Le donne jihadiste

Shamima Begum e Amira Abase sono due ragazze inglesi di 15 anni e con la loro amica Kadiza Sultana, 16 anni, hanno deciso di lasciare Londra e partire per la Siria, per arruolarsi nell’Isis. Shamima, che non aveva il passaporto, ha usato quello rubato alla sorella diciassettenne ed ha superato i controlli dei poliziotti di frontiera senza problemi.

Martedì 17 febbraio alle cinque del pomeriggio si sono imbarcate all’aeroporto di Gatwick sul volo 1998 della Turkish Airlines diretto a Istanbul, dove sono atterrate alle 11 di sera. Poi hanno aspettato fino all’una del mattino la coincidenza con il volo Turkish 2236 per Gaziantep nell’Anatolia meridionale dove sono arrivate quando era ancora notte fonda. Dal piccolo aeroporto della cittadina turca hanno preso la corriera che le ha condotte fino a Kilis, sul confine, dove le stava aspettando un’auto con due miliziani dell’Isis.

I loro biglietti aerei, costati 96 sterline, sono stati comprati online da un cosiddetto facilitatore, una sorta di reclutatore che in Inghilterra si occupa della prima parte del viaggio degli aspiranti jihadisti, che ha incontrato le ragazze nella calca dell’aeroporto di Gatwick e che poi ha fatto velocemente perdere le sue tracce. Mentre l’intelligence britannica ha individuato solo pochi frammenti video che ritraggono le tre ragazze al controllo passaporti di Gatwick, i servizi segreti turchi hanno ricostruito il viaggio delle tre ragazze dall’arrivo in Turchia, con l’aiuto delle telecamere degli aeroporti di Istanbul e di Gazantep e del terminal dei bus situato poco distante l’aeroporto della cittadina anatolica.

Le tre ragazze erano iscritte alla Bethnal Green Accademy, nel quartiere di Tower Hamlets nella zona orientale di Londra, una scuola rinomata, divise verdi scure e gonna grigia, frequentata da famiglie della media borghesia londinese; hanno lasciato le loro case di nascosto dai genitori, per raggiungere una loro compagna di scuola che era scappata anche lei nei mesi scorsi e con la quale erano rimaste in contatto con whatsapp e email, che le avrebbe convinte a partire, raccontando di quanto fosse eccitante la vita da jihadista. Ma le tre ragazze di Tower Hamlets non sono le prime ad aver aderito all’esercito islamico e purtroppo non saranno neanche le ultime.

Secondo un rapporto del King’s College di Londra le jihadiste rappresentano il 10 per cento della forza complessiva dell’Isis e hanno in media tra i 16 e i 24 anni; tra di queste moltissime provengono dai paesi occidentali e una grande maggioranza si è convertita solo di recente all’islamismo più radicale. Le ragazze vengono sovente reclutate sulla rete da seducenti miliziani o da altre giovani donne e attirate nel Califfato con la promessa di una vita romanzata, eccitante ed avventurosa, lontana dalla routine noiosa delle periferie delle grandi città occidentali. Spesso però la realtà è assai diversa e una volta arrivate nel califfato le ragazze vengono date in spose ai miliziani o vengono utilizzate per soddisfare i loro bisogni sessuali.

A tutte viene imposto il niqab, il velo integrale, e la loro vita viene regolata secondo la più rigida interpretazione della sharia. Quelle che non diventano spose dei jihadisti, vengono assegnate alla brigata Al Khamsaa, il gruppo femminile dell’esercito islamico, noto per la sua crudeltà. Proprio le miliziane della brigata Al Khamsaa, che svolge funzioni di polizia morale nell’esercito islamico, poche settimane fa nella città di Mosul hanno gravemente sfigurato con l’acido 15 donne irachene che non avevano coperto il viso con il Niqab, al passaggio di uomini.

E sempre le poliziotte di Al Khamsaa, a Raqqa in Siria, in estate avevano arrestato una giovane mamma di 24 anni che allattava in pubblico il proprio bambino, l'avevano portata al loro quartier generale e le avevano torturato il seno con una tenaglia chiodata. Secondo un rapporto della polizia britannica, sarebbero già oltre sessanta le donne inglesi, alcune molto giovani, scappate in Siria per raggiungere l’Isis, che si sarebbero arruolate nella Brigata. Convertite all’Islam radicale, queste donne sono ferocissime; ordinano esecuzioni e arresti, torture e flagellazioni e gestiscono i bordelli per gli jihadisti, dove vengono violentate e obbligate a prostituirsi le donne jazide catturate nei rastrellamenti. Le miliziane di Al Khamsaa puniscono chi abbia un velo del materiale sbagliato o indossi scarpe che non siano di colore nero.

Lo stipendio delle jihadiste è di circa 150 dollari al mese. La brigata prende il nome da una poetessa islamica del settimo secolo, contemporanea di Maometto, i cui quattro figli morirono in battaglia per il Profeta. Il significato del suo nome è “madre di molti martiri”. A capo della brigata vi è una ragazza scozzese di vent’anni fuggita di casa da mesi, Aqsa Mahmood. Aqsa è nata in uno dei quartieri più ricchi di Glasgow, dove il padre Muzaffar era arrivato negli Anni 70, accompagnato da fama e stipendio a molti zeri dovuto al fatto di essere il primo giocatore di cricket pakistano in Scozia. Da bambina era una fan di Harry Potter ed ha frequentato le migliori scuole di Glasgow, compreso il prestigioso liceo Craigholme.

