Hillary ferita dall’email

Che cosa ci sarà mai scritto nelle oltre 55mila pagine di email personali di Hillary Clinton? A quanto pare, nulla di così compromettente, considerando che la stessa ex segretaria di Stato degli Usa ha dato il permesso di pubblicarle tutte. Il problema, a quanto pare, non è di contenuto, ma di indirizzo. La Clinton, infatti, nel suo ruolo di segretario di Stato (ministro degli Esteri, si direbbe in Italia) usava il suo account di posta personale, violando le regole di Foggy Bottom. Non è una questione di etichetta, ma di sicurezza, perché l’account personale è più crackabile e dunque molto più esposto allo spionaggio. Inoltre, tutte le email dei funzionari di governo, a partire dai ministri, devono poter essere archiviate sui server del governo, anche perché, in caso di richiesta da parte del pubblico, grazie al Freedom of Information Act (legge sulla libertà di informazione) possono essere rese pubbliche. Come se non bastasse, quando mandava email dal suo indirizzo si appoggiava a un server basato nella sua casa di Chappaqua (nello stato di New York) e intestato a un certo signor Eric Hoteham, un nome che non compare da nessuna parte nei registri del governo. Quindi cresce il sospetto che possa aver usato un canale di comunicazione interamente privato, per bypassare il Freedom of Information Act.

Che cosa la Clinton avesse in mente di fare o disfare, usando questi metodi di comunicazione, lo si capirà solo alla fine di un’inchiesta, che sta già partendo, oltre che dal contenuto delle sue lettere. Quel che conta è che l’email gate (come già lo chiama la stampa Usa) riporta la memoria degli americani su un altro fattaccio, molto più grave, che ha visto la Clinton come protagonista: l’assassinio, a Bengasi, dell’ambasciatore statunitense in Libia, Christopher Stevens nella notte fra l’11 e il 12 settembre 2012. E’ infatti la commissione del Congresso che sta indagando su quell’attentato che ha sollevato il caso delle comunicazioni private dell’ex segretaria di Stato, anche perché ha urgenza di conoscere tutte le comunicazioni del Dipartimento di Stato riguardanti l’attacco a Bengasi.

Ci sono molti aspetti che sono rimasti oscuri dell’assassinio di Christopher Stevens. Perché, prima di tutto, il Dipartimento di Stato ha sottovalutato i continui e allarmanti rapporti sul deterioramento della sicurezza a Bengasi? Perché l’ambasciatore è stato inviato là ad agosto, nella sede del consolato americano? Perché la sede consolare era così poco protetta? Perché non ci fu alcun intervento tempestivo delle forze speciali, benché vi fosse tutto il tempo necessario per farle arrivare dopo l’inizio dell’assalto terrorista? Perché in tutte le comunicazioni del governo, immediatamente successive all’attentato, sono stati rimossi tutti i riferimenti ad Al Qaeda ed è stata attribuita la colpa a manifestazioni spontanee (seguite alla pubblicazione su YouTube di un video amatoriale su Maometto)?

Un ambasciatore assassinato in Libia è un fatto gravissimo. Nonostante tutto, non ha provocato gravi conseguenze politiche per l’amministrazione di Barack Obama, che due mesi dopo ha di nuovo vinto le elezioni. Lo scandalo email gate, benché infinitamente meno grave, pare invece che stia mettendo in seria difficoltà Hillary Clinton. A giudicare dagli osservatori politici negli Usa, potrebbe addirittura costarle la candidatura alle presidenziali del 2016, quella in cui è data come super-favorita. Strano senso delle priorità, sia della stampa che dell’opinione pubblica. Un ambasciatore assassinato val meno di un account di posta elettronica irregolare.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 16:49