di ricerca, tra i migliori reparti della polizia. Il massacro di Charlie Hebdo e del supermercato Kosher è dunque solo in parte attribuibile ad una defaillance degli organismi di sicurezza francesi; il vero problema è che i soggetti di interesse investigativo sono diventati troppi, diverse migliaia, le risorse a disposizione in un periodo generale di crisi economica sono scarse ma soprattutto il quadro normativo ultra-garantista non favorisce il compito di chi deve controllare il rischio e tutelare la sicurezza. E il discorso vale esattamente per tutti i paesi europei, in particolare quelli dell’area Schengen, dove la circolazione tra stato e stato non è sottoposta a controlli di frontiera. E qui entra in gioco l’Europa: l’avvocato sessantenne belga Gilles de Kerkhove, dal 2007 a capo del coordinamento europeo anti-terrorismo, da anni va dicendo che per battere il fenomeno in Europa occorre una maggiore volontà politica dei governi e sfruttare meglio i meccanismi a disposizione. Il suo predecessore, il deputato olandese Gijs de Vries, si era dimesso polemicamente quando i governi ma soprattutto il parlamento europeo gli avevano negato la possibilità di adottare misure straordinarie di controllo sui movimenti e sulle comunicazioni informatiche di sospetti terroristi in Europa, a suo giudizio azioni indispensabili per la prevenzione di atti criminali.

In nome della protezione, nel territorio dell'Unione europea, dei diritti dei cittadini, compresa la protezione delle minoranze, enunciati nei trattati e nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, la maggioranza dei componenti della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo, “la Commissione Libe”, è sempre stata vista con grande sospetto dalle forze di polizia e dagli investigatori europei. Infatti in più occasioni i deputati della “Libe”, paladini del garantismo, hanno respinto le proposte della Commissione e dei Governi per l’adozione di misure per contrastare la minaccia terrorista. Come nel caso del ' PNR - Passenger name record', ovvero l'obbligo di registrare i dati dei passeggeri degli aerei in area Schengen, di cui si è tornato a parlare dopo i fatti di Parigi. Le polizie e i ministri degli interni europei ne indicano l'assoluta necessità per lottare contro il terrorismo e contrastare il fenomeno dei 'foreign fighters' e chiedono che il Parlamento europeo possa procedere con velocità nell’approvazione della misura. La proposta era stata avanzata già nel 2011; i deputati della “Libe” se la sono presa con molta calma e si è arrivati al voto, con una clamorosa bocciatura, solo nell’aprile dello scorso anno. Ora il provvedimento è stato ripresentato in commissione e ci si auspica che questa volta i deputati siano più sensibili alle tematiche della sicurezza dei cittadini contro il terrorismo e meno al garantismo ideologico.

Se la normativa sul PNR fosse stata in vigore, come era stato chiesto dal 2011, Chedid Kouachi e Amedy Coulibaly sarebbero entrati nella rete di controllo della polizia francese e forse, con un grande punto interrogativo, forse si sarebbero potute evitare le vittime di Charlie Hebdo e del supermercato Kosher.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:19