Mosul: iconoclastia? No, cieca stupidità

Meraviglia! Stupore! Sconcerto! Certamente e senza alcuna ombra di dubbio su quanto abbiamo visto riguardo le distruzione delle sculture del museo di Mosul ad opera dei combattenti dell'Islamic state. La tesi dell'iconoclastia mi sembra assai approssimativa, una di quelle fondate sull'immediatezza come tutti gli atti compiuti dai tagliagole, francamente non c’è nulla di dottrinario.

Lo stesso scempio culturale lo abbiamo visto con i Buddha di Bamiyan e nessuno mai ha “giustificato” quegli atti con argomenti teologici. Perchè? Perché non ce ne stanno. Quanto compiuto a Mosul e a Bamiyan è storicamente, culturalmente e religiosamente cosa ben diversa dall'iconoclastia (dal greco eikonoklasmos, distruzione di immagini) generata dall'eresia dal 725 al 842, che scavò un profondo solco tra Roma e le Chiese Cristiane d'Oriente e preparò il terreno allo scisma di Fozio del 867.

Questa prese spunto indubbiamente dall'influenza esercitata dai Mussulmani, i quali condannavano (e condannano) qualsiasi rappresentazione della divinità in forma umana. Oltre a questo, un certo peso l'aveva probabilmente avuto l'atteggiamento dei pauliciani, contrari alle immagini sacre, che nel VII secolo avevano avuto la possibilità di influenzare, in tal senso, alcuni alti prelati delle Chiese Orientali, come, ad esempio, Costantino, vescovo di Nacolia, in Frigia. Questi prelati, comunque, avevano già espresso critiche sull'abuso di immagini sacre soprattutto da parte dei monaci, i quali attribuivano spesso poteri taumaturgici a quadri sacri, alcuni dei quali erano perfino spacciati come dipinti mediante intervento divino.

Bisogna fare un'analisi profonda per asserire che l'uomo è, prima di tutto persona; sia per la cultura laica che gli riconosce un entità psico-fisica, sia per la cultura religiosa del pensiero tomista e del personalismo cristiano che lo concepisce come unione intrinseca di corpo ed anima. In quanto persona, egli quindi è creatore e fruitore di valori spirituale che lo elevano al di sopra del mondo materiale e che costituiscono il fulcro del progresso civile.

Purtroppo oggi viviamo in una sorta di oscurantismo di valori a livello globale, determinato da un progressivo decadimento degli ideali, dove si vanno affermando nuove logiche di lotta: non sono più le manifestazioni pacifiche a garantire la difesa dei principi inviolabili quali l’autodeterminazione dei popoli o la libertà di culto, ma il sacrificio disumano ed irrazionale del terrorismo suicida. In un tale contesto diventa sempre più difficile accettare l’equazione – progresso =civiltà: anzi negli ultimi decenni si è andato delineando un falso concetto di progresso per cui quando si pensa e si parla di progresso si pensa e si parla in termini quantitativi più che qualitativi, mettendone in risalto soprattutto l’aspetto economico. Tutto ciò non è civiltà. Per quanto riguardo le gesta dell'Islamic state dobbiamo affermare che la loro civiltà è un passo indietro in quel medioevo religioso e di pensiero che alimenta queste gesta forsennate.

La Civiltà è invece il risultato della cultura di un popolo intesa nella sua globalità di libertà, democrazia ed uguaglianza; è il punto di arrivo, sempre perfettibile, del pensiero umano che si adopera per il benessere psico – fisico dell’uomo nell’ambito di un sistema di vita sociale che con le sue regole garantisce libertà, sicurezza, giustizia, solidarietà e tranquillità di vita alla persona nella sua integralità. Non volevo citare Dante ma ci sono costretto perché è naturale nell'homo sapiens ricordare: “fatti non foste a vivere come bruti ma perseguire virtute e conoscenza”; dove conoscenza e virtù non vanno intesi in senso sofista come tecniche o abilità di padroneggiare con destrezza il singolo caso ma nell’accezione socratica di scienza che implica una considerazione approfondita dell’azione morale e la presenza, del soggetto agente, di un principio di organizzazione e di coordinazione in modo da divenire così la risultante della sua intera personalità.

La follia del fanatismo islamico non è altro che una connotazione marcatamente speculativa che non ha nulla a che fare sull'agire per il bene morale e sulla virtù, paradigmi del pensiero socratico. Tanto meno le folle gesta non sono riconducibili alla virtù come equilibrio e ordine interiore della persona che conosce e sceglie il bene (Platone) e ancora di più all' Etica Nicomachea di Aristotele che offre una riflessione più organica sulla virtù. E non ci addentriamo nella Patristica (Sant'Ambrogio, Sant'Agostino, San Gregorio Nazianzeno) per non turbare l'essenza del pensiero, ammesso che ne abbiamo qualcuno, dei tagliagole. La propagandata “promozione dei valori e della virtù” da parte dell'Is è la raccogliticcia teoria fondamentalista: 'Queste rovine dietro di me, sono quelle di idoli e statue che le popolazioni del passato usavano per un culto diverso da Allah'.

Aver distrutto a martellate il toro alato che rappresentava l’antica divinità mesopotamica di Nergal non è un atto di fede ma un atto contrario all'intelligenza che toglie valore all’interconnessione tra esseri umani, crea egocentrismi e distrugge l’autonomia, aliena gli individui dalle normali reazioni emotive umane, vende false speranze che creano maggiore sofferenza. Per questo non possiamo restare immobile a guardare o solo a pronunciare un inutile turbinio di parole serve il confronto e una strategia comune per sconfiggere l'ignoranza e far cessare gli orrori.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:02