È vissuta nell’agiatezza e sembrava una ragazza normalissima, perfettamente integrata nell’alta società scozzese, fino al novembre del 2013, quando appena 19enne, dice ai genitori che vuole andare a fare un viaggio; svanisce nel nulla per 96 ore, al termine delle quali chiama a casa dalla Siria per far sapere alla famiglia di aver scelto la Jihad. I genitori, disperati, le chiedono di tornare indietro ma è orami troppo tardi. Aqsa è diventata «Umm Layth», si è sposata con un jihadista straniero ed è diventata uno dei capi nella struttura interna del Califfato di Raqqa. E’ a lei che viene affidata l’organizzazione della Brigata Al-Khamsaa, che gestisce uno dei bordelli dove sono state rinchiuse le ragazze yazide rapite in Iraq e trasformate in schiave da dare in pasto ai miliziani. Aqsa guida un gruppo di jihadiste straniere, britanniche e francesi, il cui compito è di convincere le donne-schiave a non opporre resistenza davanti ai voleri del Califfo. I servizi segreti britannici riescono a individuare alcune sue tracce sui social network, dove Aqsa è attivissima per diffondere i messaggi del Califfo in Gran Bretagna: loda gli attentatori suicidi, diffonde proclami e video dell’Isis, posta commenti coranici.

Sarebbe stata lei a convincere l’amica delle tre ragazze di Londra a scappare in Siria e sempre lei avrebbe avuto un ruolo chiave nell’organizzare anche la fuga delle tre adolescenti di Tower Hamlets. E storie simili vengono da altri paesi europei e dagli Stati Uniti e dal Canada. Dall’Australia ad esempio, decine di giovani donne si sono unite segretamente all'Isis partendo per la Siria o l'Iraq come spose della jihad o per cercare marito fra i terroristi, nonostante il rischio di diventare schiave del sesso o kamikaze. L'allarme è stato lanciato dalla preoccupatissima ministro degli esteri australiana, Julie Bishop, che ha affermato che negli ultimi mesi una cinquantina di ragazze sarebbero scappate dall’Australia alla volta del califfato.

La sofisticata propaganda jihadista verso le donne occidentali ha l’obiettivo non solo di trovare mogli o schiave sessuali per i miliziani ma anche professioniste come medici, infermiere, commercialiste e donne ingegnere. Gli uomini e le donne del califfato fanno leva sul senso di avventura, seducendo le giovani con promesse di vivere una vita meravigliosa, che farà dimenticare le loro preoccupazioni. Ci sono migliaia di messaggi su Twitter ed altri post su blog e siti con jihadisti che entrano in contatto online con gente di tutto il mondo, specialmente interagendo con le ragazze usando un gergo tipico da adolescente e spostando i discorsi da quelli sugli amici e la scuola verso discussioni sulla religione, sul paradiso e la morte. Come i giovani occidentali che viaggiano per combattere per l'Isis, le giovani donne occidentali sono anch'esse attirate dalla promessa di una pura società politicamente e religiosamente islamica.

Le ragioni che spingono le donne verso l'Isis sono molto simili a quelle che spingono gli uomini. Anche le donne che abbracciano l’Isis ritengono infatti che l'Islam sia sotto attacco; vogliono contribuire alla costruzione di una nuova società e alla fondazione del Califfato; credono nel loro dovere individuale di migrare verso lo Stato islamico e nel senso di fratellanza che lega coloro che fanno questa scelta. Non si può disegnare un singolo profilo della donna jihadista. Tra le occidentali alcune sono sensibilizzate dalle immagini di combattimenti che vedono sui social network e rientrano in una logica di missione umanitaria; in questo caso si tratta di ragazze piuttosto ingenue e abbastanza impressionabili. Altre giovani sono attratte da una visione un pò romantica della guerra e del matrimonio jihadista, spesso affascinate dalle immagini del guerriero virile, figura patriarcale, che circolano sui social network; queste sono le donne in cerca di identità e la mancanza di punti di riferimento.

Alcune ragazze, adolescenti in pieno periodo ribelle, si uniscono al califfato in contrasto con i loro genitori e con il desiderio di correre dei rischi e dimostrare di essere forti. Infine coloro che si uniscono ai gruppi jihadisti per intima convinzione religiosa sono generalmente più anziane e meno numerose. Per le donne arabe, i casi sono diversi. Alcune si uniscono all’Isis dopo aver perso una persona cara, uccisa in combattimento; in questo caso la logica è la vendetta. Altre ritengono di avere un ruolo da giocare nello stesso modo degli uomini. Operando in società patriarcali, sarebbe per loro un modo per dimostrare che possono combattere e impegnarsi tanto quanto un uomo.

Ci sono anche donne che non hanno famiglia e sono alla ricerca di una sorta di protezione che trovano nel califfato. E ci sono ovviamente tanti casi di donne convinte che l’Isis sia la risposta che cercavano nell’islamismo militante. Per Al Baghdadi e gli altri capi del califfato, la presenza delle donne serve per costruire famiglie e generare figli ed è il primo passo nella creazione di una società sostenibile che possa perpetuarsi, pur continuando la sua strategia di espansione.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:33