Problemi e soluzioni in Medio Oriente

sabato 30 maggio 2015


In un’intervista apparsa su “Il Foglio” del 27 maggio, il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, biasima chi non approva l’intervento dei pasdaran di Teheran in Iraq. Disapprova chi critica la riluttanza di Barack Obama in un Medio Oriente che brucia. Per consolarsi ricorda che: “Ma all’origine della situazione - oltre che processi storici di cui parleremo in un libro, non in un’intervista - c’è l’intervento deciso all’epoca da George W. Bush, il modo in cui si è sviluppato e il modo in cui si è concluso nel 2003, con lo scioglimento dell’esercito iracheno, la messa fuorilegge del partito Baath, eccetera. Stiamo ancora facendo i conti con gli errori che sono stati compiuti”.

Se non stiamo all’anno zero della storia, per il responsabile del dicastero degli Esteri di un grande Paese liquidare la situazione mediorientale come “processi storici” non è un buon segno. Non solo ora, ma sin dal principio dello scoppio della guerra, alla vigilia della primavera del 2003, si poteva immaginare l’erroneità di quella guerra che ha dato un’enorme forza propulsiva all’integralismo islamico, al potere in Iran dalla rivoluzione del 1979. Tant’è vero che la gestione sciagurata dell’uomo di Bush in Iraq, Paul Bremer, a capo dell’Autorità provvisoria di coalizione, durata circa un anno, ha messo in evidenza la visione assai approssimativa degli Stati Uniti e dei suoi alleati del Medio Oriente e ha spianato l’autostrada all’invasione dell’Iraq da parte del regime islamico di Teheran; sogno da questo covato sin dalla sua nascita. Già nel 2005 l’Iraq era nelle mani degli uomini del regime iraniano, e le forze statunitensi erano state messe nel pantano.

In quel periodo l’Iran aveva decine di migliaia di uomini in Iraq, oltre ad avere in mano dicasteri importanti come gli Interni, l’Informazione e la Difesa. Il regime di Teheran forniva armi, munizioni e denaro contemporaneamente agli sciiti, ai sunniti e perfino agli esponenti di Al Qaeda in Iraq. Solo quando, dal febbraio del 2007, il generale David Petraeus ha individuato la vera causa dell’instabilità in Iraq, cioè l’Iran, ha potuto, contribuendo all’istituzione del Movimento del Risveglio sunnita, riparare i militari americani dalla geenna mediorientale e sradicare quasi del tutto al-Qaeda dall’Iraq e instaurare una relativa stabilità in Iraq. Lo sbando statunitense in Iraq pareva essere predestinato; fatto fuori Petraeus, nel settembre del 2008, il governo dello sciita al-Maliki, allevato nel grembo di Khomeyni sin dagli Anni Ottanta, ha messo tutto il Paese nelle mani di Ali Khamenei.

L’invasione latente iraniana dell’Iraq è divenuta reale e effettiva. Quando poi, nel dicembre del 2011, Obama ha deciso di ritirare i soldati americani dall’Iraq e lasciare quel martoriato Paese in balìa del regime espansionista al potere in Iran, l’invasione iraniana ha incominciato a palesare i suoi frutti velenosi. Mentre l’Amministrazione Obama prometteva di porre termine alla “guerra stupida” di Bush, in mezzo al vuoto di potere del cambio di amministrazione e con la confusa politica estera di Obama, al-Maliki coglieva l’occasione per distruggere quanto era stato messo in piedi del neonato Stato iracheno e lo sostituiva con il suo ufficio privato. Con l’ufficio di comandante in capo di al-Maliki, tutti i comandanti dovevano riferire direttamente a lui. Perseguitava i leader della comunità sunnita costringendoli, come il vicepresidente Tariq al-Hashimi, a scappare dal Paese. Opprimeva e esercitava una dura sanzione economica di fatto contro la popolazione sunnita. Affrontava violentemente le pacifiche proteste dei sunniti.

Quindi, se l’Isis non è il frutto dell’inaudita oppressione del governo di al-Maliki in Iraq, cos’è allora? Cos’è l’Isis se non gli avanzi di galera in Siria e in Iraq racimolati in Siria per salvare la faccia al dittatore siriano, screditare e distruggere l’Esercito libero siriano e celare l’incredibile silenzio complice dell’Occidente, di Obama, nella tragedia siriana. Che cos’è l’Isis se non la risposta dei Paesi sunniti al Corpo dei pasdaran iraniano che si estende sull’asse Iran-Libano passando per Iraq e Siria. Quindi, caro ministro, sull’errore dell’invasione dell’Iraq del 2003 siamo d’accordo, è inutile ricordarlo. Il problema è lasciare l’Iraq nel 2011 che, a mio avviso, è un errore ancora più grande. La coalizione araba che si batte nello Yemen, per la prima volta senza gli Usa, contro gli houthi sostenuti e armati dall’Iran, è la conferma che in Medio Oriente non se ne può più dell’arroganza sanguinaria del regime teocratico di Teheran. La politica scellerata dell’Occidente in Medio Oriente ha tra i suoi obiettivi quello di salvare la pelle al regime teocratico di Teheran. Il problema è però che proprio quel regime è la fonte ideologica e materiale del problema del Medio Oriente. Se non si capisce che il regime iraniano fa parte del problema e non della soluzione, il disastro mediorientale s’aggrava.

La politica di appeasement del presidente Obama gli ha fatto rimangiare la promessa di punire Assad qualora avesse usato le armi chimiche. Coinvolgere il regime dittatoriale iraniano contro il sedicente Stato islamico in Iraq e Siria è come voler combattere la camorra con la mafia. Se il regime iraniano non è uno Stato islamico, signor ministro degli Esteri, che cos’è? Nella Repubblica islamica dell’Iran il meccanismo delle elezioni non è incompatibile con l’assenza di libertà; il complesso sistema del velāyat-e faqih sovrintende tutte le istituzioni, che solo in apparenza possono vagamente assomigliare ad organismi democratici. La Repubblica islamica, secondo la sua Costituzione, è antitetica alla democrazia.

Ho fatto cenno, solo brevemente, agli effetti del regime religioso iraniano in Medio Oriente, tralasciando la sua presenza invasiva in Europa e nelle Americhe. Senza far cenno alcuno al problema dei problemi del regime islamico, che è il popolo iraniano che non vuole questo regime. Signor ministro Gentiloni, non presti orecchio alle voci dello zoccolo duro e determinato della lobbying nel suo dicastero o alla pressione di taluni imprenditori italiani assetati di fare affari sul sangue del popolo. Questi, signor ministro, hanno il cuore pietrificato sensibile solo e soltanto per i loro interessi temporanei. La storia e i valori della Repubblica italiana indicano un’altra strada.

 


di Esmail Mohades